Un migliaio di manifestanti, tutti “indios”, con in testa i capi tribù. Volti dipinti dai caratteristici colori vivaci, cocar in testa (sarebbero i tradizionali copricapo in piume), a petto nudo, archi e frecce alla mano cavalcando a pelo i propri destrieri. La carica assolutamente sproporzionata contro la polizia in assetto antisommossa, dotata di armi da fuoco, manganelli e altro. Una storia che sembra essere uscita dalla matita di Hugo Pratt e fatta vivere attraverso gli occhi di Corto Maltese, di quelle storie senza tempo in cui le tribù della misteriosa foresta amazzonica si ritrovano a doversi difendere con le armi tradizionali dai “patrones” bianchi, armati di fucili, pistole e cannoni. E invece è tutto vero, è successo a Brasilia, la capitale, ed è capitato solo pochi giorni fa, e nell’era dei social network ha fatto il giro del mondo in brevissimo tempo.
Gli indigeni in piazza. Quella di Brasilia è solo una delle più eclatanti proteste dei vari movimenti schieratisi contro la coppa, gli sprechi di denaro pubblico legati ad esse e le tantissime contraddizioni sociali del Paese. Ma in realtà, quella dei popoli originari (comunemente chiamati indios, forse anche con un certo tono dispregiativo) non nasce come una protesta contro i mondiali, ma contro un progetto di legge che trasferisce dal Funai (ovvero Fondazione Nazionale dell’Indio) a deputati e senatori il potere di demarcazione delle terre degli indigeni, già spesso invase da contadini, allevatori e grandi multinazionali. Insomma, anziché avere la riforma agraria attesa da quasi un secolo e rimasta sempre e solo un miraggio, i popoli indigeni si sono visti ridimensionare anche l’organo preposto alla salvaguardia dei loro territori.
Così un migliaio di loro, aggirando la security, sono saliti sul tetto del Parlamento. Una volta fatti scendere, si sono riuniti assieme ai manifestanti dei movimenti della “Coppa delle Manifestazioni” e hanno marciato insieme verso l’Estadio Nacional “Mane’ Garrincha”, gigantesco monumento allo spreco – costato l’equivalente di mezzo miliardo di euro, e destinato, una volta finiti i mondiali, ad una squadra che milita in quarta divisione – dove era programmata l’esposizione al pubblico della Coppa del Mondo, con l’intento di bloccarla. La manifestazione ha scatenato la repressione della polizia, che in assetto antisommossa e a colpi di lacrimogeni ad altezza uomo ha tentato di disperdere la folla. A quel punto gli “indios” hanno risposto come potevano, con i loro archi e le loro frecce. Una potenza di fuoco decisamente impari, ma che comunque ha portato al ferimento (non grave)di un poliziotto, poi operato per rimuovere il legno dalla gamba. Una protesta così eclatante che ha coperto la notizia di un’altra opera di pacificazione delle favelas a Rio, da parte del Bope, i corpi speciali.
I Movimenti sociali. Questa è stata, per ora, solo l’ultima delle grandi manifestazioni contro la Coppa del Mondo. Sia chiaro, non per il torneo in sé, ma per tutto ciò che ruota attorno al carrozzone della competizione, e il Brasile, in questo, ha dato il peggio di sé. Ne abbiamo fatto menzione quando parlammo della situazione stadi (il 98% dei fondi per costruire gli stadi, costati molto più di quanto preventivato, sono pubblici, sebbene al momento dell’assegnazione era stato stabilito che gli impianti sarebbero stati finanziati interamente da privati). In un Paese con delle contraddizioni sociali fortissime, le folli spese per gli impianti e la corruzione a scapito di sicurezza, sanità, istruzione ed emergenza abitativa hanno mandato su tutte le furie gran parte della popolazione, con un malcontento che si è espresso in proteste praticamente giornaliere. Si va dagli scioperi degli autisti (a Salvador de Bahia trasporti pubblici completamente fermi per 24 ore, a San Paolo per ora solo quelli di terra, in attesa di quello preannunciato –e temutissimo -di tutto il servizio di trasporto pubblico, che già sta mandando in tilt il traffico della capitale paulista), a quelli dei professori, in sciopero ad oltranza dallo scorso 12 maggio al grido di “un docente vale più di un Neymar”, che si aggiungono ai Movimenti sociali, ai movimenti dei Senza Terra e dei Senza Tetto, ad Occupy Brasil, agli sfollati in maniera coatta dalle favelas “pacificate” di interesse della Fifa, e i popoli originari, appunto. Tutti uniti al grido “Não vai ter Copa, vai ter greve” (Non ci sarà la coppa, ci sarà sciopero).
Le guerriglie urbane. Diverse, tra queste manifestazioni, sono poi sfociate in vera e propria guerriglia urbana. Ne abbiamo avuto un assaggio durante la Confederation Cup dello scorso anno; da allora è stata un’escalation, e non sono mancate nemmeno le vittime. Il caso che ha avuto più risalto, soprattutto all’estero, è stato quello dello scorso aprile, quando un famoso ballerino che lavorava all’emittente Globo è stato ucciso per errore a Rio durante un conflitto a fuoco tra la polizia e alcuni trafficanti di droga nell’operazione di pacificazione delle favelas di Pavão-Pavãozinho e Cantagalo. Alla notizia della sua morte, e di quella di un adolescente, è scoppiato l’inferno prima tra le vie del quartiere, poi fino ad Ipanema e Copacabana, tra le mete più conosciute – e “chic”- di Rio de Janeiro. Anche nelle altre città, le cosiddette “pacificazioni” non hanno avuto esiti molto differenti. Molta gente è stata sfollata per strada, anche se del tutto estranea alle vicende tra trafficanti e polizia, come a Fortaleza, che ha registrato un incremento del numero dei senza tetto vertiginoso. E anche tra chi non è coinvolto ma solo solidale con i movimenti in lotta, sale il malcontento nei confronti del mondiale. Recenti sondaggi parlano di un crollo verticale del gradimento dei brasiliani ad ospitare la coppa, da un iniziale 90% dei tempi dell’assegnazione da parte della Fifa all’attuale 51%, con forti simpatie verso chi scende in piazza per manifestare.
La “presidenta” Dilma Rousseff, nonostante le minacciose intenzioni dei movimenti sociali di boicottare la coppa con azioni eclatanti e scontri, si dice convinta che durante l’evento tutto filerà liscio, e per garantirlo ha ordinato all’Esercito un massiccio dispiegamento di forze negli aeroporti, negli hotel e lungo le strade che vedranno circolare le squadre.
Quella sensazione di un Mondiale a due facce, uno scintillante negli impianti e un altro violenta e drammatica fuori, sembra quindi farsi sempre più certezza.