Scrivevo lo scorso primo ottobre, su queste colonne,un articolo senza molte pretese: Ll scontro Russia-Ucraina verso una escalation. Che cosa è da ultimo successo per indurre gli osservatori occidentali ad un sentimento di quasi rassegnata impotenza di fronte alla temuta, ma prevista, escalation? Lo facevo all’indomani delle “esplosioni nel Mar Baltico” contro i gasdotti Nord Stream: 500 chili di esplosivo piazzati dai robot della Royal Navy, per conto degli statunitensi, secondo i russi, in una interpretazione oramai accettata in Occidente, corroborata dalla logica, ancor prima che da fatti documentati. Come promesso dal Presidente Biden prima dell’inizio del conflitto di febbraio, a ‘futura memoria’ dei tedeschi e degli europei, che si erano illusi di poter fare una autonoma politica energetica tagliando fuori Washington. Nel campo delle grandi forniture energetiche non si usa, tra alleati (anche se noi, i vinti nella WWII, siamo alleati per obbligo), il fioretto, ma l’obice, e la tragica fine di Enrico Mattei lo dimostrò…
Ripercorrevo allora per sommi capi, con logico disincanto, quanto successo nei mesi di agosto e settembre. Quel pessimismo oggi perdura, anzi si è rafforzato di fronte ad un’incombente, temuta tragedia umanitaria, con milioni di martoriati ucraini al freddo, al buio, senza energia elettrica, praticamente senza acqua.
La cerimonia di annessione formale dei territori ucraini occupati alla Russia si è celebrata il 30 settembre 2022. “Gli abitanti delle 4 regioni russofone – Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Luhansk – diventano nostri cittadini”, affermava Putin parlando di fronte a deputati e senatori, esponenti del governo e della leadership, nella Sala di San Giorgio del Palazzo del Cremlino, a Mosca, quasi incurante del fatto di non controllare militarmente tutti quei territori. Le annessioni, diceva il Presidente nel discorso seguito alla firma dei trattati, rappresentavano “la volontà di milioni di persone che hanno esercitato ‘un diritto integrale‘. Kiev rispetti la volontà popolare, noi difenderemo le nuove terre con tutte le nostre forze, faremo qualsiasi cosa per garantire la
sicurezza del popolo”, aggiungeva, inviando un messaggio a Zelensky:
“Kiev cessi il fuoco e torni al tavolo del negoziato, noi siamo pronti. Oramai l’Unione Sovietica non esiste più edal passato non si torna e non serve alla Russia. Non è questo a cui aspiriamo”, ragionava, a modo suo,naturalmente.
Data importante, quella, perchè potrebbe, purtroppo, aver significato un drammatico punto, in sostanza di ‘non ritorno’, fissando in profondità i ruoli dei diversi contendenti, attori ben calati nella loro parte, per quanto micidiale al mondo. La storia dell’umanità, di sempre, peraltro.
Ricordava Putin, nell‘occasione, con veemente retoricada apparatčik della vecchia URSS, blandendol’antiamericanismo di varie destre e sinistre europee, asiatiche, latinoamericane:
“Gli Stati Uniti hanno creato ‘un precedente‘ usando le armi nucleari. Esiste un ordine mondiale unipolare, nella sua essenza antidemocratico e non libero. Gli Stati Uniti sono il solo Paese al mondo ad aver utilizzato due volte le armi nucleari, distruggendo le città giapponesi di Hiroshima e di Nagasaki. Ricordo che gli Stati Uniti ed i britannici hanno raso al suolo, senza che ve ne fosse la necessità dal punto di vista militare, durante la Seconda Guerra Mondiale, le città di Dresda, Amburgo, Colonia e numerose altre città tedesche. Gli Stati Uniti hanno lasciato un segno terribile nella memoria dei popoli di Corea e del Vietnam con i barbari bombardamenti al napalm e con armi chimiche”.(https://www.adnkronos.com/annessioni-russia-il-discorso-di-putin).
Lo stesso giorno l’ambasciatore Giampiero Massolo commentava con l’Adnkronos:
“Con l’annessione alla Russia delle quattro regioni ucraine, Vladimir Putin ha dato avvio alla terza fase della sua operazione speciale, quella in cui ritiene raggiunti gli obiettivi indicati nella seconda – la conquista del Donbass– e attende adesso la resa degli ucraini. Una realtà scritta sulla carta, solo virtuale. Noi ci troviamo in una situazione in cui Putin non può perdere questa guerra, perché ne ha fatto una questione personale e perderla comprometterebbe le basi del suo potere. Ma le stragi, i fatti terribili di questi mesi rendono impossibile a Zelensky accomodare una pace qualsiasi. Mentre l’Occidente non può accettare una situazione in cui sia sconvolto il fondamento stesso delle regole della civile convivenza nella comunità internazionale”.
