A diciotto anni dalla morte di Paolo Colli, fondatore e capo di indiscusso di Fare Verde, abbiamo posto alcune domande a Sandro Marano, poeta, scrittore ed esponente di spicco del movimento ambientalista non conformista.
Marano, qual è stata la maggiore intuizione di Paolo Colli?
“Credo che l’intuizione maggiore di Paolo Colli, che resta vivo nel cuore di tutti coloro che l’hanno conosciuto ed è un’icona dell’ecologismo identitario per le nuove generazioni che non hanno potuto conoscerlo, sia quella dell’ecologia profonda, di un’ecologia cioè che vada al cuore dei problemi senza cedere a considerazioni meramente tecniche, economiche o politiche e in cui l’uomo è da considerare centro di doveri piuttosto che di diritti. Il vero ecologista, amava ripetere, non è chi vuole tornare indietro, ma chi sa proporre soluzioni di ampio respiro, in cui scienza, tecnica ed economia siano dalla parte della Natura vivente e non dalla parte del profitto ad ogni costo. Paolo riassumeva efficacemente questo concetto dicendo che «Abbiamo uno slogan al nostro agire, che è dare voce a chi non vota, cioè farsi interpreti di tutti quegli interessi che non trovano risposte in questo sistema e che vengono compressi: dagli animali agli alberi, ai mari, ma anche e soprattutto alle generazioni future»“.
L’ambientalismo di Sinistra è fallito perché ha voluto dare all’ambiente una connotazione ideologica e politica. Al contrario, Paolo Colli andò oltre gli steccati dialogando in nome dell’ambiente con tutti e, non poche volte, entrò in conflitto con la Destra politica per preservare l’autonomia di Fare Verde. Ci parla del rapporto che ebbe con Alex Langer, leader dell’ambientalismo Verde?
“Facendo suo il pensiero di Alex Langer, che invitava i movimenti verdi a non appiattirsi sui partiti tradizionali e a cercare una sintesi di valori tanto di destra che di sinistra, Paolo fece in modo che Fare Verde divenisse affatto autonoma dai partiti (tra cui quello di riferimento che era il MSI) e da qualunque gruppo economico, riunendo intorno ad un’idea forte, da tutt’Italia, una comunità umana. Con un metodo preciso: il dono di sé, il volontariato al 100%, senza compromessi e senza padroni. E con il coraggio di percorrere strade non facili e non troppo battute. Ben presto a Fare Verde si avvicinarono persone d’ogni provenienza politica e culturale accomunate dal metodo del volontariato e dalla critica al modello di sviluppo capitalistico”.
A diciotto anni dalla morte, cosa le piace ricordare, ancora oggi, di Paolo Colli?
“Paolo ci insegnò il dono: donare qualcosa di se stessi agli altri e alla Natura vivente ci arricchisce, dà un senso alla nostra vita. E questo ideale Paolo l’ha perseguito con tenacia nel corso della sua vita, senza risparmiarsi, a volte sacrificando gli affetti più cari e spesso pagando di tasca propria. Di lui mi aveva colpito fin dal lontano 1991, quando l’avevo conosciuto in occasione di una campagna per il vuoto a rendere come via maestra per risolvere il problema rifiuti, questo duplice aspetto: lo slancio romantico, il bisogno di darsi da un lato e la preparazione culturale e scientifica, la meditata proposta di soluzioni dall’altro. Credo che ben si adatti alla sua figura il detto di Ezra Pound: «Ho cercato di non vedere il mare nella mia tazza di tè personale»“.