“(…) A tre anni dalla Brexit tra i Britannici regna il pentimento…Per il Fondo Monetario UK sarà l’unico paese tra quelli del G7 con una crescita economica in negativo” scrive Alessandro Allocca su londraitalia.com: “Altro che festeggiamenti per i tre anni dalla messa in atto della Brexit: tra inflazione, crisi sociale e politica, aumento dei prezzi, scioperi a raffica e nuove analisi del Fondo Monetario Internazionale, il Regno Unito è il paese, tra i 7 più avanzati al mondo, a subire la contrazione economica più importante. Tradotto: niente ripresa nel giro di poco tempo per il paese, come preventivato dal neo governo del primo ministro Rischi Sunak…”
Chi vive da queste parti lo avverte, l’aria che tira non è parente dell’ottimismo. Ma i Brits mordono il freno, a digerire scioperi e aumenti stellari dei prezzi di energia e alimentari, il governo li aiuta ma non arrivano a fine mese: sono alcuni effetti post Brexit, evitano di inveire contro chi aveva promesso mari e monti, e un motivo c’è. “Riprendiamo il controllo della nostra terra! Usciamo dal branco dei burocrati di Bruxelles!” Nel rispetto della volontà popolare (indotta), infine miraggio sfumato.
Gli ex padroni dell’impero cercano nuove opportunità di business. Di Compagnie delle Indie ce n’è stata una, nemmeno provarci con la seconda. Gli avevano suggerito che l’Europa avrebbe bussato alla loro porta lamentando la perdita dell’Union Jack…dopo tre anni nessuno. Vatti a fidare! Nel frattempo ecco i francesi che rubano i pesci nella Manica. Nigel Farage l’uomo che li ha condotti all’Indipendenza fa il pensionato. Giovanni Drogo su Nextquotidiano.it scriveva:
“Nigel Farage è un bugiardo. Così come lo sono tutti i politici che durante questi mesi di campagna referendaria hanno sostenuto che l’uscita dall’UE avrebbe consentito al Regno Unito di risparmiare 350 milioni di sterline che il Paese “invia” settimanalmente all’Unione Europea…”.
Cosa dicono i sondaggi
Ancora Allocca: “Dal sondaggio aggiornato al 23 gennaio 2023 condotto da YouGov si conferma che il 63% degli intervistati è deluso di come Downing Street abbia, e stia ancora gestendo la Brexit, contro il 25% che ha un feeling positivo che le cose andranno meglio. Quindi, a conti fatti, in occasione delle celebrazioni per il terzo anniversario della Brexit, nel Regno Unito l’aria che si respira non è per nulla festosa…La Banca d’Inghilterra ha confermato che il Paese è entrato in una recessione che durerà fino al 2024. L’inflazione a due cifre è ai massimi da quarant’anni, e gli aumenti dei prezzi riguardano soprattutto i generi alimentari…milioni di persone spinte sotto la soglia della povertà…”.
Scriveva Ciaran Cahill (analista finanziario nella City) su ilfattoquotidiano.it: “(…) nonostante molti economisti si siano schierati a favore dell’uscita dell’Inghilterra dalla UE, non sono mancati neppure esperti che hanno difeso il “Remain”, adducendo…come conseguenze della Brexit: recessione, inflazione, moneta più debole, aumento della disoccupazione, impatto negativo sul business inglese. Tutte predizioni su larga scala che non dovevano essere ignorate. Ma è proprio questo il punto: nessuna di queste argomentazioni chiave ha comportato un voto a favore del “Remain” da parte degli elettori di estrazione sociale umile.”
Le origini della Brexit
Giova conoscere cosa pensa David Randall, che il 29giugno 2016 su internazionale.it puntualizzava: “Se volete provare a capire perché il Regno Unito ha deciso di lasciare l’Unione europea, occorre risalire a circa 8.500 anni fa, i ghiacci polari si sciolsero, il livello degli oceani salì e la bassa striscia di terra che collegava l’Inghilterra al continente sparì sotto il mare. Così cominciò il rapporto a debita distanza tra i britanni e l’Europa e l’evoluzione della mentalità scettica, a volte ostile, che lo accompagna. Se le si guarda dal punto di vista storico, quindi, le anomale relazioni dell’isola con il continente non sono tanto il risultato del referendum della settimana scorsa, quanto di 44 anni di appartenenza poco convinta all’Europa unita.
