Due fatti nuovi, occorsi negli ultimi giorni, prefigurano un possibile nuovo e più incisivo ruolo dell’Italia nello scenario geopolitico euromediterraneo.
Il primo di questi fatti rappresenta la risposta di alcuni paesi dell’Unione Europea, segnatamente Italia, Franca e Germania, alle insidie determinatesi nel canale di Suez a seguito degli atti di “pirateria” degli Huthi nel Mar Rosso, all’imbocco dell’ingresso meridionale del canale di Suez. Le conseguenze di queste azioni, intensificate con progressione quasi geometrica a partire da 5 mesi addietro, sono l’aumento del 350% dei costi di trasporto di un container da Shangai a Genova, un possibile aumento del 70% del prezzo del gas importato dal Qatar (che aveva sostituito gli approvvigionamenti dalla Russia), un incremento generale dei prezzi in Europa del 1,8% nei prossimi 12 mesi, un insopportabile aumento dei prezzi dei fertilizzanti prodotti in India e in altri paesi asiatici per la nostra agricoltura su un fatturato che, nel 2023, ha raggiunto i 200 milioni di euro.
Usa e Gran Bretagna hanno dato luogo all’operazione “Prosperity Guardian” inviando nel Golfo di Aden navi e mezzi militari per difendere i loro convogli – merci da possibili attacchi missilistici degli Huthi, spalleggiati apertamente dall’Iran.
L’operazione Aspides
A questa operazione l’Italia non si è accodata e invece, con Francia e Germania, partecipa alle missioni “Aspides”, inviando in quello scacchiere una fregata europea multi missionaria (Fremm); inoltre si sta programmando di attrezzare, sempre tra Italia, Francia, Germania e Grecia, un’altra missione da aggiungere alla “Aspides”, la missione “Atalanta” con la quale verrà disposto, a partire dall’8 febbraio, il trasloco nell’area della fregata “Martinengo”. Qual è il senso di queste operazioni, se non quello che i paesi europei fondatori dell’Unione, finalmente, decidono di giocare una partita, dagli evidenti risvolti militari, in proprio, in maniera distinta dagli Usa e dalla Gran Bretagna, per riguadagnare in quello scacchiere autorevolezza e un minimo di potere deterrente e di dissuasione?
Ha affermato Giorgia Meloni al riguardo: «La missione navale Ue nel Mar Rosso è prevalentemente di politica di difesa. Da li transita il 15% del commercio mondiale, impedire il passaggio dei prodotti significa un aumento dei prezzi spropositato, non possiamo accettare la minaccia degli Huthi nel Mar Rosso.»Questa operazione, legittima e promettente nella prospettiva di una più solidale difesa europea, ha bisogno però di essere accompagnata anche da una prudente e circospetta azione politico – diplomatica, rivolta all’Iran e allo Yemen.
Il Piano Mattei
Il secondo fatto significativo è stato quello della conferenza italo-africana del 28 e 29 gennaio scorso, durante la quale è stato presentato il “Piano Mattei” per l’Africa. Vi hanno partecipato i rappresentanti di ben 57 paesi africani, con 15 capi di stato e 8 capi di governo ed 11 ministri degli Esteri. Il governo, per dare un segno tangibile di concretezza e dissipare ogni esitazione o dubbio che si potesse trattare solo di una sorta di “passarella” a scopi propagandistici, ha messo sul piatto uno stanziamento di 5,5 miliardi di euro e Giorgia Meloni ha più volte ribadito che il Piano “Mattei” per l’Africa si muoverebbe nel solco di un approccio solidaristico ai problemi del Terzo Mondo africano, non di tipo “predatorio” o neo-coloniale. Ha dichiarato Roberto Napoletano nel suo editoriale su “Il Quotidiano del Sud” del 29 gennaio scorso: «Questo giornale crede nella intuizione strategica del Piano Mattei ed è merito della Presidente del Consiglio italiana di aver messo l’Africa al centro del dibattito tra il Nord e il Sud globale e di averlo fatto con una logica non predatoria che appartiene alla cultura storica italiana dei La Pira e dei Mattei».
