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Home Cinema

Cinema. Trent’anni accanto a un genio. D’Alessandro racconta Kubrick

by Max Gobbo
27 Ottobre 2014
in Cinema, Le interviste
0

dalessandrokubrickSono trascorsi quindici anni dalla scomparsa d’uno dei più grandi interpreti della storia del cinema. Un genio copernicano, quello di Stanley Kubrick, che con i suoi film ha influenzato interegenerazioni e mutato per sempre il modo di concepire la “settima arte”. Per ricordare la sua figura di gigante della macchina da presa, abbiamo incontrato uno dei suoi più cari amici e suo più stretto collaboratore, un uomo di grande umanità che ha passato accanto al regista trent’anni della sua vita Emilio D’Alessandro.

Benvenuto Emilio, è un piacere conoscerti.
Il piacere è mio.

Sei originario di Cassino vero?
Sì, partii per la Gran Bretagna per trovare un lavoro nei primi anni sessanta.

Come arrivasti a Kubrick?
In Inghilterra divenni pilota da corsa e gareggiavo in un campionato nazionale. Un giorno mi proposero di accompagnare in macchina delle persone che lavoravano nel mondo del cinema. Ricordo che accettai quell’incarico perché c’era un tempo terribile e nessun altro autista voleva la responsabilità di guidare con tanto ghiaccio sulle strade. Caso volle che quel lavoro fosse proprio per Kubrick. Giorni dopo il regista mi convocò a casa sua. Io non conoscevo affatto Kubrick, anzi quando lo vidi, colla sua aria informale, lo scambiai per un giardiniere. Durante quel primo colloquio mi domandò, con un poco d’apprensione, se guidassi sempre come in pista. Io gli risposi che un conto era gareggiare, e un altro guidare sulle strade pubbliche. Gli dissi anche che non avevo nessun desiderio di farmi ritirare la licenza infrangendo il codice stradale. Ricordo che assunse subito un’aria soddisfatta. Così iniziò la mia vita con Stanley Kubrick.

In quel periodo fosti contattato per lo stesso incarico da John Wayne, non è vero?Si, e la paga era migliore. Però era un lavoro di soli sei mesi.

Tutti conosciamo il Kubrick regista, ma l’uomo chi era?
Era una gran brava persona, un uomo che amava tantissimo la sua famiglia. Era anche molto generoso. Se veniva a conoscenza di qualche famiglia bisognosa, se ne interessava subito. Io alla volte cercavo di dissuaderlo dicendogli: «Stanley conosciamo appena queste persone.»
Ma lui insisteva: «Vedi cosa possiamo fare. Chiedi di che hanno bisogno, e poi vedremo se posso aiutarli.»

Trent’anni vissuti assieme a un genio: un ricordo fra i tanti?
A fine settimana, dopo tanto lavoro, amavo vedere il suo viso soddisfatto. Per me ciò rappresentava tanto.

Un episodio simpatico, divertente tra te e Stanley Kubrick?
Beh, ve ne sarebbero molti. Tuttavia, ricordo che una volta parlammo della mia passione per le  corse automobilistiche (Emilio era un pilota), ebbene, lui mi disse:
«Perché continui a correre? Non pensi che sia troppo pericoloso?»
Io gli risposi che ero un professionista e che nelle corse vi sono diversi sistemi a tutela dei piloti. Aggiunsi che moriva molta più gente sulle strade ogni giorno.
Lui mi guardò con aria strana e obiettò: «Si, va bene, ma tu hai famiglia; e poi mi servi.»

E alla fine?
Riuscì a farmi promettere di non gareggiare più. Però ho continuato a frequentare le piste. Insomma raggiungemmo una specie di compromesso.

Puoi parlarci della routine quotidiana con Stanley?
La giornata iniziava presto in casa Kubrick. Per prima cosa mi dovevo occupare della posta. Poi, toccava al pane (e ride). Si al pane, mi ero messo d’accordo con un fornaio, che ogni mattino alle sette in punto, mi consegnava il pane fresco che piaceva a Stanley. Di seguito mi prendevo cura degli animali domestici, specie dei gatti, che lui adorava. Bisognava assicurarsi che stessero bene, altrimenti dovevo far accorrere i veterinari da Cambridge.

E sul set come si comportava?
Era d’una precisione incredibile. Diceva che non desiderava far perdere tempo a nessuno, ma che allo stesso modo nessuno doveva farne perdere a lui.

