
Torniamo, però, ad 80 anni fa, mentre l’Italia si avvicinava, in preda ad una rassegnata disperazione, al 25 Luglio 1943, poi alla resa dell’8 Settembre, alla guerra civile. Cesare Pavese aveva introdotto l’Antologia in Italia nel 1930, dedicandole un articolo. Quell’anno presentò la sua tesi di laurea in Lettere “Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman”. In quel tempo Pavese lesse Babbit di Sinclair Lewis, Premio Nobel Letteratura 1930, uno dei testi fondamentali per capire la società americana del tempo, pubblicata nel 1922: il ritratto perfetto di una classe, la middle-class statunitense, in una sua cornice tipica, una città del Midwest, come quelle abitate e conosciute da Edgar Lee Masters. Pavese volle, allora, capire a fondo lo slang. Intensificò così una fitta corrispondenza con un giovane musicista italoamericano, Antonio Chiuminatto (1904-1973), conosciuto qualche anno prima a Torino, che lo aiutò ad approfondire l’inglese-americano a lui più contemporaneo, oltre ad inviargli parecchi libri.
Nello stesso anno gli morì la madre e Pavese andò ad abitare con la sorella Maria e la sua famiglia nella casa di via Lamarmora 35, a Torino, dove visse fino al penultimo giorno della sua vita. Incominciò in modo sistematico l’attività di traduttore, alternandola all’insegnamento della lingua inglese ed alla pubblicazione, a partire dal novembre 1930 sulla rivista La Cultura, diretta da Arrigo Cajumi, di articoli di critica letteraria dedicati agli autori americani dei quali stava facendo la scoperta e che andava traducendo. Ottenne anche alcune supplenze, incominciò ad impartire lezioni private ed a insegnare nelle scuole serali. Si iscrisse al PNF. Durante l’anno scolastico 1934-35 il ventiseienne Pavese è nominato supplente di italiano presso il suo R. Liceo classico d’Azeglio di Torino. Tra i banchi del d’Azeglio siede una giovanissima Fernanda Pivano, che nei Diari 1917-1973 racconterà il primo incontro con quel professore “giovane giovane” e “lo straordinario privilegio” di ascoltare Pavese mentre “leggeva Dante o Guido Guinizzelli e li rendeva chiari come la luce del sole”. Il primo incontro è caratterizzato dalla reciproca stima e nulla più, anche perché la vita di Pavese viene sconvolta nel 1935 dall’accusa di attività cospirativa antifascista, alla quale segue il carcere e la condanna al confino per tre anni a Brancaleone Calabro (poi ridotta, per grazia, a 8 mesi). Pavese, in realtà, era innocente, poiché la lettera di Altiero Spinelli trovata in una perquisizione, a seguito di una soffiata di Dino Segre ‘Pitigrilli’, era per Tina Pizzardo, la “donna dalla voce rauca” della quale egli si era, al solito, vanamente innamorato. Tina era iscritta al Partito Comunista d’Italia clandestino ed aveva contatti epistolari con Spinelli, le cui lettere pervenivano a casa di Pavese che le aveva permesso di utilizzare il suo indirizzo.
“Tornato dal confino in Calabria, Pavese incontra di nuovo Fernanda Pivano, nel 1938. Pivano è ora un’universitaria iscritta alla facoltà di Lettere, che frequenta anche il Conservatorio ed il supplente del suo ex Liceo si innamora perdutamente di lei. La loro relazione si nutre delle pagine dei romanzi e delle poesie che si scambiano. Pavese le suggerisce le opere di Ernest Hemingway, Walt Whitman, Sherwood Anderson ed Edgar Lee Masters, che tra le mani della donna influenzeranno poi le sorti della letteratura e dell’editoria italiana. Anni più tardi, Pivano porterà come traduttrice la Beat generation nell’Italia del dopoguerra. ‘Faccia sì che il primo incontro avvenga tra noi due soli, perché vorrò abbracciarla e baciarla. Ho deciso’, scrive Pavese nel gennaio del 1943. La giovane non ricambia Pavese con la stessa intensità. Lo scrittore ha già fatto a Fernanda una proposta di matrimonio il 26 luglio 1940, ricevendo un rifiuto, che si ripete al secondo tentativo del 10 luglio 1945, due date che riporterà sul frontespizio del suo romanzo Ferie d’agosto, con una croce a fianco per evidenziare il responso. Pivano è innamorata da anni dell’architetto Ettore Sottsass che sposerà nel 1949, trasferendosi a Milano”.
