Secondo Reporter senza Frontiere il Paraguay è al 99° posto mondiale in materia di libertà di stampa, subito dopo Benin, Ecuador e Maldive e appena prima di Kenya, Libano e Ucraina. Una situazione grave, insomma, ma più o meno a metà classifica, non paragonabile a inferni dei giornalisti come Cina, Vietnam, Corea del Nord, Eritrea e Turkmenistan, che chiudono la triste classifica delle nazioni dove la stampa è meno libera.
La realtà dei fatti sembra invece diversa, non solo perché dal ritorno del Paese sudamericano alla democrazia, nel 1991, fino ad oggi sono stati già stati uccisi venti giornalisti. Infatti il mese scorso la Corte Interamericana dei Diritti Umani per la prima volta ha condannato lo Stato del Paraguay in relazione all’uccisione del cronista Santiago Leguizamòn, assassinato il 26 aprile proprio del ’91 nella cittadina di Pedro Juan Caballero, al confine con il Brasile, roccaforte del traffico di droga. Secondo i giudici internazionali lo Stato non avrebbe svolto indagini adeguate sulla morte del giornalista né avrebbe fornito tutela ai suoi familiari. Una sentenza storica che ha sancito la violazione del diritto alla vita e alla libertà di pensiero e di espressione, oltre alla violazione del diritto alle garanzie giudiziali e di protezione giudiziale a danno di Ana María Margarita Morra e Raquel, Dante, Sebastián e Fernando Leguizamón Morra, rispettivamente moglie e figli del reporter ucciso.
Lo Stato paraguaiano ora dovrà pagare un importo di 505.000 dollari alla famiglia del giornalista ucciso per redditi non ricevuti, per somme destinate alla ricerca della Giustizia e per la compensazione del danno immateriale, oltre a 15.000 dollari per la coordinatrice dei Diritti Umani del Paraguay. Inoltre lo Stato dovrà assumersi pubblicamente la responsabilità internazionale nel crimine di Leguizamón e ripristinare il premio nazionale per giornalisti a lui intitolato, che sarà riconosciuto annualmente per almeno cinque anni. Infine l’organismo internazionale ha stabilito che lo Stato paraguaiano debba garantire la protezione dei luoghi destinati a commemorare la figura di Santiago Leguizamón, come l’effigie che si trova ad Asuncion e in una piazza a Pedro Juan Caballero (nella foto in alto).
Santiago Leguizamòn, che all’epoca dei fatti aveva quarantun’anni, era proprietario di una stazione radio locale e conduceva un programma quotidiano dal titolo “Puertas abiertas”, nel quale affrontava spesso il tema del narcotraffico nella zona. Inoltre era corrispondente per alcuni quotidiani della capitale (Noticias e prima ancora ABC Color) e per l’emittente televisiva Canal 13. Il 26 aprile del 1991, giornata dedicata ai giornalisti paraguaiani, Leguizamòn è stato ammazzato a colpi di pistola in mezzo alla strada da in commando di tre persone mentre stava andando a mangiare in compagnia due colleghi di lavoro. Finora nessuno è stato arrestato né processato per quel crimine, benché i familiari del giornalista abbiano detto più volte di avere dei sospetti sui mandanti. Il Sindacato dei Giornalisti del Paraguay informa che su venti omicidi di reporter solo in un caso si è arrivati alla sentenza di condanna per i tre assassini.
Come detto la sentenza della Corte Interamericana dei Diritti Umani è un fatto storico e ha creato un precedente, tuttavia la condizione dei giornalisti nel Paese sudamericano continua ad essere estremamente critica. Lo scorso settembre, sempre a Pedro Juan Caballero, la vittima numero 20 è stata il cronista Humberto Coronel, 32 anni, freddato all’ingresso della stazione radio La Voz de Amambay, dove lavorava da alcuni anni. Due sicari a bordo di una motocicletta lo hanno atteso in strada e, scattato il segnale, hanno tirato fuori le pistole e gli hanno sparato a bruciapelo. L’omicidio, secondo la prima ricostruzione della polizia, fa seguito a minacce di morte che Coronel aveva ricevuto alcuni mesi prima. In questo caso, se non altro, le forze dell’ordine hanno annunciato di aver identificato uno dei due killer, un pregiudicato legato ai cartelli della droga che però non è ancora stato arrestato e con tutta probabilità ha trovato rifugio in Brasile.
Il Paraguay dei nostri giorni
Negli ultimi decenni il Paraguay è diventato un vero “santuario” dei cartelli del narcotraffico, in particolare brasiliani e argentini, oltre a quelli locali. I “narcos” spadroneggiano in molte città di frontiera, tra cui appunto Pedro Juan Caballero, e il triangolo chiamato “Triple frontera”, la zona vicino alle famose cascate di Iguazù dove il Paraguay confina con Argentina e Brasile, è ormai diventato una specie di terra di nessuno in mano alle bande criminali. Il suo capoluogo, Ciudad del Este, quarant’anni fa era una cittadina di 60 mila abitanti mentre adesso si è trasformata in una metropoli di mezzo milione di abitanti dove si compra e si vende di tutto: droga, naturalmente, ma anche armi, componenti elettronici di contrabbando, merce rubata, esseri umani.
«Non si tratta di una violenza isolata», scrive il giornale online Antimafia Dosmil a proposito dell’uccisione di Coronel, «ma piuttosto, nel vero senso della parola, di una sistematica pratica di sangue contro chi lavora diffondendo verità su corruzione e criminalità ad opera di personaggi della vita pubblica locale e del resto del paese, funzionale ad una logica mafiosa che dimostra come il Paraguay sia fagocitato dalla criminalità in ogni suo settore». Parlando del Paraguay di oggi Antimafia Dosmil, testata fondata in Italia che ha anche una versione in spagnolo relativa ai crimini mafiosi dell’area sudamericana, scrive: «è un Paese che è già praticamente un Narco Stato. Le evidenze tragiche degli ultimi mesi rendono visibile l’orrore. E una di queste tragedie ha fatto il giro del mondo, come emblema della mafia del narcotraffico transnazionale: mi sto riferendo all’omicidio in Colombia del pubblico ministero paraguaiano Marcelo Pecci». Il magistrato anti “narcos” (nella foto sopra) venne ucciso il 10 maggio dello scorso anno mentre si trovava il vacanza in Colombia. Gli esecutori materiarli del crimine sono stati arrestati, i mandanti non ancora.
Prima della conquista generalizzata del potere in America Latina da parte delle Bande dei Narcos, bisogna dichiarare loro guerra, non con i media, la scuola da migliorare, le palestre da costruire, le buone intenzioni che non costan nulla e non servono a nulla, gli indigenismi ipocriti, le pillole di sinistrume NYT, ma con le armi e la forca… À la guerre comme à la guerre…
Intanto Lula pare sempre più rincojonito….