E nel rapporto con gli attori? Si racconta fosse assai pignolo.
Solo apparentemente: in realtà era cordialissimo, gentile e premuroso. Non v’erano mai difficoltà.

Tra i suoi film quale amava di più?
Non aveva particolari preferenze. Mi chiedeva spesso quello che pensavo su una determinata pellicola; era curioso di sapere il parere degli altri. Ecco, faceva tante domande e non s’accontentava dell’opinione  degli esperti; chiedeva davvero a chiunque.

Quale tra i suoi lungometraggi ti è piaciuto di più?
Ah, Spartacus con Kirk Douglas. Ricordo che una volta mi fece la stessa domanda. Io gli risposi come adesso. Ma lui insistette: «Perché?»
E io : «Perché mi piace!»

Si dice che lui stimasse Fellini e il cinema italiano: è vera questa cosa?
Si, lui apprezzava molto Fellini. Si sentivano spesso. Il problema è che Fellini non conosceva bene l’inglese e Stanley ignorava l’italiano. Perciò, mi chiedeva di sedermi accanto a lui nell’ora prefissata per la telefonata con Federico e da fungere da interprete.

Tu sei stato anche assistente di produzione in alcuni suoi film. Di cosa discutevate?
Per la maggiore della troupe e degli attori.

A proposito di questo, una volta raccontasti che durante le riprese di Eyes Wide Shut hai conosciuto  Tom Cruise: che tipo è?
Tom è una persona simpaticissima con cui ho lavorato per ben due anni durante le riprese del film. E’ anche un bravissimo attore. Quello che non m’aspettavo, e che mi è molto dispiaciuto, è stato il divorzio con Nicole Kidman.

Hai conosciuto anche lei?
Oh si, certo. Ricordo un episodio in cui Nicole, che era attesa nell’ufficio di Stanley, si stava per infilare inavvertitamente nel bagno in cui era il regista, e io dovetti richiamarla e pregarla d’attendere in segreteria.
A proposito di episodi divertenti, in un’altra occasione durante le riprese di Barry Lyndon, fui incaricato da Stanley d’accompagnare, dall’aeroporto al set, la bellissima Marisa Berenson. Ebbene, l’attrice durante il tragitto mi chiese di mangiare qualcosa. Così mi dovetti fermare nell’unico locale presente in quel tratto, un caffè per camionisti. Ricordo che la diva fu accolta da un applauso e anche da un fischio d’apprezzamento assai eloquente. Io ne fui a dir poco imbarazzato, ma lei non se la prese affatto. Giunti sul set, Stanley voleva che la conducessi al ristorante, ma Marisa gli disse d’aver già mangiato nel locale dei camionisti. Sapeste la faccia che fece Kubrick!

E’ vero che Stanley ti coinvolgeva nella scelta degli attori?
Beh, non era tra le mie competenze: però mi chiedeva spesso cosa pensassi di questo o quell’altro attore.

Ti andrebbe di parlarci della storia di Shining e di Nicholson?
Beh, quando Stanley mi parlò di Jack Nicholson manifestai delle perplessità, allora non lo conoscevo bene. Lui mi chiese se avevo qualche altro nome in testa, e io gli feci quello di Charles Bronson. Poi, vidi Nicholson all’azione e capii che Stanley non s’era sbagliato: lui doveva essere assolutamente Jack Torrance.

Come fu il rapporto tra Kubrick e Nicholson?
Ottimo. Rammento che dopo aver girato, e per molto tempo, quasi ogni sera, i due in macchina si sentivano per telefono.

Tu iniziasti a lavorare con Kubrick nel 1970 all’epoca in cui uscì Arancia Meccanica: che ne pensava di questa sua creatura?
Io come lui credevo che il film avesse una forte valenza educativa. In particolare Stanley non riusciva a comprendere il mare di polemiche che il film scatenò in Inghilterra (Kubrick dovette ritirare il film nel Regno Unito).

Egli è stato fotografo, regista e grande sperimentatore: Kubrick genio universale del cinema? Tu che ne pensi? E’ vero?
Si, ma tutto questo l’ho capito con il tempo.

Secondo te, avendolo conosciuto così bene, come vorrebbe essere ricordato oggi Stanley Kubrick?
Come un padre… Come un padre (e si commuove).

@barbadilloit

 

Max Gobbo

Max Gobbo

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