Anche se si fa fatica a trovarne notizia nella nostra stampa, in Medio Oriente stanno succedendo, in queste ultime settimane, avvenimenti di grande importanza sul piano geopolitico. Riyadh e Damasco si stanno accordando per ripristinare i rapporti diplomatici che si erano interrotti nel 2012 in seguito allo scoppio della guerra civile in Siria. L’Arabia Saudita sosteneva infatti alcune milizie ostili al governo di Assad e, dal momento che la situazione non si è ancora del tutto pacificata, sembrava impossibile che i due Paesi tornassero a parlarsi, ma la Russia, che ha massicciamente sostenuto la Siria nel corso del conflitto, è riuscita favorire l’intesa attraverso la sua opera di mediazione.
Di qualche settimana precedente, e di portata ancora più vasta, è la riconciliazione tra le due storiche potenze nemiche mediorientali, l’Iran e la stessa Arabia Saudita. La firma che ha dato il via alla ripresa dei rapporti fra due Paesi che sembravano inconciliabili è avvenuta a Pechino, poiché è stata proprio la Cina a favorire questo “miracolo diplomatico”. E’ vero che la riapertura di relazioni ufficiali non rappresenta di per se stessa l’inizio di un’alleanza capace di modificare radicalmente la regione, ma non c’è dubbio che il dialogo tra la nazione “rivoluzionaria” sciita e il Paese custode del luogo più sacro ai musulmani sia una sorprendente novità. Basti considerare il fatto che i due Stati si trovano tuttora in uno stato quasi di guerra in Yemen, dove l’Arabia Saudita era intervenuta a favore dell’ex presidente Mansur Hadi, mentre l’Iran, dall’esterno, sostiene le milizie sciite Houthi. C’è adesso la speranza che la riconciliazione favorisca i colloqui di pace, portando al termine una guerra che è stata disastrosa in termini umanitari, anche se “la commozione a mezzo stampa” dell’Occidente poco se ne cura, essendo indirizzata verso altri obiettivi.
Quello che più colpisce, in questi due avvenimenti, è che a tessere la trama diplomatica siano state la Federazione Russa e la Repubblica Popolare cinese, mentre gli Stati Uniti non hanno toccato palla in una regione che li ha sempre visti protagonisti. Non sorprende più di tanto che Iran e Siria si siano affidati a potenze estranee all’Occidente, mentre è rimarchevole che lo abbia fatto l’Arabia Saudita che degli Usa è stata alleato fedelissimo. Ciò dimostra che, in alcune aree del pianeta, la condizione di vassallaggio nei confronti di Washington sta tramontando: alcuni Stati rilevanti, pur rimanendo in buoni rapporti con la superpotenza, ma non le delegano più interamente le proprie scelte e non hanno timore di trattare e stringere accordi con Paesi che pure l’Occidente ritiene, a vario titolo, nemici.
Siamo di fronte alle prime tracce di un mondo multipolare nel quale gli Usa incontrano difficoltà a dettare legge ovunque come in passato. Del resto lo si può constatare anche dai risultati ottenuti dall’offensiva euroamericana contro la Russia, mirante a escluderla totalmente dalla comunità internazionale. E’ vero che c’è stata una netta maggioranza di Stati che, all’Assemblea generale dell’Onu, ha condannato Mosca per la guerra in Ucraina, ma i 52 Paesi che hanno votato contro, si sono astenuti o non hanno partecipato al voto rappresentano pur sempre il 55% della popolazione mondiale. Sembra dunque difficile affermare che il mondo intero esecra la Russia. Vediamo come questo dato si riverbera nelle sanzioni contro Mosca. Ad applicarle è solo il 19% degli Stati che però detiene il 59% del Pil mondiale contro l’81% degli Stati che non lo fa e accumula il 41% del Pil planetario. Secondo dati raccolti lo scorso febbraio, dall’inizio della guerra l’economia russa ha subito addirittura 11.307 provvedimenti sanzionatori ai quali vanno sommati anche quelli comminati nel 2014 dopo l’occupazione della Crimea.
