La polemica antifascista non sembra destinata ad abbandonare le prime pagine dei giornali. Ci eravamo illusi, una volta finita la campagna elettorale, che la questione fosse destinata a ritornare nell’alveo della Storia piuttosto che a riperpetuarsi all’infinito, datata e consunta a settantotto anni dalla fine della Guerra civile e a cento dalla Marcia su Roma.
Ad altri di valutare il senso o il non-senso di una Storia, verità e responsabilità, di soppesarne, con il bilancino, i pro ed i contro, consapevoli però che le questioni sul tappeto sono in gran parte politiche e come tali vanno poste, affrontate e magari superate. A nostro parere seguendo, in estrema sintesi, due filoni: quello relativo alla legittimazione del nostro sistema costituzionale e quello sull’uso politico della Storia da parte di una sinistra che dietro il “pericolo fascista” ha sempre nascosto le proprie intime contraddizioni.
Giusto trentacinque anni fa (a conferma che in Italia il tempo non sembra passare mai) Renzo De Felice, lo storico per antonomasia del fascismo e di Mussolini, inquadrò la questione in un’intervista concessa a Giuliano Ferrara e pubblicata dal “Corriere della Sera” (“Le norme contro il fascismo ? Sono grottesche, aboliamole”, 27/12/1987), fissandola nella crisi della Prima Repubblica e nella necessità di una “rottura” ideologica sulla via di un autentico riformismo (“Se la Nuova Repubblica, o la grande riforma, ha da essere qualcosa di serio e non il rappezzo di qualche regolamento parlamentare, allora è importante che la rottura, anche sul piano intellettuale, investa alcune delle pigrizie ideologiche che hanno permesso il logoramento quarantennale di questa classe dirigente”).
A sintesi del confronto ( a cui parteciparono intellettuali collocati su opposti versanti: da una parte Paolo Spriano, Enzo Forcella, A. Galante Garrone, Norberto Bobbio, dall’altra Augusto Del Noce, Domenico Settembrini, Indro Montanelli, Ernesto Galli della Loggia), lo stesso De Felice concesse una nuova intervista (“La Costituzione non è certo il Colosseo”, “Corriere della sera”, 7/1/1988), fissando quattro elementi di fondo: l’antifascismo non può essere una discriminante per stabilire che cos’è un’autentica democrazia libera; non tutti gli antifascisti sono democratici; l’opposizione concettuale fascismo-antifascismo impedisce di fare un discorso in positivo sui veri valori democratici; l’antifascismo come ideologia ufficiale rischia di indebolire la democrazia, in quanto non ne affronta le odierne difficoltà.
Fin qui la questione della legittimazione del nostro sistema costituzionale, vista dal punto di vista di De Felice e di una visione post-antifascista.
Sul secondo “filone”, quello dell’uso politico della Storia e sui “veri valori democratici”, va invece evidenziato come sia rilevante , oggi come ieri, il ruolo di certa sinistra, intimamente nostalgica, che, dietro la lotta al fascismo, ha nascosto le proprie contraddizioni…”democratiche”, utilizzando le libertà borghesi a corrente alterna, giocando sul doppio livello legalità-clandestinità (si pensi al ruolo svolto, nell’immediato dopoguerra, dal vice-segretario del Pci Pietro Secchia); che ha giustificato, per decenni, i Gulag, versione aggiornata dei Lager tedeschi; che ha coperto le politiche repressive dei “partiti fratelli”, ricevendo – come contropartita – sostanziosi aiuti economici.
Blocco del sistema (dietro la “discriminante” antifascista e l’intangibilità della Costituzione) e amnesie storico-politiche: dietro questi paraventi prova a campare certa sinistra, sorretta da una cultura di parte e da complici silenzi.
Troppo facile e comodo, su questa strada, sventolare l’indignazione antifascista, così snaturando le ragioni e le verità di una Storia complessa, che Piero Operti, una delle figure storiche dell’antifascismo non comunista, così fotografava (Lettera aperta a Benedetto Croce, 1946) in modo esemplare: “L’italiano medio, ieri falso fascista, oggi falso antifascista, si ricostruisce una verginità coprendo d’ingiurie un passato a cui vent’anni della sua vita sono strettamente intrecciati. Su questo italiano, che naviga solo nella direzione del vento, nelle ore difficili non si potrà contare: in quelle ore egli imbroglierà le vele e si terrà alla cappa. Sui fascisti sinceri sopravvissuti al macello si potrà contare, perché sono uomini e non sacchi segnavento. Gli antifascisti onesti si sentono infinitamente più vicini agli onesti fascisti che non alla turba delle scimmie urlatrici che oggi li applaudono senza conoscerli”.
Dopo tanti anni, l’auspicio è che le “scimmie urlatrici”, evocate da Operti, la smettano di strillare, liberando finalmente la Storia dalle strumentalizzazioni politiche, per riconsegnare agli italiani il senso di vicende complesse. Del resto la Nazione è memoria. E la memoria è condivisione, cioè superamento non tanto delle singole appartenenze quanto della difficoltà preconcetta a comprenderle, analizzarle, collocarle all’interno delle più ampie vicende nazionali. Prima e dopo il Ventennio.
Credo che gli anni Ottanta – che si prolungarono psicologicamente fino al ’92 e alla crisi della prima repubblica, siano stati gli ultimi anni di civiltà della nostra povera Italia, e la pubblicazione dell’intervista di De Felice sul maggior quotidiano nazionale ne costituisce una conferma. Si stava andando verso una riconciliazione nazionale e una rilettura onesta del nostro passato prossimo, e in questo senso l’opera svolta da Bettino Craxi non può essere dimenticata. Dopo, è successo quello che è successo e l’ingresso dei post-fascisti nell’area di governo, anzi al governo, ha indotto la sinistra post-comunista, dopo un breve periodo di “concessioni” strumentali (penso al discorso di Violante nel 1996) a un ritorno all’utilizzo dell’antifascismo come clava. Oggi, purtroppo, a parte Galli Della Loggia e pochi altri, non vedo intellettuali della caratura di un De Felice; anche un Emilio Gentile, che pure in gioventù era stato un ammiratore e discepolo di Prezzolini, mi sembra aver rivisto molte sue posizioni.
Emilio Gentile non è mai stato di destra, ma parte della ‘sinistra defeliciana’.