All’ultimo respiro. Come nella miglior tradizione granata, che è spesso vocazione al martirio (fachirismo, direbbe Gian Paolo Ormezzano), il Torino di Ventura ha visto sfumare all’ultimo minuto, per un errore fatale di Alessio Cerci, la storica qualificazione all’Europa League. Una vittoria a Firenze avrebbe riportato la squadra in una competizione europea dopo oltre vent’anni di saliscendi fra serie A e B, un clamoroso fallimento e una complicata rinascita nelle mani – non sempre generose – dell’editore Urbano Cairo.
La delusione è stata grande, per il popolo granata. La vittoria al “Franchi” era considerata probabile persino dai bookmaker, in virtù di un avversario demotivato e di un gemellaggio storico che ha portato gran parte del pubblico fiorentino a tifare in maniera quasi spudorata per gli amici del Toro. Ma non è andata così. Gli uomini di Ventura sono apparsi contratti, nervosi, a tratti spaventati dall’eventualità che potesse verificarsi ciò che poi è puntualmente accaduto. Ma l’errore più grande risale a sette giorni prima, quando il Torino ha avuto in mano il match-point contro la diretta concorrente, il Parma di Donadoni, e in undici contro dieci, in vantaggio per uno a zero, non ha saputo chiudere la partita. Limiti caratteriali, forse. O più probabilmente immaturità di un gruppo non ancora abituato a inseguire grandi traguardi.
La doccia fredda di Firenze, però, non scalfisce una stagione che resta molto positiva. La squadra di Giampiero Ventura era partita l’estate scorsa con l’obiettivo di ottenere una salvezza tranquilla. Ha terminato in settima posizione, alla pari del Milan, a 23 punti di distanza dalla quart’ultima. Ha giocato quasi sempre un buon calcio, offensivo e divertente. Ha valorizzato giovani come Darmian, Glik, Maksimovic e rigenerato ultratrentenni che sembravano sul viale del tramonto, come Vives, Bovo, Moretti. Ha confermato il salto di qualità già compiuto l’anno precedente da Alessio Cerci e fatto esplodere il bomber Ciro Immobile, 22 gol senza rigori, primo granata a vincere la classifica marcatori dopo Pulici e Graziani. Ha portato tre suoi giocatori in Nazionale (Cerci, Immobile e Darmian). E infine, quel che più conta, ha riportato i tifosi allo stadio e li ha fatti tornare orgogliosi di sventolare le bandiere granata, che per troppo tempo erano rimaste ammainate.
Merito di Giampiero Ventura, che in tre anni (dopo troppi allenatori mosci e privi di carattere) ha dimostrato che cosa voglia dire pianificare e tenere in pugno una squadra. Merito del direttore sportivo Gianluca Petrachi, che ha saputo scovare nelle pieghe del calciomercato giovani di belle speranze e atleti stagionati in cerca di rivincita. Merito del presidente Cairo, che per una volta ha resistito alla tentazione del “faso tuto mi” e ha delegato con fiducia a chi ne sa più di lui in materia calcistica.
Adesso però viene la parte più difficile. La qualificazione in Europa League avrebbe portato entusiasmo, soldi e una vetrina internazionale; ma anche la necessità di dover allargare la rosa, anticipare e accorciare la preparazione estiva, saper gestire due competizioni parallele. Comportava dei rischi, insomma. Ora invece Ventura (confermato per altri due anni) potrà proseguire con calma nel progetto di consolidare la squadra e migliorare la posizione del Toro nel ranking nazionale. Però trattenere Immobile (in comproprietà con la Juventus) sarà difficile, già sono calate le facoltose sirene del Borussia Dortmund. Anche Cerci potrebbe partire verso club che disputano la Champions, specie se farà un buon Mondiale; e Darmian piace al Milan, in via di rifondazione. Quindi Cairo nei prossimi giorni dovrà essere molto chiaro. Dovrà spiegare se intende mantenere l’ossatura della squadra e anzi rinforzarla, sia pure con la politica dei piccoli passi e del fair-play finanziario (già preso a parametro zero il nazionale svedese Jansson, ora si cercano il brasiliano Bruno Peres e l’argentino Lanzini), oppure se c’è il rischio di una pericolosa smobilitazione.