Cioè la Pax Americana del Manifest Destiny, che si vorrebbe imporre universalmente, ma i cui principi etici – i ‘fondamenti della civile convivenza nella comunità internazionale‘, per dirla con Massolo – gli USA hanno violato molte volte, dopo quelle accennate da Putin, non solo con le ‘torture legalizzate’ di Guantanamo o bombardando Belgrado. Stragi d’innocenti incluse, comeda ultimo la bomba degli áscari ucraini nell’attentato a Dugin. Sarebbe un altro discorso, sfidando il peculiare politically correct dem da NYT... Continuaval’ambasciatore Massolo, presidente dell’Ispi, già Segretario Generale del Ministero degli Affari Esteri e Direttore del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, predecessore di Elisabetta Belloni:
“Una nuova escalation, che nell’ottica di Putin risponde ad una mossa classica, quella di usare le comunità russe all’estero, dire che le vuole difendere perché sono oggetto di minaccia, proclamare delle repubbliche fantoccio e condurre referendum farsa, annettendole poi in spregio
ad ogni regola internazionale, per dare al popolo russo la sensazione di aver dato un senso all’operazione speciale, non poteva non farlo perché ha mobilitato 300mila riservisti. E adesso si dice pronto a negoziare, chiedendo la resa degli ucraini”.
Una fase, proseguiva, “verosimilmente lunga, in cui, avendo difficoltà a farlo sul terreno, la Russia continuerà con ogni mezzo a cercare di dividere l’Occidente, a fiaccare le sue opinioni pubbliche, laddove l’Occidente ha finora dato prova di sufficiente coesione…Avanzando il cattivo tempo, in quelle regioni la situazione sarà frenata dall’arrivo del fango, non ci saranno progressi decisivi, una situazione in cui gli ucraini continueranno la controffensiva, ma i russi non cederanno“.
Quello medesimo 30 settembre, Dmitri Medvedev, terzo Presidente della Federazione Russa, oggi vice presidente del Consiglio Nazionale di Sicurezza,ammoniva:
“Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky vuole accelerare l’adesione alla Nato. Grande idea. Implora soltanto la Nato di accelerare l’inizio della Terza GuerraMondiale”.
E Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino, rincarava la dose:
“Qualsiasi attacco contro le regioni di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia dopo l’annessione alla Russia verrà considerato un attacco alla Russia stessa... gli attacchi che le forze ucraine compiranno contro le quattro regioni annesse non saranno nient’altro che atti di aggressione nei confronti di Mosca“.
Ho voluto riportare per esteso quanto sopra perchè credo che, due mesi dopo, quelle parole,
intenzioni, minacce, conservino la loro attualità, scontatezza e cinismo compresi – e filoatlantico, dovutoservilismo italico, cioè, dei classici, manzoniani ‘vasi di coccio’ sbattuti tra ‘vasi di ferro’, ça va de soi – da una parte e dall’altra. Idee incasellate in rigidi dogmi, ormai, sempre di più.
Nel frattempo, lo so bene, il quadro internazionale non è rimasto immobile.
In rapida sintesi. Ci sono state, cito un po’ disordinatamente, le votazioni di midterm negli Stati Uniti, con un sostanziale pareggio tra Democratici e Repubblicani; il nuovo Governo, a Roma, di Giorgia Meloni e del Centro-Destra, ma senza mutare una virgola in politica estera rispetto al Governo Draghi, un’obbedienza ‘bulgara’. L’Italia non può svolgere nella vicenda un ruolo da protagonista, ma potrebbe stimolare o accompagnare intelligentemente; il Regno Unito cambia un’altra volta premier (affidandosi ad un indiano purosangue, benché ricchissimo); il 1 ottobre Kiev riconquista Lyman nel Donetsk, snodo strategico della Repubblica Popolare di Donetsk. Le truppe ucraine ora puntano al Luhansk; Papa Francesco rivolge nuovi appelli diretti a Putin, a Zelensky, alla comunità internazionaleper “fare tutto quello che è nelle loro possibilità per porre fine alla guerra in corso, senza lasciarsi coinvolgere in pericolose escalation, e per promuovere e sostenere iniziative di dialogo”; il cardinale Parolin prova a sondare il ministro degli Esteri russo, Lavrov, a margine dell’Assemblea Generale dell’Onu, ma riceve una chiusura
totale. Pure Erdogan si dà molto da fare, in tal senso, senza risultati.
