Si fa presto a dire Mattei. E’ al fondatore dell’Ente Nazionale Idrocarburi che la presidente del Consiglio ha dichiarato di ispirarsi nel delineare il progetto di fare del nostro Paese un attore chiave della politica energetica europea. Si tratta per l’appunto del Piano Mattei che Meloni aveva lanciato nel corso della sua visita ad Algeri, definendolo “un modello di cooperazione non predatorio, in cui entrambi i partner devono poter crescere e migliorare”.
L’ambizione sottesa a questo disegno è notevole. Partendo dall’Algeria, e poi estendo l’attenzione al Medio Oriente e a diverse regioni dell’Africa, si tratterebbe di trasformare l’Italia nell’hub energetico dell’Europa, incrementando la produzione locale di idrocarburi, in particolare di gas, che avrebbero come prima destinazione il nostro Paese per poi essere indirizzati in vari Stati del Vecchio Continente.
Si dovrebbe incominciare dalla costruzione di un nuovo gasdotto, che trasporterebbe anche idrogeno, dall’Algeria per poi arrivare a sostituire la totalità del gas proveniente dalla Russia, imponendo la rotta Sud-Nord al posto di quella Est-Ovest. Il piano ha grandi obiettivi, ma, a due mesi di distanza dall’annuncio, resta incerto e nebuloso nelle sue realizzazioni concrete. E’ sicuramente un bene che il governo italiano provi a pensare in grande, abbandonando la politica di piccolo cabotaggio che ha spesso contraddistinto la nostra politica estera. Del resto, sul piano dell’energia, l’Eni, che con il suo Ceo Claudio Descalzi ha ovviamente affiancato Meloni nella sua visita ad Algeri, ha più o meno da sempre surrogato la debole e poco coraggiosa politica estera di tanti nostri governi, anche senza bisogno di grandi indicazioni politiche.
Se si vuole che l’Italia diventi la porta d’accesso di una assai incrementata produzione di gas da Sud, si presenta, oltre alla concorrenza di altri Paesi che hanno mire simili, un grande problema politico che si chiama Unione Europea. Il progetto Repower Eu del 2022, le cui risorse provengono dal PNNR, è ispirato a una drastica riduzione dei consumi di energie fossili, tanto che prevede una sostituzione del gas russo solo per un terzo del totale. Il testo presentato è colmo delle solite fissazioni green di Bruxelles, basato com’è sull’obiettivo di aumentare in modo drastico la produzione da fonti rinnovabili, che è tutto da vedere se saranno sufficienti a soddisfare il fabbisogno energetico europeo. Per risparmiare energia, viene previsto, tra l’altro, di ridurre la velocità di almeno 10 chilometri in autostrada, di incentivare lo smart working per almeno tre giorni a settimana, di vietare gli spostamenti in automobile in città la domenica. Inoltre, si raccomanda di spegnere le luci quando non le si utilizza e chiudere sempre le porte per evitare perdite di calore , come se gli europei abitassero in capanne riparate da una tenda…
Al di là di simili amenità, resta il nodo cruciale che l’Unione Europea impone, dal punto di vista dell’energia, una politica opposta a quella di Giorgia Meloni che, come abbiamo detto, vorrebbe incrementare le importazioni di energie fossili. E qui torniamo a Mattei. Non basta nascondersi dietro al suo nome, se non si possiede la sua tempra e la sua volontà di servire l’interesse nazionale anche a costo di scontrarsi duramente con poteri forti e consolidati a livello internazionale. Quale è stata, in fondo, la caratteristica saliente dell’opera di Mattei? Quella di ricercare l’indipendenza energetica nazionale, combattendo soprattutto lo strapotere delle Sette Sorelle e dei potenti Stati, in particolare gli Usa, che le sostenevano.