Il presidente Usa Biden, annunciando le prime sanzioni, aveva affermato che lo scopo era quello di provocare un livello di distruzione pari a quello avvenuto in Ucraina per la guerra. Non sembra proprio esserci riuscito se osserviamo le previsioni per il Pil russo che nel 2013 lo vedono in crescita dello 0,3% , mentre quello dell’Italia è al +0,6%, quello dell’area euro al + 0,7 % e quello della Gran Bretagna al -0,6%. Insomma, Mosca farà meglio di Londra roccaforte dell’atlantismo. La Russia, nel 2022, ha perso per effetto delle sanzioni il 9% dell’import, ma sembra avere trovato nuovi fornitori extra occidentali se il calo della sua produzione è stato solo dello 0,6%. Con ciò non vogliamo dire che sanzioni così imponenti, a cui si aggiunge il furto, non vediamo come altro chiamarlo, di 350 miliardi di dollari di riserve finanziarie congelate nelle banche occidentali, non abbiano provocato danni all’economia russa che è stata costretta, e lo sarà ancora più in futuro, a ristrutturare la propria produzione. Va però rilevato che gli Usa e i suoi alleati non sono più in grado di annichilire un grande Paese disobbediente, soprattutto se dotato di ingenti risorse energetiche, perché questo può rivolgersi ad altri mercati.
Come è noto, Mosca ha incrementato la vendita di petrolio e gas a due colossi come India e Cina e con quest’ultima le transazioni si svolgono ormai in yuan. Pechino, il maggiore importatore di petrolio dal Golfo Persico, ha ottenuto dall’Arabia Saudita di incominciare a pagare anche con la propria moneta. Sono primi passi verso, se non la fine, la diminuzione di quello che Giscard d’Estaing definì l’esorbitante privilegio del dollaro, grazie al quale gli Stati Uniti possono consumare più di quanto producono. Lo strapotere del dollaro si basa anche sul fatto che nel 1973 Nixon e Kissinger ottennero che l’Arabia saudita e gli altri Paesi arabi vendessero il petrolio solo in dollari, ottenendo in cambio protezione militare. Ora, che proprio Riyadh venga meno a quell’impegno significa che è in atto una prima de-dollarizzazione dell’economia mondiale.
Chi vive in Europa e negli Stati Uniti, e si informa solo attraverso i media ufficiali, è indotto a credere che il mondo sia solo l’Occidente e che, al di fuori, ci siano esclusivamente popoli ansiosi di “diventare come noi” e di aderire all’ordine internazionale americanocentrico. Ma mentre qui ci si accalora sul gender e sui diritti Lgbtq+, in altre zone del pianeta avvengono però fatti decisivi che testimoniano come miliardi di persone la pensino in un modo un bel po’ diverso. E se un giorno fosse il “piccolo” Occidente a scoprirsi isolato?
La situazione è molto più fluida e più complessa di quanto non venga descritta dai tifosi dell’una o dell’altra fazione ( se ci riferiamo, ovviamente, alla guerra in Ucraina)
Il multipolarismo si attesta e si orienta in base alla difesa dei rispettivi interessi economici sia che si tratti di grandi o medie potenze
La dedolarizzazione avverrà , casomai succederà, quando e se la Cina si libererà dei mille miliardi di dollari di titoli Usa che ha in pancia ( processo che richiederebbe almeno 20 anni pena salasso)
Il commercio di materie prime della Russia verso un mercato o l’ altro diventa ogni giorno più marginale e sempre meno strategica arma di ricatto in confronto alla produzione di nano tecnologie e dello sviluppo della AI
Basta leggere l’intervista al Presidente della Psmc , gigante taiwanese, di sabato scorso sulla Stampa che vale 10 libri di Dugin per spiegare la geopolitica futura
Tim Cook ha passato una settimana a Pechino incontrando ministri
La Turchia ha appena dato l’assenso alla entrata della Finlandia nella Nato
Ed anche l’Europa, timidamente, dà segnali di volersi riprendere
Unico dato certo la sempre più dipendenza russa nei confronti della Cina