Il 2 ottobre l’analista russo Andrei Kortunov, direttore generale del Russian International Affairs Council, non esclude l’impiego della Russia di armi nucleari in un’intervista al programma di Lucia Annunziata ‘Mezz’ora in più’: “La leadership russa ha dimostrato di essere pronta ad una escalation. Il pericolo dell’uso delle forze nucleari rimane. Magari per incidente, per errore, soprattutto se l’assistenza militare occidentale all’Ucraina dovesse aumentare”. Cioè una sorta di ultima ratio, nel caso in cui la Nato interferisca direttamente nel conflitto. E,nonostante la denominazione un po’ tranquillizzante, le armi nucleari ‘tattiche’ hanno una potenza esplosiva paragonabile o superiore a quella delle bombe usate a Hiroshima e Nagasaki.
Il 4 ottobre l’annuncio che le forze di Kiev avanzano nella regione di Kherson, occupando i quattro villaggi di Davydiv Brid, Starosillya, Arkhangelsk e Velyka Oleksandrivka. Il 5 ottobre estremamente pericolose”, definisce Dmitri Peskov, le dichiarazioni di Laura Cooper, Vice Segretario del Pentagono, circa il possibile uso di armi americane da parte di Kiev per condurre attacchi contro la Crimea. Si tratta di ”una prova del diretto coinvolgimento degli Stati Uniti nel conflitto. La decisione degli Stati Uniti di inviare più aiuti militari all’Ucraina aumenta il pericolo di uno scontro militare diretto” tra Russia e Occidente. Per Mosca gli USA sono ‘partecipanti al conflitto‘, avendo già impegnato 17 miliardi di dollari in sostegno militare a Kiev, da quando la Russia ha iniziato l’ ‘Operazione Speciale’, il 24 febbraio 2022. Per il medesimo Joe Biden, il mondo corre il più alto rischio di ‘Armageddon‘ nucleare dalla crisi dei missili di Cuba del 1962.
Il 7 ottobre Vincenzo De Luca chiedeva, retoricamente: “Il governo italiano dica se siamo
in guerra”. Il governatore campano, al solito senza peli sulla lingua, rifletteva e dichiarava:
“Al punto in cui siamo arrivati l’Italia e i Governi non possono essere più un’appendice passiva della Nato, una sorta di segreteria distaccata di Stoltenberg, che in questi mesi ha dato prove di grande ottusità politica. Dobbiamo anche dire a quelli che ricevono le nostre armi per difendersi che nessuno poi può dire ‘decido io quello che si fa’. Mi riferisco ovviamente al governo ucraino. Il presidente ucraino merita la nostra ammirazione per la resistenza che hanno messo in campo, tuttavia non può dire ‘non si dialoga con nessuno’. Chi non vuole dialogare con nessuno dovrà assumersi la responsabilità di risolvere i suoi problemi nazionali da solo. Chi sta resistendo con le armi, con i soldi, con il prezzo economico ed energetico pagato dai Paesi occidentali, non può dire ‘decido io’, decidiamo insieme se e quando promuovere un’iniziativa di dialogo e di pace”.
L’ 8 ottobre le agenzie informano che il ponte di Kerch, che collega Crimea e Russia, è stato danneggiato da un’esplosione e da un incendio. Un evento che può cambiare lo scenario della guerra nel sud dell’Ucraina, con nuovi problemi logistici e di rifornimento per Mosca: raggiungere le truppe e trasferire mezzi ed equipaggiamenti nell’Ucraina meridionale diventerebbe ancor più complicato, proprio mentre le forze armate di Kiev rivendicano successi nell’avanzata verso Kherson. L’attacco sarebbe attribuibile ad un’operazione speciale del Servizio di sicurezza dell’Ucraina (Sbu). Sui profili socialdelle forze armate di Kiev s’infittiscono i messaggi che celebrano l’attacco al ponte. Il Ministero della Difesa sottolinea che “l’incrociatore Moskva ed il ponte di Kerch, due simboli del potere russo in Crimea, sono andati. Quale sarà il prossimo?”. Ufficialmente, Mosca ridimensiona gli effetti dell’esplosione sulla gestione delle operazioni militari e garantisce il ristabilimento rapido della ferrovia.
