La Spagna saluta l’uomo che ha insegnato a vincere alle Furie Rosse. E’ morto, pochi giorni fa, Luis Aragones, il commissario tecnico che conquistò gli Europei del 2008 gettando le basi del ciclo dell’Invincibile Armada spagnola. Aveva 75 anni ed era malato da tempo. Da qualche mese aveva lasciato il calcio, a cui aveva consacrato tutta la sua esistenza. Prima da calciatore, quando era conosciuto con il nomignolo di Zapatones (scarpone, a causa del suo 44 di piede che gli consentì però di firmare 123 gol) e poi da allenatore dove si impose come il Saggio.
Simpatico, Aragones, non lo è mai stato fino in fondo. Specialmente a noi, dato che – a due anni dal trionfo mondiale in Germania – riuscì a liquidare l’Italia di Donadoni spedendola fuori ai quarti di Euro 2008. Seppur con difficoltà. Maestro della guerra psicologica, uno così non può essere simpatico agli avversari. “Gattuso fondamentale? Sì, e io sono un prete”. Oppure quando, per gasare Reyes, venne accusato di essere razzista: “Fagli vedere a quel negro di m.. che sei meglio te”, riferendo i suoi presunti improperi all’allora star della Francia Thierry Henry. Ma è stato capace di assorbire critiche pesanti e dare un volto nuovo e finalmente vincente alla Spagna pallonara. Lasciò a casa il mitico Raul, venne travolto da un mare di polemiche feroci, ‘inventò’ il tiqui-taca e vinse gli Europei lasciando a Vicente Del Bosque, suo successore, nessun altro compito che raccogliere i frutti di quanto lui aveva seminato (leggi Mondiale 2010 e Euro 2012). Un pioniere “insensibile” dei sentimenti degli avversari? No, un vero uomo di sport che non si è lasciato affascinare troppo dagli sbandieratori di ipocrisie decoubertiniane e mai ha tirato la gamba indietro.
Dopo i successi in Nazionale, Aragones accettò la proposta indecente dei turchi del Fenerbahce, da sempre affascinati dagli allenatori champagne. Mal gliene incolse perchè l’annata 2008-09 si risolse per lo spagnolo in un fiasco non meno clamoroso di quello griffato Zdenek Zeman, poco meno di dieci anni prima. Poi più nulla di rilevantissimo, a parte l’addio al calcio. Un mese fa. La leucemia l’aveva ormai fiaccato.
La Spagna lo piange, perchè sa che dice addio a un pezzo della sua storia sportiva. Autenticamente spagnolo, sprezzante e vincente. Ciao, Luis.