(Cesare Pavese e Fernanda Pivano. La parabola di un amore che si nutriva di letteratura di Roberta Errico, The Vision, 18.2.2019).
Come detto, la traduzione dell’Antologia, nel marzo 1943, uscì con il solo nome della Pivano, grazie all’ impegno profuso da Pavese, dirigente dell’ Einaudi. Iuri Moscardi, laureatosi alla Statale di Milano con una tesi intitolata Cesare Pavese e la traduzione di “Spoon River” di Fernanda Pivano ha recentemente evidenziato il ponderoso intervento di Pavese. Non solo su errori di lessico, ma anche sulla struttura e sulle scelte stilistiche, tanto che davvero la traduzione può essere definita “frutto di un lavoro a quattro mani”. Pavese “influì sul testo della prima traduzione poiché molte delle sue correzioni passarono a stampa”. Pivano “usufruì perciò della sistemazione del testo fatta da Pavese, ma allo stesso tempo Pavese poté finalmente coronare il suo desiderio di vedere il libro tradotto”. (La mano di Pavese su Spoon River di Massimo Novelli, in Repubblica, 27.8.2023).
In varie interviste (e secondo articoli e blog) Fernanda affermerà di ‘esser stata incarcerata per aver tradotto il libro’: «Era superproibito quel libro in Italia. Parlava della pace, contro la guerra, contro il capitalismo, contro in generale tutta la carica del convenzionalismo. Era tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare, e mi hanno messo in prigione e sono molto contenta di averlo fatto» (La Storia siamo noi, Rai Tre, 25.2.2008). Ciò però non risulta. Del resto l’Antologia fu sequestrata per la copertina, definita ‘immorale’, ma poi subito rimessa in libera circolazione. Né il testo l’avrebbe giustificato, neppure nell’ottica di uno Stato dittatoriale in guerra con gli Stati Uniti. Anzi, le critiche di Edgar Lee Masters alla società americana d’inizio secolo non erano dissimili da quelle additate dalla propaganda fascista…
Diverso discorso quanto successole dopo l’8 settembre 1943, durante l’occupazione tedesca. Pivano viene fermata quando si reca al comando delle SS di Torino dove era trattenuto il fratello Franco, catturato poiché in una precedente retata presso la sede dell’Einaudi era stato trovato il contratto, erroneamente intestato al fratello, per la traduzione del romanzo di Ernest Hemingway A Farewell to Arms, 1929 (Addio alle armi). Tale romanzo sarà pubblicato in Italia solo nel 1945, ed inizialmente presso un altro editore e con un altro traduttore, sia perché ritenuto lesivo dell’onore delle Forze Armate, sia per la descrizione della disfatta di Caporetto (che peraltro l’autore non aveva visto, solo gli venne raccontata), sia per il diffuso antimilitarismo, oltre all’antipatia personale di Mussolini per Hemingway, che in un articolo del 1922, dopo un’intervista, l’aveva definito ‘il più grande bluff d’Europa’! Il fratello è subito rilasciato, ma Pivano, prima di recuperare la libertà, viene interrogata da due ufficiali delle SS tedesche.
Necessaria, forse, una considerazione. Quando la giovane Fernanda Pivano, intelligente, lavoratrice, entusiasta, raccoglie l’eredità della generazione di Pavese, Vittorini, Pintor, il ‘mito americano’ si sta in parte estinguendo o modificando a causa della guerra, della vittoria alleata. Di tale declino si fa interprete lo stesso Cesare Pavese, ormai iscritto al PCI e redattore de l’Unità, con il senso di colpa di aver fatto la Resistenza nascosto in un convento, nel 1947:
‘Sono finiti i tempi in cui scoprivamo l’America. Ora l’America, la grande cultura americana, sono state scoperte e riconosciute, e si può prevedere che per qualche decennio non ci verrà più da quel popolo nulla di simile ai nomi e alle rivelazioni che entusiasmarono la nostra giovinezza prebellica. Tutti i nuovi scrittori poi hanno smarrito quella miracolosa immediatezza espressiva, quel nativo senso della terra e del reale, quella cruda saggezza che ci rese cari, a suo tempo, i Lee Masters, gli Hemingway, i Caldwell. (…) Noi abbiamo compreso che molti Paesi dell’Europa e del mondo sono oggi il laboratorio dove si creano le forme e gli stili, e non c’è nulla che impedisca a chi abbia buona volontà, vivesse magari in un convento, di dire una nuova parola. Ma senza un fascismo a cui opporsi, senza un pensiero cioè storicamente progressivo da incarnare, anche l’America, per quanti grattacieli ed automobili e soldati produca, non sarà più all’avanguardia di nessuna cultura. Senza un pensiero e senza una lotta progressiva, rischierà anzi di darsi essa stessa a un fascismo, e sia pure nel nome delle sue tradizioni migliori’.
