Il 27 ottobre scorso è caduto il sessantesimo anniversario della tragica morte di Enrico Mattei a Bascapé. L’anniversario si presentava, anche per la particolare congiuntura economica e geopolitica che stiamo attraversando, come utile occasione per approfondire la storia di questo straordinario italiano, delle sue fortune imprenditoriali, del suo sforzo per dotare l’Italia di una seria “politica energetica” e di un’innovativa concezione delle relazioni industriali e dello “stato sociale”. Purtroppo dopo anni di damnatio memoriae le ricostruzioni della vicenda matteiana in questo sessantennale hanno oscillato tra la rimasticatura del già noto e il tentativo, poco efficace in verità, di sfruttare mediaticamente il “giallo” della morte del manager marchigiano.
Da questa seconda linea non si è discostata “la Repubblica” del 17 dicembre che, con un articolo del suo corrispondente da New York, Paolo Mastrolilli, ha rilanciato l’accusa a Mattei di essere stato un “fascista cha pagò la Dc per fingersi partigiano”, contenuto in un rapporto segreto della Cia del 1955 e vergato da Lester Simpson, capo romano dell’Agency (1).
Anche i documenti e le fonti primarie, se non vagliate criticamente ed attentamente, fanno correre il rischio di occultare e mistificare il dato storico reale; anche i documenti e le fonti primarie abbisognano di riscontri oggettivi nei fatti e in altre fonti. Nel caso specifico si tratta invece di espressioni e valutazioni unilaterali di un agente della Cia, operante a Roma nel 1955 in un contesto storico e politico che merita di essere ricostruito se si vuole comprendere la portata reale di queste valutazioni.
Il rapporto è dell’11 agosto 1955, cioè sono appena trascorsi due anni e mezzo dall’approvazione della Legge istitutiva dell’Eni che, oltre a fare della vecchia Agip una sorta di “costellazione industriale” più ampia ed organica, aveva anche acclarato una volta per tutte il monopolio dell’Agip nella ricerca e nello sfruttamento degli idrocarburi giacenti nel sottosuolo della Valle Padana (2).
Alcuni mesi prima, esattamente nella primavera dello stesso anno, Enrico Mattei aveva incontrato Gamal Nasser, il Rais dell’Egitto, all’inaugurazione dell’oleodotto di Suez costruito con progetto Snam, dalla stessa Snam e dalla Dalmine (3.). Un anno prima, nel 1954, si era già prodotto lo strappo tra Mattei, l’Eni ed il cartello delle “Sette sorelle” a causa del così detto “sgarbo” che l’Eni e l’Italia avevano subito per il mancato invito a far parte del consorzio petrolifero tra le majors per la ricerca e lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio iraniano (4). Sempre in quest’anno Mattei era stato decisivo al Congresso della Dc di Napoli, favorendo l’accordo tra la corrente de “La Base” (la sinistra Dc) e Fanfani, altra personalità politica non appiattita su una visione ortoatlantica della politica estera italiana, per l’elezione a segretario nazionale Dc di quest’ultimo, che era succeduto così a De Gasperi. Nell’aprile del 1955 Mattei, ancora una volta fu decisivo nell’indirizzare i voti dei parlamentari a lui rispondenti sulla candidatura di Giovanni Gronchi a Presidente della Repubblica. Assurgeva così al massimo vertice della Repubblica una figura politica assai distante e del tutto diffidente rispetto al posizionamento “atlantico” in politica estera dell’Italia (5).
Insomma le azioni del “Principale”, sia in campo economico e nella sua funzione di imprenditore, sia in campo politico e nel suo ruolo di leader Dc, si erano, nel 1955, nettamente palesate come indipendenti ed autonome, se non addirittura opposte, rispetto agli interessi americani, segnatamente a quelli delle grandi compagnie petrolifere. Per meglio comprendere la portata di questo concetto, è bene ricordare che nel secondo dopoguerra gli Usa avevano esteso gli effetti della “Dottrina Monroe” alle compagnie petrolifere americane che operavano in Medio Oriente per cui chiunque avesse provato a danneggiarle si poneva nella medesima condizione dell’aggressore al territorio americano o ad influenza americana, come si riteneva fossero i continenti centro e sudamericano (6).