Contemporaneamente, il NYT rivela che Washington si starebbe stufando di Zelinsky, non solo del suo incessante chiedere più armi, quattrini, istruttori e sanzioni, ma anche per iniziative non concordate, come l’auto-bomba che ha ucciso Darya Dugina. E, pochi giorni dopo, abbandonati i toni da appoggio ‘senza se e senza ma‘, il NYT sottolinea che nelle ultime settimane qualcosa stona nel rapporto tra Washington e Kiev. Sarebbe in atto una poderosa frenata al sostegno incondizionato a Kiev, anche a costo di puntare il dito sulla condotta ucraina. Washington bacchetta Zelensky pure per il sabotaggio del ponte di Kerch.
Il Washington Post scriverà il 6 novembre: “PressingUsa su Kiev per negoziare con la
Russia. Il presidente Biden sta cercando di convincere privatamente i leader ucraini a negoziare con la Russia edabbandonare il rifiuto di impegnarsi in colloqui di pace”.
Domenico Quirico su “La Stampa” del 10 ottobre titola ‘Arrivati davanti al baratro nucleare la pace diventa possibile‘:
“È nel momento in cui più si avvicina il baratro, irrimediabile, così profondo da non avere eco, che la pace diventa possibile. Sì: non necessaria, possibile. Putin ha perso la guerra e, come tutti i tiranni, sa che l’unico copione per lui è il tradimento degli ex fedelissimi, la solitudine, la congiura fatale, forse la morte. Zelensky, che come molte vittime sta percorrendo rapidamente la strada che lo capovolge nel suo contrario, quella del delirio della dismisura, dell’offuscamento dei limiti, del messianesimo del Bene contro il Male, non l’ha ancora vinta. È per questo che coloro che tengono i fili che reggono i due avversari sul campo, li alimentano, devono approfittarne, per imporsi, se necessario impedendo il passaggio successivo, il ricorso alla atomica. È una scintilla, bisogna alimentarla finché è possibile. Ora questa guerra è descrivibile in termini shakesperiani, una tragedia classica in cui contano umori e disperazione dell’uomo che può avviare il Giudizio universale. Putin sta percorrendo le tappe del tiranno sconfitto, di Macbeth che vede l’impossibile, ovvero la foresta che cammina e marcia contro di lui“.
Via via Vladimir Putin, a poco a poco che “le ritirate lo allontanano dalla sua corte dei miracoli, ha scoperto la vera solitudine che gli scortica il collo come un giogo. Nel silenzio un odore invade le sale, un odore che non assomiglia a nessun altro, animalesco, forte e insipido nello stesso tempo: l’odore del tradimento. Litania: vinceremo, cambieremo tattica, avanzeremo. Promettono, i bugiardi. Liquidato, avanti un altro. E ancora le stesse trippe debordanti che confessano, da sole, un ventennio di corruzioni allegre e impunite, di sbornie, quelle sì colossali, i generali da parata. Che buffonata la gloria!Giullari di corte, boiari della potenza immaginaria, un bluff costruito per la Piazza Rossa e i suoi riti di guerrafondai ecumenici, bandiere bolsceviche e croci zariste, passo marziale e marcette. Il potere era caratterizzato da un cinico e spietato machiavellismo, fondato sulla sua brutale interpretazione della storia russa. Putin proprio ora è doppiamente letale. Molto più che prima, quando aveva una possibilità di vincere o di sopravvivere e ragionava politicamente. Ora incarna il tiranno senza speranza. L’odio assume l’aspetto di un dovere. Si vede davanti quel conto da regolare, gli arretrati di un debito. E l’arsenale, che era fino a ieri solo un soprammobile della potenza, diventa arma indispensabile per concludere almeno in modo apocalittico“.
Quirico si compiace di usare accenti alla Ceronetti, ma è pur vero che in Russia molti ormai criticano Putin, più o meno apertamente, cominciando dal suo ‘ideologo di regime‘, Aleksandr Dugin, il padre della povera Darya, che rinfaccerà aspramente allo zar la perdita di Kherson e lo inviterà a far fagotto, ricordandogli che la parola sconfitta non esiste per un leader russo. In quegli stessi giorni Medvedev tuona: “Terza guerra mondiale se Ucraina ha armi a lungo raggio. È la strada più veloce per una escalation del conflitto”. Mentre Zelensky, badando al sodo, invoca: “Ci servono 57 miliardi di dollari. Per coprire il deficit di bilancio l’anno prossimo e per ricostruire infrastrutture cruciali ed energetiche”. Intanto prende l’avvio la rappresaglia russa (missili e droni kamizaze) sulle infrastrutture ucraine.
