Leggendo i vari contributi della rubrica “La destra riparte da…” ho avuto fin da subito lo stimolo per un’analisi profonda su questo momento. Rappresento la generazione degli ultimi ragazzi che si sono tesserati a quattordici anni con Azione Giovani e che a diciotto anni sono stati catapultati nel mare magnum del PDL. Per ripartire, a destra, bisogna riflettere sugli errori fin qui commessi e sulle occasioni mancate con serietà, schiettezza e senza dogmi; e al tempo stesso porre le basi del “Partito che vorremmo”.
Ripercorriamo a grandi linee gli avvenimenti degli ultimi anni: nelle elezioni del 2008 il centrodestra raggiunge il massimo del consenso vincendo le elezioni con il 46,8% sulle ali di quell’entusiasmo si porranno le basi per il congresso nazionale e la fondazione del PDL. Dopo neanche un anno è arrivata la crisi con Gianfranco Fini, lo scandalo del “bunga bunga” e l’azione combinata di magistratura e agenzie di rating hanno posto fine al Governo Berlusconi che a detta della sinistra era la causa di tutti i mali e che una volta disarcionato l’Italia sarebbe uscita dalla crisi. Così non è stato e i risultati dopo un anno di “tecnocrati” e uno di “larghe intese” sono sotto gli occhi di tutti. Sta arrivando l’era del “dopo Berlusconi” e non possiamo più adagiarci sugli allori ed essere impreparati.
Le occasioni mancate:
Dal ’94 ad oggi il centrodestra che ha governato per ben tre volte era presieduto dal grande comunicatore, proprietario di reti televisive, giornali e case editrici che nella maggior parte dei casi non è stato in grado di comunicare quanto fatto in materia di riforme e provvedimenti perché mandava nei talk show esponenti poco preparati e poco rappresentativi che ottenevano puntualmente brutte figure.
Altro errore è stato quello di non affidare nessuno spazio di approfondimento in prima serata ai vari Veneziani, Buttafuoco, Mellone o ad altri esponenti della cosiddetta “destra pensante”.
Altro grosso problema la strutturazione, mai avvenuta, del partito a livello locale, dove finché è andata bene si è campati di rendita sulle ali dell'”effetto Berlusconi”: approfittare del momento storico favorevole a livello nazionale per vincere le elezioni locali senza pensare ad una strategia complessiva che nascesse dai quartieri, dalle città, dalle province e dalle regioni.
L’altra occasione mancata è stata dal punto di vista culturale e della formazione: il centrodestra non è un’accozzaglia di persone che si riconoscono solo in un grande leader e in un simbolo. È molto di più: è un progetto culturale, è un insieme di valori e di idee, una visione del mondo che continueranno ad esistere indipendentemente dal contenitore e da chi ne sarà a capo. A questo hanno ovviato in parte le fondazioni senza che gli organi preposti del Pdl muovessero un dito.
Le basi da cui ripartire:
Se vogliamo davvero essere un nuovo grande partito di centro destra c’è bisogno di dare un senso più profondo alla nostra azione politica. Penso che i grandi problemi vadano affrontati prendendo come esempio il Front National di Marin Le Pen che sui grandi temi ha posizioni nette, a volte scomode ma che fanno gli interessi dell’elettorato, soprattutto quello popolare.
Bisogna aprirsi a grandi dibattiti per veicolare i valori del centro destra, lasciando ad altri la politica fatta di slogan vuoti o di striminziti tweet.
Per essere validi interlocutori della società civile necessitiamo di un partito dal forte radicamento territoriale fatto di rappresentanti capaci di leggere la mutazione dei fenomeni sociali e tradurre concretamente gli interessi della gente in azioni pratiche.
Se saremo in grado di affrontare fino in fondo queste riflessioni, anche a costo di qualche sacrificio, e soprattutto rimboccandoci le maniche riusciremmo a riportare il primato della Politica sull’economia sconfiggendo antipolitica e tecnocrazia. Difendendo, come sempre, la nostra amata Italia.
*studente