Può sembrare frutto della tipica riservatezza inglese, ma questa idea di mantenere le distanze…è al centro di tutta la storia inglese e, più che la sua forza militare, è il motivo principale per cui in 950 anni non siamo mai stati invasi. La mentalità che si è sviluppata dietro quelle pareti di mare, quei forti lungo la costa e quelle alte scogliere di gesso è spesso scontrosa, a volte truculenta, un po’ cinica e dotata di un senso dell’ironia che le rende difficile prendere sul serio le ideologie totalitarie e i grandiosi progetti politici.
È per questo che anche i più accesi sostenitori dell’Unione durante la campagna referendaria hanno parlato solo di quello che avrebbe significato uscirne dal punto di vista degli standard di vita, dei posti di lavoro, delle pensioni e del prezzo delle case, e non hanno mai tentato – al suono della Nona di Beethoven – di invocare l’ideale di un unico stato europeo totalmente integrato…Molti volevano che il paese riprendesse il controllo e ripristinasse…quel mare del Nord politico che un tempo ci separava dagli eurocrati e da tutte le loro attività…”.
La vocazione imperiale
Ce la faranno i Brits a primeggiare ancora? Nessun dubbio. Nel frattempo occorre capire i veri motivi, al di là della tradizionale ostilità anti russa, del sostegno così determinato e “interessato” all’Ucraina. L’accoglienza di King Charles III e del governo britannico a Zelensky a febbraio 2023 è sintomatica. Cosa bolle in pentola? Una possibile analisi politica. Per l’Ucraina, prima della guerra, Londra aveva già speso centinaia di milioni di sterline, oltre agli onerosi investimenti nell’area dell’Indopacifico, per contrastare Xi Jinping (ai Brits non è bastata la guerra dell’oppio). Una sconfitta in Ucraina o “cedimenti” a Putin secondo gli Albionici spingerebbero i cinesi verso pericolose avventure. Intanto a Londra in molti hanno fame e rimangono al freddo: effetto Brexit o di investimenti faraonici strategici dirottati altrove per dire al mondo: “Siamo tornati, contiamo ancora!” dopo la porta in faccia in Afghanistan. Intanto leggiamo cosa scrivono due lettori di Metro il 13 febbraio 2022.
Andre: “To all Brexiters, I would like to say that I wish to never stop reminding you firstly of your stupidity in voting for Brexit…” Mentre John Lewis: “Come facciamo, avendo ostacolato tutti i legami commerciali con i nostri vicini più prossimi e il mondo, e non ci sono accordi commerciali decenti per sostituire quello che avevamo? Non abbiamo bisogno del commercio per far crescere l’economia e fare soldi per il paese?”
A conferma che l’Europa per gli UK è stata solo business, non altro. Come facevi del resto a tenerli dentro il recinto europeo dopo quello che aveva scritto Churchill nel 1930?:
“Noi siamo con l’Europa ma non parte di essa. Siamo collegati, ma non legati a essa. Vi siamo interessati e associati, ma non assorbiti”.
Ci voleva poco a capire che non avrebbero resistito, non gli rendeva abbastanza…
Ultima ora!: 1.215 days late…Brexit deal is finally done. Titola così Metro del 28 febbraio. “Rischi Sunak ha concluso un accordo commerciale sulla Brexit con Ursula von der Leyen, più di tre anni dopo che Boris Johnson aveva affermato di avere un accordo pronto per il forno.” Sorrisi a 24 carati si sprecano. Pare ci sia stato un tea party al castello di Windsor.
Articolo che c’entra benissimo quale sia la realtà politica e sociale Inglese attuale.Boris Johnson che aizzando la solita boria di superiorità Inglese,ha guidato ferocemente per la brexit è ora, visto i risultati palesemente evidenti è politicamente finito..
È stata la sua pura bramosia di potere,visto che come sindaco di Londra aveva fatto benissimo ed era politicamente forte, sé voluto cimentare sfidando il suo amico d’università David Cameron che stava facendo molto bene,per la posizione di Primo Ministro riuscendovi.Ora che le illusioni aeriforme sul tempo andato sono svanite,la pura realtà
purtroppo è drammaticamente evidente.Ma non solo,hanno dovuto eleggere un primo ministro di origine Indiana perché l’unico politicamente decente dalla loro parte politica. Rischi Sunak ha una storia particolare di cui Boris Johnson sarà fatto responsabile per la sua ascesa politica.