(C. Pavese, La letteratura americana e altri saggi, Torino, Einaudi, 1951, in Leonardo Vilei, El mito americano en la obra de Cesare Pavese y su herencia en la canción de autor italiana de los años setenta, Madrid, 2011. https://revistas.ucm.es/index.php).
Come nel ’60 scriverà Davide Lajolo (che ne Il voltagabbana racconta la propria vita e spiega perché abbia abiurato il fascismo per la militanza partigiana) ne Il vizio assurdo: ‘Pavese tentava con quel legame anche disciplinare, di rompere l’isolamento, di collegarsi, di camminare assieme agli altri. Era l’ultima risorsa alla quale si aggrappava per imparare il mestiere di vivere’. Prevalse invece la volontà di auto-annientamento.
Fernanda Pivano, dalla fine degli anni Quaranta in poi, vive il legame profondo e tormentato con il marito, poi notissimo designer di fama mondiale, Ettore Sottsass, e si dedica alle sue passioni preferite: viaggiare e tradurre libri. Ettore Sottsass (Innsbruck, 1917–Milano 2007), figlio dell’architetto trentino-tirolese Ettore Sottsass sr. (progettista del Palazzo della Moda a Torino) e dell’austriaca Antonia Peintner, studia a Torino Architettura al Politecnico, laureandosi nel 1939. Dopo l’8 settembre 1943 Sottsass si arruola volontario nella Divisione Alpina Monterosa, costituita dalla RSI (racconta le sue avventure da Tenente della Divisione Monterosa nella sua autobiografia Scritto di Notte, Adelphi, 2010).
La rivista Vogue li definisce tra le dieci coppie più brillanti del mondo. Il matrimonio, dal quale non nascono figli, entrerà in crisi nel 1971 e nel 1990 Sottsass chiederà il divorzio per risposarsi con il critico d’arte Barbara Radice. Fernanda vive di suggestioni, grandi incontri internazionali con ricchi e famosi, con artisti, con una buona dose di snobismo gauchiste, egolatria, freddezza di fondo, un certo esibito vittimismo, urlato quando il marito la lascerà per una giovane catalana, nel 1971; gusto di scandalizzare gli uditori, bizzarrie e frequentazioni trasgressive. Idealmente ancorata, per certi aspetti, a quel detestato mondo ‘vittoriano’, caro a suo padre, inseparabile dalla sua forma mentis alto borghese. Che può sentirsi a proprio agio a tavola con Indro Montanelli o con un poète maudit come Gregory Corso. Lei non beve alcolici, non si droga, non fa vita libertina, divora cioccolato. Ha belle case a Milano e Roma. Ama i gioielli, gli hotel lussuosi, le cose buone della vita, il glamour. Ha una visione del mondo disobbediente ed underground, forse un po’ infantile. ‘Buddista’ e pacifista ‘ad oltranza’, proclamerà. Considera l’anarchia un’idea splendida, anche se ha dei dubbi sulla realizzabilità della perfezione umana. Preferisce il significato che in America danno alla parola ‘anarchico’ intendendolo come stile di vita anticapitalista, antimilitarista, antinucleare, anticonsumista, anticompetitivo. Un dissenso non violento, dove creatività e immaginazione hanno la possibilità di esprimersi, agire.
In sostanza, una liberal, una radical-chic, diremmo, un po’ alla Jane Fonda e Bob Dylan.
