Questa volta non è bastato invocare l’aiuto spirituale di papa Francesco. E neanche la protezione di Peròn, di Evita e Maradona. Da lassù qualcuno ha indirizzato sul palo il colpo di testa di Höwedes, come già era successo negli ottavi con lo svizzero Dzemaili, ma di più non ha potuto fare. Soprattutto se Leo Messi continua a rimandare il suo personale appuntamento con la storia e Higuain e Palacio ce la mettono tutta per far pentire il ct Sabella di aver lasciato a casa l’apache bianconero Tevez.
L’Argentina piange eccome, alla faccia di Milva e Madonna. Piange di tristezza, per essersi lasciata sfuggire il terzo titolo mondiale e per aver deluso i centomila compatrioti affluiti a Rio de Janeiro – una migrazione epica, d’altri tempi – , ma piange anche di rabbia. E il bersaglio principale è l’arbitro italiano Nicola Rizzoli, «el “tano” ladròn», come l’ha ribattezzato un giornale di Buenos Aires; che in realtà ha arbitrato maluccio ma non proprio a senso unico. Il gol annullato a Higuain era in effetti in fuorigioco, ancorché millimetrico. Ed è vero che l’uscita a valanga del portiere Neuer sullo stesso “Pipita” (per molti una “pippa” e basta) ai più è sembrato un intervento da rigore; ma va anche sottolineato come il fischietto bolognese, ampiamente discusso in patria per una certa predisposizione a mostrarsi forte con i deboli e debole con i forti, abbia poi graziato Agüero che rischiava l’espulsione. Insomma, un Rizzoli mediocre e moderatamente filo-tedesco, ma non certo la causa della sconfitta al Maracanà.
Al di là degli indiscutibili meriti della Germania, apparsa solida, organizzata e ricca di giovani talenti, il “fracaso” dell’albicelesteha altre ragioni. In primo luogo un attacco troppo sterile e troppo Messi-dipendente. Come sempre l’Argentina ha esibito ai Mondiali una difesa arcigna e rocciosa, con un ritrovato Romero in porta; un centrocampo tosto e quattropolmoni con i gregari di lusso Biglia e Perez a far da scudieri a un superbo regista arretrato (Mascherano) e un attacco da favola, che intorno a Messi poteva far ruotare punte del calibro di Lavezzi, Palacio, Agüero eHiguain. Roba che il Brasile padrone di casa, con i suoi miseri Fred, Hulk, Jo e Bernard, pareva la Sambenedettese.
Però in avanti qualcosa non ha funzionato. Il genio di Leo ha brillato a intermittenza, perdendo lucentezza man mano che la selecciòn andava avanti; e gli altri punteros si sono dimostrati quanto mai spuntati, incapaci di metterla dentro persino da soli davanti al portiere (vero Pipita?). Ma ci ha messo del suo anche Alejandro Sabella, l’allenatore tranquillo e silenzioso che da ragazzo militava nella Juventud Peronista, l’ex eterno vice di Passarella che è riuscito a mettersi in proprio solo a 55 anni, dimostrandosi un vincente prima all’Estudiantes e poi alla guida dell’albiceleste. Nella finale di Rio, Sabella ha sbagliato i cambi,togliendo un brillante Lavezzi per un impalpabile Agüero e facendo uscire il tonico Perez a favore di un confusionario Gago. Alla pari il cambio Higuain-Palacio: entrambi non hanno inciso e si sono divorati un gol. Inevitabile pagare dazio, di fronte a una Germania così forte.
I centomila argentini giunti a Rio con ogni mezzo hanno tristemente ripreso la strada di casa, con dignità e anche alcuni vandalismi di troppo. Oltre al danno, la beffa di sentirsi cantare dai “nemici” brasiliani il tormentone «Brasil decime que sesiente» in versione storpiata anti-argentina. Ma se non altro con la soddisfazione di aver visto la selecciòn giocarsela alla pari fino al 120° minuto, senza sbracare fra lacrime e isterismi come i poco amati hermanos piagnoni verde-oro.