È ovvio, quindi, che in questo contesto Mattei fosse osservato speciale della Cia e che spesso le valutazioni dei suoi agenti sovradimensionassero il senso di alcune questioni, se non altro per mettere in cattiva luce il presunto “nemico” e allertare l’Amministrazione governativa rispetto alle azioni di questi.
Quali sono le imprecisioni e le incongruenze del documento che gli conferiscono scarsa affidabilità se non addirittura completa inattendibilità? In un suo punto il documento riservato afferma testualmente: «Mattei stesso era un fascista fino al 1945. Aveva iniziato a lavorare nella Resistenza dopo l’8 settembre, facendo però attenzione allo stesso tempo di conservare i rapporti con i tedeschi». (7)
Sembra logico che il manager marchigiano fosse stato fascista fino alla conclusione della guerra ma che abbia iniziato ad operare, diventandone tra l’altro uno dei capi, dopo l’8 settembre 1943, cioè due anni prima? Fino a che punto può essere credibile una tesi del genere? Possibile che personalità quali Luigi Longo, Marco Argenton, il generale Luigi Cadorna e Ferruccio Parri si siano fatti “gabbare” da Mattei, gli avessero addirittura affidato “la cassa” del movimento partigiano e affidato il compito di costruire la rete di protezione e copertura dei partigiani in Alta Italia senza accorgersi che questi stesse lavorando per il nemico?
Il rapporto addirittura sostiene che «Quando era diventato chiaro che la vittoria degli Alleati era certa, Mattei aveva pagato cinque milioni di lire ad un leader partigiano della Dc per ottenere il titolo di capo partigiano della Dc e il grado di generale della Resistenza nel Cln»(8). Insomma personaggi, come Marcello Boldrini, Enrico Falck – l’industriale lombardo dell’acciaio – e Orio Giacchi , che pure effettuarono verifiche e controverifiche prima di affidare la leadership dei partigiani cattolici a Mattei, si sarebbero fatti anche essi “gabbare” da questa sorta di grande “attore” e dissimulatore? Che uno di essi si sia fatto corrompere con 5 milioni? Mattei entrò nella Resistenza nelle Marche il 18 settembre 1943, 10 giorni dopo l’armistizio, quando la vittoria degli Alleati era tutt’altro che scontata ancora e dovette sfuggire ad un rastrellamento effettuato dai tedeschi sulle colline e montagne marchigiane(6). E poi come si concilia tutto ciò con il conferimento della Bronze Star (alta onorificenza militare americana) che il Generale Clarke gli attribuì a fine guerra? Anche Clarke fu vittima della abile “dissimulazione” matteiana?
Anche le più grandi mistificazioni, per poter meglio attecchire, spesso utilizzano elementi di verità, frammenti del vero, su cui poggiare il castello di menzogne che ne costituisce la sostanza. Nel caso specifico si è cercato di sfruttare il fatto che Mattei si fosse sempre dichiarato un “patriota” che aveva a cuore l’Italia e l’interesse nazionale, fattore che gli derivava dalla sua educazione “risorgimentale” ad opera del padre, brigadiere dei Carabinieri e dalla nonna che gli leggeva da piccolo il libro Cuore di Edmondo De Amicis. In virtù di questi valori egli, in gioventù, come tanti altri italiani, aveva aderito al fascismo e partecipato, non da protagonista, ad alcune attività che si tenevano nella sua Matelica (6). L’amore per l’Italia e il desiderio e l’orgoglio di riscattare, con il suo operato, la nostra Nazione agì sulla sua personalità fortemente anche negli anni del suo pieno impegno nell’Agip e nell’Eni sicché Giorgio Galli ha potuto affibbiargli l’etichetta di “nazional-populista” (6) ma da qui ad attribuirgli il ruolo di “quinta colonna fascista” nella Resistenza, ce ne passa.