Oltre allo stanziamento dei 5,5 miliardi di euro, vi sono altri punti tangibili e concreti che dimostrano quanto possano essere serie e determinate le intenzioni della Premier e del Governo su questo tema e come con rigore si voglia fornire a questi paesi non “il pesce bello e pescato”, magari anche “spinato” ma la canna con laquale pescarsi il pesce in proprio, per restare nell’ambito di una metafora spesso utilizzata in questi contesti e su questi temi. Per esempio è in corso la progressiva sottoscrizione di accordi di scambio tra università italiane e università africane per 900 milioni di euro, un’azione che mira a trasferire competenze e conoscenze elevate, con il tutoraggio dei nostri migliori atenei, nei sistemi formativi di quei paesi. Iniziative analoghe sono state annunziate dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano per la valorizzazione dei beni culturali africani onde farne un volano del turismo africano. Nel corso della conferenza il ministro della Sovranità Agricola Francesco Lollobrigida ha illustrato anche gli indirizzi di politica agricola previste nel “Piano Mattei”affermando: «abbiamo rilevato la grande anomalia del continente africano, che ha il 60% delle terre arabili, la forza lavoro più giovane del mondo, ma non è in grado di essere autosufficiente a livello alimentare. Noi vogliamo convincere l’Ue e i Paesi del G7 a guardare all’Africa come una potenzialità non solo per la quantità ma anche per la qualità del cibo, e per risolvere a monte problemi come immigrazione illegale e malnutrizione, che poi i paesi europei sono costretti ad affrontare a valle».
La premier si è anche impegnata a portare sul tavolo della discussione del prossimo G 7, che sarà presieduto dall’Italia,l’annosa questione del debito africano che rappresenta una vera e propria palla al piede delle nazioni del continente africano. La Nigeria che è il più grande e popoloso paese africano, nonché tra i più grandi produttori al mondo di idrocarburi, dedica il 90% delle sue entrate fiscali al solo pagamento degli interessi sul debito pubblico, precludendosi ogni possibilità di restituire a richiesta il capitale o di fare investimenti di sviluppo. Su questo tema, alla stessa stregua di come Giorgia Meloni è riuscita a coinvolgere nella Conferenza Italo – Africana Ursula Von der Leyen e Roberta Metsola, vi sarebbe bisogno che potesse e riuscisse a coinvolgere anche i più grandi paesi europei.
Altri provvedimenti concreti e facilmente realizzabili, che fornirebbero a questi paesi un ulteriore segno di fattività e di sincerità di propositi, sarebbero quelli di riavviare progetti di infrastrutture che aziende e società di progettazione italiane hanno già pronti e che negli ultimi anni si sono arenati. Il più interessante di tutti è quello che riguarda la connessione tra il fiume Congo e il lago Ciad, finalizzata ad arrestare il deupaperamento idrico del lago registrato negli ultimi decenni passando da una superficie di 25.000 kmq del 1960 all’attuale superficie di poco meno che 1.500 kmq. Il progetto appartiene alla società d’ingegneria italiana Bonifica spa” del gruppo IRI ed è stato denominato Transaqua. I ritardi hanno provocato l’inserimento della società cinese Powerchina con il rischio di vedercelo sottratto dalla potenza geopolitica che prima di altre si è mossa nel continente africano a destabilizzare l’egemonia cosìdetta “occidentale”. Al pari di questo progetto ve ne sono altri di pari importanza strategica e che riguardano assi ferroviari, assi autostradali e dighe.
In tal senso Mattei docet: spesso gli interventi dell’Eni nei paesi del Mediterrano non risultavano tanto utili in termini di approvvigionamento di idrocarburi quanto di esportazione di ciò che egli definiva “il lavoro italiano”, cioè un patrimonio di conoscenze e competenze di avanguardia, necessario per incrementare il nostro export ma anche per lo sviluppo di quei paesi, al fine di poter contribuire acché si emancipassero dalla condizione di paesi sottosviluppati.