‘La Pivano conosce non solo Hemigway, ma Faulkner, Dos Passos, Mailer, Carver, Borroughs. E poi altri incontri al di fuori dell’ambiente letterario: da Lou Reed a Andy Warhol, da Bob Dylan a Laurie Anderson e Patti Smith. Il suo primo viaggio negli Stati Uniti avviene nel 1956. Nel frattempo ha finalmente tradotto Addio alle Armi di Hemingway per Mondadori del 1949. Nel 1953 scrive l’introduzione del romanzo Di qua dal Paradiso di Francis Scott Fitzgerald. Qualche anno dopo riuscirà a far pubblicare a Mondadori Sulla Strada di Jack Kerouac, di cui curerà la prefazione del libro’.
(Cfr. Fernanda Pivano e il mito della Beat Generation di Enrico Rossi, 18 agosto 2019, https://style.corriere.it/persone/fernanda-pivano-e-il-mito-della-beat-generation).
Nel ’72 Pivano incontra lo psicoanalista, regista e sceneggiatore Ottavio Rosati, fondatore e direttore dei corsi di specializzazione in Psicodramma e Psicoterapia, di 33 anni più giovane, bisessuale, con il quale avrà una relazione complicata durata quasi tre decadi. Scriverà Rosati:
“Sono convinto che con la filosofia di Bertrand Russell, le teorie di Erich Fromm e il mio amore riuscirò a tirar fuori dalla disperazione questa grande scrittrice che non dovrebbe rovinarsi gli occhi a piangere solo perché il marito ha una giovane amante spagnola. Per me l’infelicità di Fernanda è assurda, straziante, insopportabile. Irragionevole. Fernanda è bella, dolce, spiritosa, intelligente, coltissima, emozionante, femminile e musicale. Lei deve reagire. Ottavio la aiuterà con tutte le sue forze, come nel film di Hitchcock Spellbound: io ti salverò. Da tutto e tutti. Anche dal senso di colpa che tormenta la Pivano per non aver corrisposto all’amore di Cesare Pavese che si era tolto la vita lasciando scritto: ‘Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono’ ” (http://www.plays.it/ipod/scritti/ottavio-rosati/616-quattro-decenni-di-plays-con-fernanda-pivano-un-ipertesto-di-ottavio-rosati).
Per due volte Pivano sarà proposta quale Senatore a Vita, a Scalfaro e poi a Ciampi. Suggerimento non accolto, ma l’interessata ‘indennizzata’ con vistose onorificenze, accolte forse con scetticismo, ma esibite volentieri. Lasciate le traduzioni si dedica alla narrativa, oltre che alla saggistica, giornalismo, introduzioni, prefazioni, postfazioni; lucida fin quasi all’ultimo. Scrive, infine, migliaia di pagine autobiografiche, i Diari, pubblicati da Bompiani nel 2008 e 2010 (la seconda parte postuma). Nei quali compie una sorta di strano artificio, non nominando mai i genitori, una sola volta il fratello morto quarantacinquenne senza figli, e neppure Ottavio Rosati, suo compagno per quasi tre decenni. Confesso, assumendomene la grave colpa, di non averli letti!
Senza parenti, la donna si spegne all’età di novantadue anni, la sera del 18 agosto 2009 nella clinica milanese Don Leone Porta, dove era ricoverata da qualche tempo. I funerali si svolgono nella basilica di Santa Maria Assunta di Carignano, Genova, dove dieci anni prima erano stati celebrati i funerali di Fabrizio De André. L’omelia funebre viene officiata da don Andrea Gallo. Vari omaggi, esposizioni, convegni, pubblicazioni sono poi stati dedicati alla illustre scomparsa.
(Cfr. ad es.: Da Lee Masters a Kerouac: quando Fernanda Pivano vuol dire America. Presentato alla Lazio
Film Commission, durante la Festa del cinema di Roma, la nuova edizione del docufilm di Ottavio Rosati
sulla traduttrice genovese che ha portato in Italia quattro generazioni di scrittori Usa, di Eugenio Bruno, 24 ottobre 2020. https://www.ilsole24ore.com/art/da-lee-masters-kerouac-quando-fernanda-pivano-vuol).