Un altro elemento dimostrabile e effettivamente rispondente alla verità che poteva rendere, in alcuni ambienti politici Usa apertamente ostili a Mattei, “attendibili” le valutazioni dell’agente Cia Simpson fu il fatto che Mattei, per gli interessi dell’Agip e dell’Eni che, secondo lui coincidevano con quelli dell’Italia, non si abbandonò alla tentazione delle epurazioni degli ex fascisti che operavano nella pubblica amministrazione e nelle aziende di stato, come pure altri fecero. Egli recuperò le competenze (elevate) dell’ingegnere Carlo Zanmatti (ultimo presidente dell’Agip fascista) sui giacimenti in
Valle Padana e in materia di ricerca petrolifera. Si avvalse della consulenza preziosa, per certi versi, di Alfredo Giarratana, uno dei vari presidenti dell’Agip fascista e consigliere comunale Msi a Bresca negli anni ’50. Scelse come pilota di fiducia della sua personale flotta di aerei Eni Irnerio Bertuzzi, medaglia d’argento dell’aviazione della Rsi, che morì con lui a Bascapé. Ma queste scelte vanno lette insieme e in parallelo con la valorizzazione che egli fece di intellettuali e tecnici, quali Gino Giugni, Sabino Cassese, Giulio Sapelli, Marcello Colitti, Mario Pirani, Giorgio Ruffolo e Francesco Forte, i quali certo non erano di estrazione “fascista” e militarono, anche con ruoli non secondari, a sinistra (6).
Perché ancora non è stato desecretato il Dossier della Cia del 28 ottobre 1962, il giorno dopo l’incidente aereo (sic) di Bascapé, che a distanza di anni, si ritiene contenga ancora «informazioni concernenti la sicurezza di Stato»?(6) È evidente che spesso le scelte di documenti segreti da “declassificare” siano selettive e possano rispondere anche a logiche opportunistiche di politica attuale. È stata l’Amministrazione Biden a desecretare questo rapporto il 13 dicembre scorso, guarda caso in piena guerra russo-ucraina e, non è da escludere, con lo scopo politico di delegittimare la figura di Enrico Mattei, scoraggiare e diffidare chiunque in Italia possa rivendicare autonomia e libertà di azione nella politica estera, come fece con determinazione il Capo dell’Eni. Se così fosse, questo recondito messaggio potrebbe essere indirizzato anche a Giorgia Meloni che cita sempre più spesso nome e cognome del “Principale” a sostegno della politica energetica del suo governo.
Note
1. Paolo Mastrolilli, Mattei visto dalla Cia “era fascista: pagò la Dc per fingersi partigiano”, Roma, “la Repubblica” del 17.12.2022, pag. 11.
2. Leonardo Giordano, Enrico Mattei. Costruire la sovranità energetica: dal gattino impaurito al cane a sei zampe, Historica Giubilei – Regnani editore, Roma 2022, p. 180. Si trattava della Legge n.136 del 10 febbraio 1953.
3. Alberto Tonini, Il sogno proibito. Mattei, il petrolio arabo e le “sette sorelle”, Edizioni Polistampa, Firenze 2003, p. 68.
4. Ivi, p. 40.
5. Leonardo Giordano, Op. cit., pp.206 – 208.
6. Nico Perrone, Enrico Mattei, il Mulino, Bologna 2012, p. 76.
7. Paolo Mastrolilli, Art. cit..
8. Ibidem
L’ha fatto fuori la ‘NATO’ quella stessa che ha spinto l’Ucraina a sfidare, ogni giorno di più, la Russia. La NATO di oggi, esclusivamente al soldo ed alle farneticazioni nordamericane, che poco condivide con quella sorta nel 1949, peraltro.
Era più semplice nel ‘49 nascondere i veri obiettivi nordamericani, ma erano esattamente gli stessi di oggi. Il Re è nudo, e da un pezzo.
Quanto al governo Meloni, non c’è bisogno di alcun avvertimento da parte U.S.A., poiché palesemente già schierato. Giulio Tremonti ha ribadito ieri sera in TV, in prima serata, che il sabotaggio de NS è opera della Russia. Non c’è altro da aggiungere, se non la pena che provo nei confronti di questa pseudo destra di governo.