Il fondatore dell’Eni, per raggiungere il suo obiettivo, non ebbe timore di uscire da seminato dell’ordine internazionale occidentale del suo tempo e per questo si attirò attacchi feroci di ogni genere, inclusi quelli di un Indro Montanelli al servizio degli interessi delle grandi aziende private e, alla fine, pagò con la vita. Basterebbe, tra i tanti esempi, citare il suo appoggio al Fln algerino, gli accordi con un capo politico inviso all’Occidente come Nasser e la violazione dell’embargo conto l’Unione Sovietica con l’acquisto del suo petrolio a buon prezzo. E proprio nei rapporti con Mosca la differenza con l’attuale governo, che addirittura insidia la Gran Bretagna nella posizione di Paese più allineato con Washington in quanto a russofobia, diventa macroscopica.
Pochi mesi prima di essere ucciso, Mattei, esasperato dall’ostilità statunitense nei suoi confronti, dichiarava al New York Times: “Personalmente sono contro la Nato e per il neutralismo. Noi italiani non abbiamo niente da guadagnare dalla Nato. Io sono antiamericano. (…) Voi continuate a cercare di tenerci fuori dai mercati esteri. La vostra politica è guidata dalle compagnie petrolifere”.
Giorgia Meloni ha fatto bene a includere nel pantheon ideale del suo partito Enrico Mattei che fu un vero patriota. Ma la sua adorazione incondizionata per gli Usa sembra quasi superiore a quella dello stesso Berlusconi che, a suo tempo, ebbe modo di dire che era d’accordo con gli Stati Uniti prima ancora che questi esprimessero una qualsiasi opinione.
Se la presidente del Consiglio insisterà col suo piano energetico entrerà necessariamente in attrito con l’Unione Europea verso la quale ha abbandonato quasi tutte le critiche espresse quando stava all’opposizione. Saprà tenere il punto? Non mancano elementi per dubitarne.
Alle fissazioni green di Bruxelles (scemenze sesquipedali autolesioniste) bisogna cominciare ad opporsi sul serio, coprirle di ridicolo, sempre ed ovunque. Non abbozzare da pecoroni. La Meloni sta perdendo credibilità, accodandosi, come se fosse una laburista inglese di un tempo, ad ogni stupidata Washington-Bruxelles-NATO. Il servaggio stolto e citrullo non paga, il realismo sì.
Bruxelles è il nostro nemico numero 1, altro che Putin!
Come ha bene ed opportunamente scritto oggi Domenico Qurico su La Stampa:
‘Il Regno Unito della pace non vuol sentir parlare, coniuga la parola solo se si traduce con vittoria. Sono sempre un passo avanti, gli inglesi, incitano, eccitano, soffiano e quando la brace sembra meno vispa trovano i modo per ravvivarla provocando e aumentando la posta. Come accade gettando sul campo i proiettili all’uranio. L’ultima impresa imperiale autonoma fu Suez, 1956. Un figuraccia, una umiliazione per di più proprio per mano americana che voleva sfilare all’Impero agonizzante il vicino Oriente. In quel momento i politici inglesi compresero che il mondo era diventato troppo grande per un made in England lillipuziano, decrepito e fatiscente e hanno scelto le meste attrattive della subordinazione istituzionale e sistemica agli americani. Sì. erano loro ad aver bisogno degli americani per contare ancora qualcosa nel groviglio polimorfo del mondo nuovo e non il contrario. Tutti i premier inglesi, laburisti e conservatori, hanno fatto a gara a chi era il maggiordomo più efficiente e laborioso di Washington. Erano passati nel palazzo imperialista dal piano nobile alla soffitta della servitù. Poco male, l’importante era restare nel palazzo, raccogliere mance e briciole dalla potenza dei nuovi padroni di casa. La perfezione ancillare fu raggiunta con Blair, inventore della formula dell’imperialismo postmoderno, diceva lui, informale e filantropico. Una bugia come quelle, assai formali, che pronunciò per appoggiare l’invasione americana dell’Iraq’.
Ottima analisi su Mattei e meloni. Concordo. Anch’io ho dubbi sulla fattibilità del piano soprttutto per la politica demenziale della Ue in materia energetica che si spera,cambi,con le lezioni del prossimo anno,almeno da limitare la follia green
Però attenzione, Mattei fu ucciso dai Gollisti Francesi, non dagli Usa. Il nemico strategico d’Italia rimangono francesi, britannici, tedeschi nè Usa nè Cina