William Wallace è vivo e lotta insieme a loro, anche in una gradinata. O almeno in alcune, soprattutto dalle parti di Celtic park. Unionisti contro indipendentisti, protestanti contro cattolici, San Giorgio contro Sant’Andrea e persino Carling contro Tennent’s. E, manco a dirlo, Rangers contro Celtic. Il referendum che tra pochi giorni stabilirà se gli scozzesi vogliono l’indipendenza dal Regno Unito o preferiscono restare nel solco di Londra è arrivato anche nello sport, nel calcio e in gradinata. E divide non solo un Paese ma anche i due fronti dell’Old firm.
Non ci sono solo personaggi sportivi che si sono barricati sulle due trincee. La maggior parte, in verità, sul più rassicurante fronte del no, come sir Alex Ferguson e David Moyes. Più sfumata la posizione del tennista Andy Murray: il vincitore di Wimbledon 2012 – che era considerato un sempliciotto scottish prima di vincere il torneo e subito dopo è divenuto, per l’Inghilterra, un figlio prediletto della corona – non si è molto sbilanciato, pur dichiarando che non avrebbe problemi a optare per la Scozia in caso di scelta obbligata. Ma se si lasciano perdere le star, le certezze sembrano sfarinarsi dinanzi alla battaglia tra chi sostiene l’autodeterminazione del popolo scozzese e chi punta a restare al calduccio di Downing street. Anche se si tratta di dogmi che parevano intoccabili: la fede unionista dei tifosi dei Rangers è risaputa tanto quanto l’avversione dei supporter del Celtic nei confronti dell’Union Jack. Ma non è tutto oro ciò che luccica. La consultazione popolare del 18 settembre rischia di dividere al proprio interno anche due tifoserie che di solito procedono – ognuna per sé, inutile dirlo – compatte come un sol uomo. A fermarsi all’iconografia degli ultimi mesi le scelte sembrano scontate.
Il 16 agosto scorso, al Celtic Park, arriva il Dundee United. La squadra degli immigrati irlandesi passeggia sui rivali e porta a casa l’ennesimo risultato tennistico: finisce con una vittoria per 6-1. Come da copione. Al 18esimo minuto, però, dalle gradinate dove alloggia la Green Brigade, il cuore del tifo biancoverde, si alzano cartelli con una scritta semplice: “Yes”. Il minuto scelto non è casuale, visto che il 18 è anche il giorno di settembre in cui è stato fissato il referendum. Se ci fossero dubbi sull’orgoglio patriottico dei sostenitori del quadrifoglio, basti ricordare quanto accaduto mesi fa, prima del fischio d’inizio di Celtic-Milan. Dalla gradinata del Celtic furono esposti due stendardi raffiguranti William Wallace e Bobby Sands: due patrioti del celtismo, esempi rivoluzionari ed entrambi simboli della lotta dei popoli scozzese e irlandese contro il giogo d’Albione. Per quell’iniziativa la Uefa decise persino di punire i biancoverdi.
Stesso metodo, opposto contenuto nella coreografia che i tifosi Rangers hanno esposto di recente all’Ibrox Stadium: le due bandiere – l’Union Jack e la Croce di San Giorgio – affiancate e una scritta inequivocabile: “18-09-14: Vote No”. Niente di nuovo sotto il sole: i Teddy Bears hanno nel simbolo i colori della bandiera del Regno Unito e rappresentano la metà protestante e lealista del cielo di Glasgow. Ma l’apparenza inganna. E così, come riportato da quotidiani anglosassoni nei giorni scorsi, diversi istituti demoscopici hanno evidenziato come le due tifoserie sembrino più propense a sposare la causa indipendentista. Scontato nel caso dei tifosi del Celtic, molto meno per gli odiati cugini dei Rangers. E sui forum dei protestanti in molti sembrano schierati per abbracciare la causa indipendentista.
Entrambe le tifoserie hanno poi protestato in maniera dura, soprattutto sui social network, contro l’iniziativa intrapresa da alcune icone del calcio scozzese, come Billy McNeill and Walter Smith, che hanno pubblicamente invitato i tifosi a optare per il no e per la causa unionista, attirandosi gli strali dei tifosi per i quali erano autentiche leggende. Le gradinate di Celtic e Rangers unite nella lotta per l’indipendenza? A dirlo sembra una bestemmia. Ma se anche l’eterna rivalità tra le due sponde di Glasgow inizia a vacillare, converrà che a Londra inizino – se non l’hanno già fatto – davvero a preoccuparsi.