Le guerre in Ucraina e in Palestina hanno riacceso due spaccature verticali nella destra e nella sinistra. Esistono, per dirla in modo approssimativo, una destra e una sinistra occidentaliste, filoamericane, filoisraeliane e una destra e una sinistra antioccidentali, antiamericane, filopalestinesi. Più sfumature intermedie. Le prime due vengono considerate “liberali” anche se sono poi propense alla guerra e all’interventismo militare. Le altre due, invece, vengono considerate estremiste se non antisemite ma non vogliono risolvere i conflitti con le guerre e i genocidi.
È curioso sottolineare subito una novità nel gergo della politica: fino a ieri la sinistra radicale veniva accusata di essere rimasta comunista, anarchica, estremista; ora invece viene accusata, come la destra radicale, di essere fascista. La vera novità è che l’appellativo fascista non è più usato solo dai progressisti e antifascisti militanti, ma è in uso pure a destra, tra ministri, leader politici e ausiliari del governo Meloni, per squalificare il nemico. Un esempio fra tutti: Salvini definisce i movimenti filopalestinesi scesi in piazza “fascisti”, pur essendo di sinistra radicale.
È ipocrita continuare a vedere la realtà con un occhio solo in casa altrui, senza vedere la spaccatura in casa propria. Volendoci in questo caso dedicare alla divaricazione in seno alla destra, qual è l’origine di questa spaccatura, da dove nasce, in che cosa si differenziano? E’ una domanda che mi pone un lettore, Lorenzo Abbamondi, notando la mia dissonanza dalla linea atlantista; ma è una domanda che investe oggi il governo Meloni e il suo elettorato. Mezza destra non condivide la posizione filoatlantica e filointerventista assunta dal governo Meloni nei due conflitti; mezza destra, invece, la condivide. Questa divaricazione si rispecchia anche tra i lettori de la Verità. Ma esiste in realtà da decenni. C’è sempre stata una destra filoamericana, occidentalista, liberal-conservatrice e una destra sociale, nazionalpopolare e nazionaleuropea, assai critica nei confronti dell’atlantismo e dell’americanizzazione. Una lacerazione che attraversò la storia della destra e l’Msi in particolare. Con curiosi scambi di ruoli e mutamenti di rotta. Successe per esempio quando Pino Rauti guidò brevemente il Msi al tempo della guerra del Golfo, e si schierò a sorpresa con la linea filoamericana e filointerventista, con la curiosa opposizione interna di Fini che invece andò in Iraq con Jean-Marie Le Pen a portare la solidarietà a Saddam Hussein. La stessa spaccatura si rifletteva nella stampa: ad esempio Vittorio Feltri schierava decisamente a destra il settimanale L’Europeo, con i falchi, per la guerra, con l’America e in seguito con Oriana Fallaci; invece il piccolo mondo culturale di destra, la destra sociale e la nuova destra, si schieravano con Papa Giovanni Paolo II e la rivista Il Sabato di Comunione e liberazione contro la guerra in Iraq, le sanzioni e la pretesa americana di essere il gendarme del pianeta.
Ma raccontata la storia, resta ancora inevasa la domanda di fondo. Perché lo stesso mondo di destra che si riconosce in alcuni principi e valori comuni e in comuni avversioni, poi si divide così nettamente? Facile sbrigarsela dicendo che gli uni sono liberali o convertiti al liberalismo mentre gli altri restano fascisti o nazionalisti radicali. Per essere liberali i primi si scoprono troppo falchi, militaristi e bellicisti, poco propensi al dialogo e al pluralismo; per essere fascisti i secondi sono troppo colombe, pacifisti, pluralisti e antioccidentali, come non furono i fascisti e nemmeno i nazisti.
Lasciamo allora le comode coperte di Linus del passato e facciamo un passo ulteriore nelle motivazioni del presente. Da una parte c’è chi difende il primato mondiale dell’Occidente, o pone l’autodifesa dell’Occidente “assediato” come priorità assoluta e vitale. Dall’altra, parte, invece, c’è chi ritiene che l’Occidente sia oggi la negazione della sua civiltà; una macchina senz’anima, fondata sulla tecnica e sulla finanza, pervasa da un egoismo cinico e corrotto, senza più un compito, una radice, un’identità e un’idea.
I primi reputano gli Stati Uniti l’argine a tutte le dittature, i terrorismi e i regimi dispotici del mondo e dunque una garanzia del nostro benessere, della nostra sicurezza e della nostra libertà; i secondi ritengono che il “nuovo ordine mondiale” americano, oltre ad aver generato e ampliato molti conflitti sanguinosi, sia ormai tramontato e dobbiamo più realisticamente disporci a vivere in un mondo in cui l’Occidente è solo una parte minoritaria del pianeta, per giunta in preda a una crisi tremenda di valori, di civiltà e di natalità. Anzi, l’Occidente in sé è uno pseudo-concetto, perché una cosa è l’Europa, un’altra è l’America latina e un’altra ancora gli Stati Uniti e il Canada. Sarebbe come parlare d’Oriente senza considerare che Islam, Cina, India e Russia sono mondi diversi, con strategie e culture differenti. (A parte le ulteriori divisioni nell’Islam, tra sunniti e sciiti, tra stati arabi, Iran e Turchia). L’ipotesi che ne deriva è un mondo multipolare, senza pretese di dominio mondiale di nessuno.
Le due posizioni si accusano a vicenda di fare il gioco del nemico. Per gli uni la globalizzazione made in Usa è il nemico principale della nostra civiltà, e il veleno dei popoli; per gli altri criticare l’Occidente significa lavorare per l’Islam, per la Cina o per la Russia. Entrambi si accusano di accelerare e aggravare i rischi di una disfatta: l’una dichiarando guerra al mondo e ricorrendo alle armi, l’altra disarmandoci e non reagendo con vigore ai focolai di guerra nel mondo. Sullo sfondo resta un dubbio: è peggio vivere sotto la cappa del nichilismo occidentale o sotto un regime cinese o islamico? Ossia: preferite la padella o la brace? Come si vede, non si può tagliare il mondo con l’accetta, semplificare e banalizzare la situazione; occorre spirito critico e capacità di mediazione. Ma è inutile negarlo: quella duplice ferita, a destra e a sinistra, esiste e non si può facilmente risanare o ricucire.
La Verità – 10 novembre 2023
Destra e sinistra, in Italia (ed un po’ ovunque), sono sempre state divise, sin dal Risorgimento e prima della fondazione dei partiti come li concepiamo oggi. Nel 1915 forse che destra e sinistra sapevano bene dove andare (e c’era una spaventosa guerra europea già in corso) e con chi? No, ognuno aveva le sue posizioni, interessi, calcoli grandiosi o meschini, e poi le sintesi di fatto servirono fino al 1918. Poi riesplosero violente le contrapposizioni. Il MSI esemplifica, nella sua storia, l’incontro e scontro di differenti visioni della politica, del mondo, delle idee fondanti… Detto del problema, come bene fa Veneziani, dobbiamo, credo, accettare la realtà per quella che è. Molte teste, molte idee, e volerle irregimentare a tutti i costi non serve. Se ne accorse Mussolini, e non solo lui, il 25 Luglio 1943…