La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini
(Leonardo Sciascia, “Il cavaliere e la morte”)
“In caso di futuro attacco armato russo contro l’Ucraina, su richiesta di uno dei partecipanti, questi ultimi si consultano entro ventiquattro ore per determinare le misure successive necessarie per contrastare o scoraggiare l’aggressione”.
Così recita l’art.11, punto 1, dell’Accordo di cooperazione in materia di sicurezza firmato a Kiev, lo scorso 24 febbraio, dal nostro presidente del Consiglio e dal presidente della Repubblica ucraino. Formule pressoché identiche appaiono negli analoghi “accordi di sicurezza” bilaterali sottoscritti nei giorni precedenti, fra gli altri, dalla Francia, dalla Germania e dal Regno Unito.
Sebbene l’impegno a concludere tali accordi con l’Ucraina fosse stato assunto dai Paesi del G7 fin dal 12 luglio 2023, con una dichiarazione congiunta sottoscritta al Vertice Nato di Vilnius, non pare il caso di sottostimarne l’importanza. La formula citata in apertura, infatti, può essere considerata una versione attenuata dell’art.5 del Trattato Nord Atlantico, evidentemente intesa a garantire l’Ucraina da possibili nuovi attacchi moscoviti nelle more della sua adesione alla Nato, più volte citata come obiettivo strategico nel testo degli accordi. Certo, questi non dicono, come il loro illustre modello, che l’attacco subito da una parte verrà considerato dall’altra come rivolto contro sé stessa: ma la dovizia di impegni militari ed economici che essi prevedono non lascia molto spazio all’immaginazione, come del resto il durissimo linguaggio utilizzato nei confronti del nemico russo.
Sappiamo bene che gli “accordi di mutua sicurezza”, anche quando ormai privi di alternative – si pensi a quello anglo-polacco del 1939 – hanno spesso causato morte e distruzione sia per i Paesi che li concludono, sia per quelli contro cui sono rivolti. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e, forse ancor più, il terribile gioco di alleanze che scatenò la Prima ne sono ampiamente testimoni. Possiamo solo sperare che, in questo caso, si possa invece pervenire al più presto a quella “pace giusta” che soprattutto da parte euro-atlantica si ama menzionare: sempre, naturalmente, che i contendenti si accordino prima sul significato dell’aggettivo “giusta”.
Ma vogliamo qui ricordare una vicenda apparentemente secondaria, che ha però molto a che vedere con gli accordi bilaterali di sicurezza firmati in questi giorni. Il 18 maggio 2022, meno di tre mesi dopo l’invasione russa, l’allora Ministro degli Esteri Di Maio presentò al Segretario Generale dell’Onu Guterres un “piano di pace italiano” articolato in quattro punti: cessate il fuoco; neutralità internazionalmente garantita dell’Ucraina; larga autonomia per i territori contesi; negoziazione di un accordo multilaterale sulla pace e la sicurezza in Europa.
Il testo del piano non fu mai diffuso nella sua interezza e lo stesso Di Maio ne parlò in seguito come di un documento “allo stato embrionale”; né l’allora Presidente del Consiglio Mario Draghi, che doveva evidentemente esserne informato, lo citò mai nelle sue pur numerose esternazioni sulla crisi russo-ucraina.
In effetti, alcune delle proposte italiane potevano forse apparire distanti dalla realtà del terreno. Ma vogliamo qui sottolineare l’importanza del secondo dei quattro punti del piano, quello relativo alle “garanzie”.
Ci aiuta, in questo senso, un’intervista rilasciata il 7 maggio 2022 (quindi una decina di giorni prima della presentazione del piano) al quotidiano “Il Mattino” da Pasquale Ferrara, Direttore Generale per gli affari politici e di sicurezza della Farnesina e probabile artefice della bozza. Nell’intervista, intitolata “Le quattro condizioni per trattare con Putin”, l’Ambasciatore Ferrara affermava fra l’altro: “…qualora l’Ucraina decidesse di assumere uno status di neutralità internazionale, sarà necessario stabilire in quali forme e con quali implicazioni alcuni Paesi possano farne da garanti, e l’Italia si è detta pienamente disponibile a concorrere a questa soluzione”. Ecco, dunque, le garanzie di sicurezza: messe però in rapporto con un’auspicabile neutralità di Kiev e non, come oggi, con il suo schieramento a Occidente. Un’intuizione di grande valore della Farnesina che, se fosse stata allora seguita (come spiega Lucio Caracciolo nell’editoriale apparso sul numero 1/2024 di “Limes”), avrebbe potuto quanto meno contribuire a un alleggerimento della situazione, non ancora avvitata su sé stessa e praticamente irrisolvibile come appare oggi. Tanto più che il quarto punto del piano, relativo a un possibile accordo multilaterale sulla sicurezza europea (cosiddetta “nuova Helsinki”), avrebbe forse potuto spingere Putin ad ammorbidire le sue posizioni sulla questione territoriale, costituendo un obiettivo a lungo perseguito dalla Federazione Russa.
Del senno di poi, si sa, son piene le fosse: ma, nonostante le roboanti dichiarazioni di Zelensky (e di vari altri leader), è difficile, almeno per chi scrive, non pensare amaramente che un’Ucraina “finlandizzata” – nel senso, ovviamente, della Finlandia neutrale ante 2022 – e come tale internazionalmente garantita avrebbe avuto una sorte molto migliore di quella “coreana” che sembra ormai prefigurarsi per lei e per la sua martoriata popolazione.