Il 2024 sarà finalmente l’anno della Partecipazione realizzata? Dopo decenni di dibattiti, ma soprattutto di aspettative mai concretizzate, a causa del prevalere, nelle relazioni sociali, di una visione classista e conflittuale, va oggi registrato un interesse “trasversale” rispetto alla volontà di dare piena attuazione all’art. 46 della Costituzione italiana, che riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
Tale interesse si è espresso in cinque proposte di legge, oggi all’attenzione dei competenti organismi parlamentari, e al progetto dell’Ispa (Istituto Stato e Partecipazione), condiviso dall’Ugl, in via di presentazione.
Una grande novità è venuta dalla Cisl, che ha deciso di farsi carico della questione, lanciando una raccolta di firme a sostegno di una proposta una legge di iniziativa popolare sulla partecipazione, valutata positivamente dal Segretario Generale dell’Ugl , Paolo Capone: “Apprezziamo – ha dichiarato Capone – l’apertura e la sensibilità mostrata su questo tema dal Segretario Generale Luigi Sbarra in occasione del XIX Congresso Confederale della CISL. E’ necessario superare le barricate ideologiche e passare dalla lotta di classe a un patto tra capitale e lavoro basato sulla collaborazione. Ha ragione Sbarra quando sostiene che l’unità sindacale non è più un feticcio ma uno strumento per raggiungere determinati obiettivi, a partire dalla difesa dei diritti e del potere d’acquisto dei lavoratori. Il momento storico che stiamo attraversando impone più che mai un rafforzamento dei corpi intermedi e l’avvio di una nuova fase nelle relazioni fra Governo e parti sociali”.
L’Ugl, (e prima ancora la Cisnal di cui essa è erede) in quanto espressione della migliore cultura partecipativa, ha sempre fatto una bandiera della partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili d’impresa, al contrario delle altre confederazioni sindacali, le quali non si sono purtroppo comportate allo stesso modo, spesso cavalcando la conflittualità sociale. La Cisl compresa.
Lascia perciò perplessi l’intervento di Raffaele Bonanni, pubblicato, il 26 gennaio sul sito cattolico “In Terris”, impegnato a rivendicare un passato partecipativo alla Cisl, di cui è stato Segretario generale (dal 2006 al 2014): “La Cisl, dal dopoguerra, ha tentato più volte di far attuare l’articolo 46 della Costituzione sulla partecipazione dei lavoratori alle decisioni delle imprese. Un tema molto vicino alla cultura della partecipazione responsabile dei lavoratori indicata dalla Dottrina sociale della Chiesa Cattolica, che vede nella partecipazione responsabile dei lavoratori l’affermazione della dignità del lavoro ed il mezzo per sviluppare la buona economia”. E giù accuse contro l’alleanza tra liberisti e sinistra, impegnata “a ostacolare l’attuazione della perla più splendente della cultura sociale europea, pilastro della economia sociale di mercato”.
Sia chiaro: l’attuale scelta della Cisl, guidata da Sbarra, non può non piacerci. Lo abbiamo detto e scritto da più parti. Non possono tuttavia essere dimenticati gli orientamenti conflittuali, cavalcati spregiudicatamente dal “Sindacato Cattolico” – parliamo del ventennio Sessanta-Ottanta – che cozzano con il presunto impegno della Cisl – evocato da Bonanni – a dare piena attuazione all’articolo 46 della Costituzione. Allora a prevalere erano l’unitarismo di classe e la strategia, affermata, nel 1969, da Bruno Storti (Segretario Generale della Cisl dal 1958 al 1976), in base alla formula “potere contro potere”, contro la “tendenza all’uso autoritario delle istituzioni”; con la contrapposizione da parte della classe lavoratrice, in ragione della propria forza, la propria volontà di rinnovamento e di progresso; contro quanti esortavano i sindacati “alla ragionevolezza” in vista delle vicine scadenze contrattuali.
Quanta attenzione verso l’inattuato art. 46 della Costituzione c’era in quella Cisl ? Quanta volontà partecipativa? E quanti richiami alla Dottrina sociale della Chiesa Cattolica ? Molto pochi – bisogna dire.
Come ha scritto Guido Baglioni, storico del sindacato di Via Po (La lunga marcia della Cisl, il Mulino, Bologna 2011): “Questo impegno si manifesta fino a oggi più nelle intenzioni che nelle applicazioni”. E’ infatti necessario aspettare gli ultimi anni ’90 per ritrovare nella Cisl, guidata da Sergio D’Antoni, tracce partecipative e la condivisione delle proposte di legge presentate, nel 2009, da Maurizio Castro, Pietro Ichino e Tiziano Treu, e poi unificate. Senza addivenire però a risultati concreti dal punto di vista legislativo.
Solo di recente, grazie all’accelerazione data da Sbarra, il tema ha trovato un’organica centralità nell’azione cislina. Ne siamo ovviamente ben lieti, convinti, da sempre, che un tema essenziale come l’applicazione dell’art. 46 Costituzione, necessiti del coinvolgimento trasversale di quanti credono nel suo valore.
Alcuni, a sinistra, paiono ancora tiepidi. Altri – sul versante del centrodestra – confermano uno storico impegno, caratterizzante l’identità storica della destra italiana. Sul fronte sindacale l’Ugl riafferma uno degli Obiettivi finalistici del sindacalismo nazionale, fissati nel convegno di studi della Cisnal , tenutosi a Roma dal 20 al 22 ottobre 1951. La Cisl recupera una memoria partecipativa, rivendicando – in sede di presentazione della sua Proposta di legge di iniziativa popolare – l’emendamento dell’ On. Gronchi presentato all’Assemblea Costituente (insieme agli Onorevoli Storchi, Fanfani e Pastore), che portò all’approvazione dell’art. 46, esplicitato su tre concetti fondamentali a cui l’articolo avrebbe dovuto ispirarsi: “la ‘preminenza del lavoro’, che deve essere elevato da strumento della produzione a collaboratore della stessa; la necessità di una progressività ‘nell’inserzione del lavoro nei posti direttivi della vita economica’; la necessità di operare ‘in armonia con le esigenze della produzione’”.
Lungi da noi il volere rinfacciare vecchi schematismi ideologici alla Cisl. Un po’ di chiarezza va però fatta evitando amnesie e storici fraintendimenti. A ciascuno il suo: almeno questo pensiamo di poterlo pretendere.