Notava Gianandrea Gaiani in Analisi Mondo del 12 ottobre 2022:
“Ben 194 missili e razzi pesanti lanciati il 10 ottobre contro obiettivi in diverse regioni dell’Ucraina hanno dato il via alla rappresaglia delle forze russe per l’attacco al Ponte di Crimea. Gli obiettivi dei raid sono stati raggiunti, ha reso noto il ministero della Difesa russo. Oggi le Forze Armate russe hanno continuato a effettuare massicci bombardamenti con armi di precisione sparate dall’aria e dal mare contro le strutture di comando e controllo militare e il sistema energetico dell’Ucraina. Nel mirino dei missili anche numerose infrastrutture, quali le centrali elettriche colpite in otto regioni, di cui 4 rimaste senza energia elettrica (Lviv, Poltava, Sumy e Ternopil) e nella capitale dove sono scoppiati oltre 30 incendi. Anche ieri in diverse regioni ucraine difficoltà e sospensioni del servizio della rete elettrica. La sera dell’11 ottobre il ministro dell’Energia ucraino Herman Halushchenko ha dichiarato alla CNN che circa il 30% delle infrastrutture energetiche in Ucraina è stato colpito da missili russi nei due ultimi giorni“.
Lucio Caracciolo scrive su La Stampa del 15 ottobre:
“Dopo otto mesi di guerra, la Russia è spalle al muro. Con le avanguardie nel Donbass messe in rotta dalla controffensiva ucraina di settembre-ottobre. A Mosca si confida nel generale Inverno per rinsanguare i reparti al fronte. Obiettivo: guadagnare tempo, contando che prima o poi l’eteroclita famiglia atlantica, stanca di guerra per procura, sanzioni e controsanzioni, terrorizzata dalla minaccia d’olocausto nucleare, stabilisca di non morire per Kiev. Possibile. Sicuro è che quando un esercito invasore passa dall’offensiva alla difensiva, come quello russo nell’avventura d’Ucraina, difficilmente ritrova slancio“.
Concepita contro-colpo di Stato, rivincita del blitzsubito nel 2014 a Kiev, l’‘Operazione Militare Speciale‘volge in lotta per la sopravvivenza. Scopo: salvare la Russia. Rischio: morte dello Stato e sua decomposizione in ritagli di Russie, via guerre non solo civili. Conseguente spartizione del suolo patrio fra nemici o finti amici occidentali, orientali e meridionali. In sfere d’influenza o per annessioni dirette. Replica in formato superiore della mischia per la successione al colosso zarista che, fra 1918 e 1922, coinvolse svariate fazioni domestiche e le medesime potenze straniere che oggi il Cremlino battezza ‘Occidente collettivo‘. ‘Vogliono impagliare l’Orso‘, constata Putin, incalzato dai cinesi che, non fidandosi più di lui, lo vorrebbero subito con la penna in mano a firmare la pace con Zelensky; il capo vede sfaldarsi la coorte di servitori di cui sa di non potersi fidare”.
Caracciolo probabilmente esagera in drammaticità. Abbondano, ovunque, le chiacchiere in materia. “La guerra in Ucraina finirà entro l’estate e la Russia si disgregherà“, prevede, come un profeta, il capo dei servizi d’intelligence militari di Kiev, Kyrilo Budanov, intervistato dal sito Obozrevatel. Budanov scorge anche significativi progressi sul campo entro la fine del 2022: “Nella tarda primavera, tutto ciò finirà. Entro l’estate sarà tutto terminato”, sottolineando che l’Ucraina dovrà “in primoluogo” tornare ai confini del 1991 (compresa dunque la Crimea).
Il 19 ottobre Volodimir Zelensky è al solito tranchant:
“Gli attacchi di ieri hanno interrotto i rifornimenti di corrente e acqua a centinaia di migliaia di
ucraini. Un terzo degli impianti sono stati distrutti la settimana scorsa, con l’effetto di provocare massicci blackout in tutta l’Ucraina. Non c’è più spazio per i negoziati con il regime di Putin”.
