Ci ha messo più del previsto, complicandosi la vita con un pareggio allo scadere che non le rende giustizia, ma ce l’ha fatta. La Russia di Fabio Capello stacca il biglietto per Brasile 2014: è la prima qualificazione in dodici anni per la Nazionale della Federazione, assente nella fase finale del Mondiale dall’edizione 2002.
Sul nuovissimo ma modesto campo della Bakcell Arena di Baku (11mila posti di capienza), in Azerbaigian, bastava un punto per superare il turno senza passare dagli spareggi. I russi l’hanno ottenuto addomesticando “all’italiana” un match molto tattico contro i padroni di casa allenati da Berti Vogts: il gol giunge al 15’, grazie a un passaggio filtrante che permette a Shirokov di trovarsi a tu per tu con l’estremo azero e infilarlo facilmente. Le migliori occasioni nella ripresa sono ancora di marca ospite, ma sono i caucasici, in dieci dal 73’, ad andare in rete allo scadere sulla prima vera azione da gol: il pareggio arriva da una punizione, con cross a spiovere in area e colpo di testa vincente del neoentrato Javadov. In concreto non cambia nulla: la Russia è prima con 22 punti, il Portogallo senza Cristiano Ronaldo, reduce da un inutile 3-0 col Lussemburgo, resta dietro di una lunghezza.
Per la credibilità del calcio russo era indispensabile rientrare nel novero delle Nazionali che contano in vista dei Mondiali che il Paese si appresta ad ospitare, per la prima volta, nel 2018. Un segnale importante nel momento in cui il calcio dei paperoni segna anche qui una battuta d’arresto: è notizia recente la chiusura dell’Accademia nazionale di calcio finanziata da Roman Abramovich. Nel corso degli ultimi anni, la fondazione del magnate del Chelsea aveva investito dai 150 ai 200 milioni di dollari in strutture e programmi per la diffusione del calcio, pagando con i suoi fondi, tra l’altro, i sette milioni di stipendio annuale di Guus Hiddink, c.t. della Nazionale dal 2006 al 2010. Abramovich non è il solo miliardario ad aver chiuso i rubinetti: anche il patron dell’Anzhi Machackala, Suleyman Karimov, ha smobilitato vendendo in estate i pezzi pregiati del club e ridimensionando il folle sogno di portare il grande calcio nella capitale del Daghestan, una delle regioni più povere e insicure della Russia. La squadra del Fitzcarraldo del Caucaso, per la cronaca, al momento è ultima nella Premier Liga con sei sconfitte e sei pareggi.
Con la fine dell’Unione Sovietica, il destino del pallone ha seguito quello politico in una spirale di rimpianti e nostalgia della perduta grandezza: se dal 1958 la Nazionale dell’Urss aveva mancato la qualificazione ai Mondiali in una sola occasione, portando a casa anche l’Europeo del 1960 e due ori olimpici, la presenza della Federazione Russa nel gotha mondiale è stata molto più intermittente. Due eliminazioni al primo turno, Usa 1994 e Giappone-Corea del Sud 2002, e tre mancate qualificazioni, tra cui quelle degli ultimi due mondiali. Più memorabile, per i tifosi azzurri, il doppio spareggio contro l’Italia per Francia ’98: nella partita di andata, giocata il 19 ottobre 1997 e finita 1-1, esordì alla mezzora l’allora diciannovenne Gigi Buffon, rilevando l’infortunato Pagliuca che a sua volta sostituiva il titolare Angelo Peruzzi. Il resto è storia.
Don Fabio Capello è quindi riuscito nell’impresa in cui anche il mago Hiddink aveva fallito, dando gioco e solidità alla squadra e speranze ad un movimento calcistico che dovrà dimostrare di saper camminare sulle sue gambe, anche a fronte del disimpegno di alcuni dei suoi onnipresenti finanziatori, fino e oltre i Mondiali 2018. Da ieri sera la Russia è tornata ad essere una potenza, e non soltanto sullo scacchiere politico.