Edgar Lee Masters sebbene non abbia mai più replicato il successo dell’Antologia di Spoon
River, rimase uno scrittore prolifico in diversi campi. Pubblicando fino al 1942. Dopo lo scarso esito di The New Spoon River (1924), abbandonò definitivamente la professione di avvocato, che aveva sempre detestato ed abbracciato solo per volontà paterna, dedicandosi molto alla difesa di poveri e lavoratori, per consacrarsi totalmente alla scrittura. Mal gliene incolse: scrisse più di 50 opere che si sommarono alle molte che aveva pubblicato prima dell’ Antología. Raccolte di poesie, opere teatrali, biografie. Pregevoli Lincoln: The Man (1931); Vachel Lindsay: A Poet in America (1935); Whitman (1937); Mark Twain: A Portrait (1938). E l’autobiografia Across Spoon River: An Autobiography (1936). Tuttavia, egli mai riuscì a ripetere quello straordinario successo e finì nella povertà e nell’oblio, come tanti suoi personaggi.
Masters divorzió dalla moglie Helen M. Jenkins (dalla quale aveva avuto tre figli) che fino all’ultimo non ne voleva sapere, da osservante presbiteriana e nonostante i suoi tradimenti, per sposarsi nel 1926 con un’insegnante di 31 anni più giovane, Ellen Coyne, dalla quale ebbe un quarto figlio, all’età di 60 anni, nel 1928. Negli ultimi tempi, lasciato dalla seconda moglie, ben scarsi i rapporti con i figli, le difficoltà economiche fattesi pressanti lo obbligarono a ricorrere all’aiuto di amici per poter sopravvivere. Nel 1942 gli venne assegnata la ‘Robert Frost Medal’ per le sue liriche, con annesso un premio in denaro che gli consentì una boccata d’ossigeno.
Visse durante molti anni, austeramente, al Chelsea Hotel, uno storico albergo situato al 222, 23rd Street West, Manhattan, tra la Seven e l’Eight Avenue, quartiere di Chelsea. Vicino al Flatiron ed al Madison Square Garden. Costruito tra il 1883 e il 1885 venne progettato dall’architetto Philip Hubert in uno stile definito “gotico vittoriano”. Tra i suoi tratti caratteristici vi sono le delicate balconate in ferro battuto con richiami floreali e la grande scalinata, che si estende per dodici piani. Per il Chelsea passarono, a volte per lunghi o lunghissimi periodi, Mark Twain, Thomas Wolfe, Jasper Johns, Jackson Pollocks, Jack Kerouac, Allen Ginsberg, Arthur Miller, Bob Dylan, Charles Bukowski, Iggy Pop, Janis Joplin, John Lennon, Frida Kahlo e più recentemente Stanley Kubrick, John Wayne, Madonna, Al Pacino e Uma Thurman, tra altri residenti famosi. Il Chelsea accettava, infatti, inquilini per periodi prolungati a tariffe assai moderate. Attorno il Midtown South di Manhattan, il ricordo degli anni d’oro della città nel XIX secolo. Allora era il cuore della città e vantava i migliori hotel, ristoranti, teatri, grandi magazzini, opulente abitazioni dei ricchi e potenti. Nel ‘900 rimane un quartiere residenziale, ma si riempie di grattacieli, i ricchi e potenti si spostano più a nord, lungo la Fifth Avenue e la Park Avenue, attorno al Central Park. Famiglie, celebrità, uomini d’affari e newyorkesi di lunga data vivono, infatti, da oltre un secolo nella parte occidentale dell’Upper East Side di Manhattan.
Da poco il Chelsea ha riaperto le porte, dopo un lungo restauro, cambiando la tipologia di hotel, divenendo un approdo di turisti frettolosi, a 250 dollari per notte.
Masters ebbe un tracollo di salute nel 1943, a 75 anni, e finì in residenze per anziani. Sempre più deteriorato, immobilizzato in un letto. Morì a quasi 82 anni, praticamente in miseria e dimenticato, di polmonite, il 5 marzo 1950, a Melrose Park (Pennsylvania), essendo sepolto nel cimitero Oakland di Petersburg. Il figlio più giovane, Hilary, docente universitario e scrittore, puntualizzò gli ultimi anni del padre e le attenzioni disposte in suo beneficio con la madre, Ellen Coyne Masters, in The New York Review, il 21 novembre 1991, contestando inesattezze malevole.
(https://www.nybooks.com/articles/1991/11/21/mastering-masters).
Precedette il suicidio di Cesare Pavese (27 agosto, all’Hotel Roma di Torino) di meno di sei mesi. Che scrisse un breve necrologio (La grande angoscia americana) dello scrittore statunitense su l’Unità del 12 marzo 1950.
Ci lasciò 80 anni di ‘morti che parlano’ in italiano. E come parlano!