Ironizza, quindi, il portavoce Peskov nella quotidiana conferenza-stampa il 25 ottobre: “Sforzi finalizzati alla ricerca di possibili soluzioni li valutiamo positivamente, ma chi chiama Zelensky che ha vietato qualsiasi negoziato con la parte russa? La Russia è pronta a dialogare con Papa Francesco, così come con gli americani e con i francesi“. Ma ‘chi chiama Zelensky?’, commentando,come un tormentone incipiente, la richiesta del Presidente francese Macron al Pontefice di dialogare con il presidente russo Putin, il Patriarca ortodosso Kirill ed il presidenteBiden, per favorire il processo di pace in Ucraina. L’11 novembre il vice Ministro degli Esteri russo, Sergey Ryabkov, conferma che “Mosca è aperta al dialogo con l’Ucraina senza precondizioni“. Ma il Consigliere di Zelensky, Mykhailo Podolyak, raffredda ogni speranza: “Soluzione diplomatica è resa, smettete di proporcela”. Il Cremlino è favorevole a mediazione Vaticano, ripeterà il 28 novembre 2022 Peskov: “Ma la posizione di Kiev la rende impossibile”.
Dmitri Medvedev (un altro attore ben calato nella sua parte) recita ispirato il 4 novembre, in occasione della Giornata dell’Unità Nazionale, con toni da omelia diPatriarca:
“Abbiamo un obiettivo sacro, sconfiggere Satana. Abbiamo l’opportunità di mandare tutti i nemici nella Geenna infuocata, ma questo non è il nostro compito. Ascoltiamo le parole del Creatore nei nostri cuori e le obbediamo. Queste parole ci danno uno scopo sacro. L’obiettivo è fermare il comandante supremo dell’inferno, non importa il nome che usa: Satana, Lucifero o Iblis. Perché il suo obiettivo è la morte. Il nostro obiettivo è la vita, combattendo contro un branco di pazzi nazisti tossicodipendenti, persone drogate e con un grosso branco di cani che abbaiano dal canile occidentale”.
Como ciò si concili con certi articoli di esaltazione di Stalin, che compaiono sull’agenzia di notizie governativa Sputnik, creata nel 2014 per un pubblico internazionale –in Europa considerata vicina alla destra estrema ed al ‘cospirazionismo dietrologo‘, in America Latina
prossima alla sinistra socialista, comunista ed antistatunitense – rimane un mistero…
Il 28 ottobre i media ci informano che si appresta la battaglia: Kherson si prepara alla battaglia in una fase cruciale della guerra. Sono almeno 70.000 i civili evacuati dalle autorità filorusse, che hanno attraversato il fiume Dnipro in vista della prevista battaglia con l’esercito di Kiev. Lo ha riferito il comandante della milizia russa,Alexander Khodakovsky, aggiungendo che sono in corso i preparativi per la difesa di Kherson, portando fuori la popolazione civile. La Russia ha inviato fino a 1.000 soldati sulla sponda occidentale del fiume Dnipro nel tentativo di difendere la città. L’11 novembre Kiev annuncia che le proprie forze sono entrate a Kherson. Ebbro di felicità, Zelensky, al colmo dell’esaltazione,promette, il giorno dopo: “Libereremo Donbass e Crimea”. Intanto, il 14, il Bollettino dello Stato Maggiore delle Forze Armate ucraine, diffuso su Facebook, recita lugubre: “Uccisi 81.370 soldati Russia, 510 solo ieri”, dati non controllati.
Il leader ucraino intervenuto in videocollegamento al summit del G20 di Bali fissa, il 15 novembre, dieci condizioni per mettere fine alla guerra e dice ‘no‘ a Minsk-3. La proposta fatta dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky per un impegno russo su: Radiazioni e sicurezza nucleare; Sicurezza alimentare; Sicurezza energetica; Liberazione di tutti i prigionieri e deportati; Attuazione della Carta delle Nazioni Unite e ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina e dell’ordine mondiale; Ritiro delle truppe russe e cessazione delle ostilità; Ripristinare la giustizia; Anti-ecocidio (distruzione ambientale); Prevenzione dell’escalation; Fissare la fine della guerra.
Le parole di Zelensky pronunciate al G20 “confermano la sua riluttanza a negoziare”, chiosa a Ria Novosti Peskov: ‘De facto e de iure‘ l’ Ucraina non può e non vuole tenere negoziati con la Russia. Mosca continuerà l’ ‘Operazione Militare Speciale‘.
Quello stesso martedì 15 un missile cade in territorio polacco, uccidendo due persone. Il Ministro degli Esteri di Kiev, Dmytró Kuleba, dice al Segretario di Stato Antony Blinken: “Mosca è responsabile per il missile in Polonia”. Ma secondo le prove raccolte da Varsavia, Usa e NATO, il razzo caduto in territorio polacco appartiene a Kiev. Il premier-showman Zelensky attribuisce per giorni ai russi la paternità del missile terra-terra – di fabbricazione russa, ma dell’arsenale ucraino – caduto su una fattoria al confineucraino-polacco. Il politico-attore in canottiera militare, per dirla alla Cardini, imperversa alla grande sui media diun deliberato attacco russo a un Paese NATO, invocando l’assalto immediato di tutti i Paesi atlantici contro lo Statoaggressore, ai sensi dell’articolo 5 dello Statuto dell’Alleanza Atlantica (immaginiamoci se il petulante Zelensky, uno che è entrato a fondo nel suo ruolo di capo,che non sembra voler dismettere, avesse ottenuto la più volte reclamata no-fly zone!).
