A meno di un anno e mezzo dalla sua elezione trionfale, il sostegno alla coalizione social-comunista che ha fatto eleggere il presidente del Cile Gabriel Boric si è pressoché dissolto. L’ultima, tremenda, batosta è arrivata dalle elezioni dell’assemblea costituente, l’organismo che dovrà redigere la nuova carta costituzionale dopo che quella elaborata dal governo è stata respinta, lo scorso settembre, dal 62% degli elettori cileni. Ebbene, nei giorni scorsi dalle urne è uscita una nuova solenne stangata per Boric, con un’imprevista impennata dal partito repubblicano di Antonio Kast (destra), che ha raggiunto il 36% dei consensi, che vanno ad aggiungersi al 21% della lista Chile Seguro (conservatori di centro destra); mentre la coalizione filogovernativa Unidad por el Chile si è fermata al 28,4%. Ciò significa che l’assemblea costituzionale sarà composta a grande maggioranza da esponenti del centrodestra e presumibilmente varerà una carta costituzionale molto diversa da quella proposta lo scorso anno da Boric, considerata all’avanguardia in materia di diritti civili (aborto, eutanasia, diritti Lgbt, propaganda gender, concessioni alle comunità indigene…) ma sonoramente bocciata dal popolo cileno. Una volta approvata dall’assemblea costituente, la nuova carta verrà di nuovo sottoposta al referendum popolare.
Dopo poco più di un anno di presidenza, quindi, Boric appare già azzoppato. Indebolito dalla forte ripresa della destra ma anche dallo scetticismo che lo circonda da parte dell’estrema sinistra, area dalla quale proviene e che ha avuto un ruolo tutt’altro che secondario nella sua elezione alla presidenza. Le frange più estreme rimproverano a Boric l’eccessivo moderatismo che finora gli ha impedito di portare a termine molte delle promesse elettorali, dal parziale smantellamento del modello neoliberista all’aumento delle tasse ai cosiddetti “super-ricchi” e alle imprese per finanziare le riforme sociali; dalla radicale riforma del sistema pensionistico privato all’eliminazione graduale del sistema di assicurazioni sanitarie private. Per non parlare della riduzione della settimana lavorativa da 45 a 40 ore, dell’aumento del salario minimo e dell’introduzione di sussidi per giovani e donne; oppure del rafforzamento della scuola pubblica e della riforma strutturale del corpo dei Carabineros, i principali responsabili della repressione violenta compiuta dalle forze di sicurezza cilene durante le proteste degli anni scorsi.
Tutti questi punti rimangono nell’agenda del governo social-comunista, ma com’era prevedibile il giovane presidente sta cercando di affrontare i nodi della politica interna in modo pragmatico e riformista, mentre gran parte del suo elettorato sperava in una specie di “rivoluzione” immediata. Tutto ciò ha portato Boric a picco nei sondaggi di gradimento dell’opinione pubblica, mentre invece, paradossalmente, i Carabineros si confermano l’istituzione che gode della maggior fiducia dei cittadini, con l’83% del consenso. A conferma della cauta svolta del presidente ci sono i due rimpasti di governo in poco più di un anno, che hanno ribadito lo spostamento dell’equilibrio della Moneda verso un assetto decisamente più moderato, con l’ingresso di alcune figure provenienti dal centrosinistra più tradizionale e che ha guidato il Cile tra il 1990 e il 2010.
Tra i motivi di forte indebolimento del presidente c’è anche la questione sicurezza, in particolare per i focolai di guerriglia degli indios mapuche nel sud del Paese. Secondo una recente indagine dell’istituto Cadem, con la presidenza Boric è aumentato il senso di insicurezza da parte dei cittadini, anche se il tasso di criminalità non avrebbe subito particolari modifiche, ma le proteste spesso violente dei mapuche e un certo rilassamento governativo in materia di immigrazione (il Cile è meta ambita da immigrati clandestini peruviani, boliviani e ecuadoregni) ha fatto salire alle stelle la paura della gente comune, la percezione del pericolo. E gran parte degli analisti politici scommette che proprio sulla questione sicurezza si giocherà il futuro di Boric.
Le batoste elettorali e la questione sicurezza hanno invece fatto passare in secondo piano il campo nel quale il governo Boric sta ottenendo i risultati migliori, vale a dire l’economia. Contrariamente alle aspettative, il 2022 si è concluso con un saldo fiscale positivo tra entrate e uscite, cosa che non si vedeva da un decennio, grazie a una serie di interventi sulla spesa pubblica. Gli investimenti esteri hanno mostrato buoni segnali, l’inflazione sembra in diminuzione e l’indice dei prezzi al consumo ha registrato, a sorpresa, un calo. Il presidente è poi riuscito a portare a termine alcune riforme sociali molto importanti: l’assistenza sanitaria gratuita a vantaggio di circa 5 milioni di cittadini, che in precedenza dovevano comunque affrontare delle spese per curarsi, e un significativo aumento dei medicinali disponibili a prezzi calmierati. Tra i suoi cavalli di battaglia elettorale c’era anche l’introduzione del salario minimo di 500 mila pesos cileni (circa 580 euro) entro la fine del mandato: ebbene, il progetto non si è ancora concretizzato, ma nel suo primo anno in carica Boric ha ottenuto significativi aumenti salariali per alcune categorie di lavoratori, per un totale di 800 mila lavoratori. Infine è in dirittura d’arrivo il disegno di legge per la riduzione della settimana lavorativa da 45 a 40 ore.
Gabriel Boric chiede tempo e pazienza per portare avanti le altre riforme promesse, ma intanto dietro di lui si staglia minacciosa la figura di Antonio Kast, il leader populista del partito repubblicano che avanza nei sondaggi e dai banchi dell’opposizione sta provando senza fretta a “cucinare” a fuoco lento il governo più di sinistra dell’America Latina.
Ma come si fa ad avere un Boric per Presidente! Andrebbe preso a calci dalla mattina alla sera…