C’è un’Italia che vuole stare tutta insieme, ed ironia della sorte è passata da Verona proprio nelle ore in cui un gruppo di indipendentisti manifestava nel nome dell’autonomia del Veneto. E’ l’Italia del Vinitaly, il salone internazionale del vino e dei distillati che ogni anno richiama nella fiera della città scaligera oltre 4000 tra produttori, importatori, distributori e ristoratori del Belpaese e non solo.
Per ogni regione c’era uno stand e per ogni stand un mare di vini e di storie da gustare e raccontare. E così capita di imbattersi in un riminese nostalgico dei suoi anni da militare a Lecce, che l’avevano spinto ad intraprendere la sua strada da viticoltore proprio in Puglia. “Dieci anni senza mai chiudere la finestra, che bel clima che c’era”, ricorda ancora. Tipico dei romagnoli: accoglienti e positivi a parole e nei fatti. Non burberi come un anziano e comunque simpatico produttore friulano, autore di un libro ancora inedito in cui racconta delle amicizie con Pavarotti, Tognazzi e Ranieri di Monaco, della vicinanza di un suo avo colonnello a Napoleone Bonaparte (ogni capostipite della sua famiglia conserva da secoli un Napoleone d’oro a suggello di quel rapporto) e soprattutto di quanto per lui sia difficile lavorare in Italia al giorno d’oggi. “Qualche anno fa – racconta, – sono stato nominato Cavaliere della Repubblica. Oggi sono intenzionato a scrivere al presidente Napolitano per rinunciare a questa carica della quale mi ha insignito uno Stato che non tutela chi lavora”.
Orgoglio italiano, voglia di fare di chi si è sporcato le mani di terra e non pretende altro se non continuare a farlo senza che nessuno gli metta i bastoni tra le ruote. Voglia di lavorare che, nonostante qualcuno pensi il contrario, appartiene anche ai meridionali; come ad esempio a un salumaio calabrese, che spedisce i suoi prodotti in tutto lo stivale e spiega che “il salame piccante è un aperitivo, non può rovinarti la bocca prima di un pasto, le cose vanno fatte bene”. Sembra quasi una metafora della buona imprenditoria, in cui non vince chi più fa ma chi meglio fa, non chi rischia di più, ma chi rischia meglio.
C’era l’Italia a Verona in questi giorni, di secessionisti neanche l’ombra. Guai a nominarli, anzi: erano tutti pronti a discuterne atteggiamenti e ragioni. Per le strade di Verona ci sono targhe e insegne a ricordare ferite ancora aperte lasciate nell’ottocento dagli austriaci, costretti a lasciare il Veneto dopo l’Unità d’Italia. Eppure c’è chi non ricorda, chi vorrebbe cancellare la storia nel nome di una battaglia anacronistica e paradossale. Tanto da porre il dubbio se scorresse più vino alla fiera o nelle piazze. Di certo era più buono quello del Vinitaly, rassegna simbolo di un Paese che sa produrre ricchezza e vuole continuarlo a fare, unito.