Il 21 novembre il direttore regionale OMS per l’Europa, Hans Kluge: “Guerra deve finire prima che sistema sanitario e salute popolazione vengano ulteriormente compromessi. Questo inverno sarà pericoloso per la vita di milioni di persone in Ucraina. La devastante crisi energetica, l’aggravarsi dell’emergenza di salute mentale, i vincoli all’accesso umanitario ed il rischio di infezioni virali renderanno la stagione fredda un arduo banco di prova”.
Due giorni dopo il Parlamento Europeo vota una mozione che dichiara la Russia “uno Stato sostenitore del terrorismo ed uno Stato che fa uso di mezzi terroristici”.
Tante cose fatte o dette negli ultimi due mesi, ma la sostanza ultima, ahimè, non è cambiata.
Il 26 novembre Roberto Dolci, laureato al Politecnico di Torino, residente per lo più negli Stati Uniti, CEO di aizoOn, operante nei servizi dell’ innovazione tecnologica, con sede a Torino, un analista tanto sui generis quanto efficace, chiosava su Zafferano: ‘Cosa fare con l’Ucraina?‘
Biden ha annunciato altri 37 miliardi di dollari a favore dell’Ucraina, giusto un giorno prima di confermare che i Repubblicani han conquistato la Camera, ed ora iniziano ad investigare il ruolo che lui, figlio e sodali hanno avuto ed hanno nella gestione di questi ingenti finanziamenti.
1) Con quest’ultimo stanziamento arriviamo sui 100 miliardi di USD, cifra che ha probabilmente foraggiato le tasche degli amici, oltre ad aiutare i fratelli ucraini.
2) 10 milioni di ucraini hanno lasciato il paese nei dieci anni precedenti la guerra, segno di un
paese che invogliava a partire per lidi migliori prima della guerra.
3) Dall’inizio dell’invasione otto milioni sono scappati dal Paese: cinque in Europa e tre in Russia. Altri sette milioni si son trasferiti in altre città ucraine meno impattate dalle battaglie. 15 milioni di ucraini hanno lasciato casa, altri 10 si apprestano farlo perché senza luce, acqua, gas.
4) Dalla Russia almeno 500.000 maschi son partiti per evitare la guerra; stanno tra Georgia, Kazakistan, Turchia, Tailandia, Dubai, e qualcuno è arrivato in America come rifugiato politico.
5) Quasi 100.000 soldati russi ed altrettanti ucraini sono morti negli scontri.
6) Sempre valida la stima di circa $750 miliardi per ricostruire un Paese in cui il 50% delle infrastrutture e delle fabbriche è distrutto, milioni di ettari di coltivazioni e boschi sono bruciati.
Poteva andar peggio? No. Lo sforzo di pacificazione ancora oggi sta a zero: un paese che fino a dieci anni fa contava 50 milioni, oggi ne ha la metà, il 20% del territorio è in mano russa, ed andiamo spediti verso il Deserto dei Tartari. Occorre ricordare quanto scritto daJohn Mearsheimer, per capire dove andiamo. Putin non vuole l’Ucraina nella Nato: non la vuole annettere alla Grande Madre Russia, come ci racconta Biden, ma è pronto ad asfaltarla per evitare che si schieri. Qualcuno pensa di andare a chiedere $750 miliardi a Putin per rifare l’Ucraina nuova di zecca? Cosa fare quindi con l’Ucraina? L’America può esser contenta di aver raggiunto uno dei suoi due obiettivi, ossia il pieno controllo dell’Europa e riconduzione all’ovile della Germania. Adesso è ora di chiedere a Putin di ritirarsi ed evitare di mettere la targa Nato sull’Ucraina, altrimenti del Paese non resterà molto, e delle nostre economie, ancora meno.
