Gianni Brera si starà prendendo l’ennesima soddisfazione, lassù. In Champions League vince il buon vecchio catenaccio, alla faccia del tiquitaca e della sua declinazione iberico-bavarese. Prima Josè Mourinho che inchioda al pari il sorprendente Atletico Madrid di Simeone. Poi Carletto Ancellotti che mette nel sacco il rutilante Bayern di Pep Guardiola che adesso deve fronteggiare anche le lamentele dei calciofili tedeschi.
PIOGGIA DI CRITICHE. Il giornale più diffuso in Germania stronca la squadra di Guardiola. Forse sono ingenerose le critiche pesanti spedite all’indirizzo della squadra regina della Bundesliga, ma tant’è. Puoi fare tutti i passaggetti del mondo, tenere palla fino allo sfinimento, portandoti la sfera nello spogliatoio. Ma per vincere devi segnare. Non bastano i buoni propositi se Benzema ha deciso di accoltellarti. Certo, lo spettacolo è fondamentale. Ma non si vince ai punti, nel calcio. E manco nella boxe se il tuo avversario incassa per dodici riprese e poi ti rifila sul grugno il jab che ti spedisce ko.
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CARLETTO L’INVISIBILE. Lui zitto a lavorare e a ghignare. Ha fatto la gavetta, ha allenato la Reggiana, lui. Mica si è trovato in mano da subito il giocattolo perfetto e lo squadrone affermato. Ancellotti non aveva entusiasmato la Madrid abituata alle smargiassate galactiche. Non fa proclami, e poi in campionato non è che vada benissimo. Real secondo dietro i cugini dell’Atletico, davanti però ai boriosi catalani cadenti del Barça. E adesso con un piede in finale. Il sogno è la decima Coppa dei Campioni in bacheca. Roba storica, da far tremare i polsi ai più scafati conquistadores di tituli. Uno di loro, Josè Mourinho, l’ha vissuta come un incubo. Che ha finito per travolgere la sua stessa esperienza madrilena. Ancellotti non è come il portoghese. Lui parla poco…