Risate a catinelle. L’effetto è assicurato. La terza fatica cinematografica del comico barese Checco Zalone, batte ogni record. E non solo d’incassi. Era difficile superarsi dopo le due già buone prove sul grande schermo. Ma lui c’è riuscito. La ricetta è sempre la stessa: un mix indolente tra semplicità meridionale ed una blanda scorrettezza non allineata. Già. Zalone non risparmia nessuna categoria sociale: signori della finanza, radical chic, comunisti, sindacalisti e poveri ma tirchi. C’è spazio pure per una sberla comica ai massoni, ai cattolici da strapaese e agli ultras dei “valori non negoziabili”. Quella che Zalone ci racconta è una favola moderna, tanto veloce quanto goffa.
Ma, perché no, possibile. Tutto questo al di là delle congetture di un certo psicologismo sempre pronto ad individuare nuove malattie, nuovi malati e soprattutto nuovi farmaci. Insomma, dietro una comicità assolutamente leggera, c’è un j’accuse preciso verso i vecchi e, soprattutto nuovi, moralismi. Quello del barese è dunque un mondo che presuppone un nucleo, la famiglia, che nonostante tutto vince di fronte ad ogni avversità anche autoindotta. Non si guasterà certo la visione del film se si anticipa già che il finale è dei più lieti. Ma attenzione, però, non c’è nulla di edulcorato in questo racconto. Zalone guarda alla realtà per quella che è. Senza ipocrisie o anatemi di sorta. E senza, ancora, una morale da imporre o un giudizio da estrapolare. Insomma: la risata per la risata. Una scelta perfettamente in linea con la missione del comico.