(https://zafferano.news/rubrica/notizie-dagli-usa/z184-cosa-fare-con-lucraina?uid=8453&aid)
Roberto Dolci cita, a ragione, John Mearsheimer (1947), professore di Scienze Politiche all’Università di Chicago, e riconosciuto teorico di Relazioni Internazionali, esponente della ‘Scuola neorealista’ nei rapporti internazionali, pioniere del ‘realismo offensivo‘,autore di The Tragedy of Great Power Politics, 2001, così come di The Israel Lobby and U.S. Foreign Policy, 2007. Nel 2014, al momento della crisi della Crimea, egli autorevolmente criticò la geopolitica di Washington a partire da Bill Clinton (1995), portare la NATO alle frontiere russe. In un articolo su Foreign Affairs, agosto 2014, attribuì la colpa principale della crisi ucraina agli USA e alleati. Per Putin, la destituzione illegale del presidente Yanukovich, pro-russo, il colpo di Stato, fu la goccia che fece traboccare il vaso. Rispose prendendosi la Crimea, temendo che vi venisse installata una base della NATO. Mearsheimer considera comprensibile la reazione di Mosca, perchè l’Ucraina è ‘indispensabile‘ como cuscino ammortizzatore delle esigenze di sicurezza della Russia. “Che succederebbe se la Cina costituisse una impressionante alleanza militare e tentasse d’includerviCanada e Messico?“ s’interrogava Mearsheimer, unconservatore americano patriota, non un lacchè di Putin, spaventato per le incessanti provocazioni verso il Cremlino, la mancanza di ‘realismo politico‘, l’influenzanefasta della scuola di pensiero dell’ ‘egemonia liberale‘.
Guglielmo II, il Deutsche Kaiser, e Carlo I d’Austria-Ungheria nel 1918 potevano ancora perdere un conflitto mondiale ed andarsene tranquillamente in esilio con la famiglia. Già Hitler e Mussolini non lo potevano più fare (ed il tennō Hirohito fu salvato solo dal generale MacArthur, che intuì che poteva servirsene per ricostruire il Giappone, che del resto non aveva governato, come alleato), perchè la guerra era divenuta sempre più ideologica, totale, paradossalmente etica, lontanissima dalle vecchie contese dinastiche (o, ancora, dalle grandi battaglie perse da Francesco Giuseppe a Solferino nel 1859, contro i francesi, ed a Sadowa nel 1866, contro la Prussia, senza neppure dover abdicare) ed i capi rimangono prigionieri dei ruoli assunti, prigionieri dei loro popoli e seguaci, per la vita. Bruciati dal fuoco appiccato, tormentati come il ‘Toro di Falaride‘.
In questa guerra russo-ucraina ci abbiamo perso tuttied ancor più ci perderemo. Il famoso “fuck the Eu”(fottiti, Unione europea) non è più una battuta di cattivo gusto, ma la triste realtà. Politici americani di entrambe i Partiti si rendono conto che l’Europa ne esce bastonata, molti son
contenti, altri fingono pelosa compassione. Altro che ‘guerra ibrida‘ – incertezza delle norme che la regolano, grande flessibilità tattica e strategica; pluralità di attori pubblici e privati portatori di interessi specifici diversi e talora in conflitto tra loro per il successo; compresenza di asset
concorrenti e sovrapposti; una contesa brutale, delocalizzata, pervasiva – vediamo ora in Ucraina
la penuria d’acqua, d’energia, il freddo (più che la fame), le malattie, un po’ come nei grandi assedi della storia, da Troia a Leningrado, passando per Costantinopoli, Vienna, Belgrado, Torino, Malta, Sebastopoli ecc., con privazioni crescenti, estese da una città ad un Paese intero. Più facile per l’Occidente dare armi che luce e cibo, ovviamente, fornire strumenti di morte che di vita, commenterebbe il Papa, chissà.
L’unica speranza di veder finire il conflitto in tempi ravvicinati sarebbe una vittoria russa,
senza l’uso di ordigni atomici. Sul campo o addirittura per stanchezza, per sfinimento della incolpevole popolazione civile ucraina. La Russia, con Putin o senza Putin (sciocco addebitare le colpe della guerra al solo ‘bullo’ del Cremlino, malefico invasore), non rinuncerà mai alla Crimea, tanto per non entrare a disquisire sul Donbass e la sua storia, anche a costo di usare armi nucleari. Purtroppo. È il suo ruolo, convinto ed ostinato, che qualche rovescio militare non ha intaccato, così come le carenze organizzative, le sanzioni, le fughe in massa dei coscrittiecc. Per il Presidente Biden (altro attore incardinato al suo ruolo, pure per gli ambigui affari del figlio Hunter) il mondo corre il più alto rischio di ‘Armageddon‘ nucleare dalla crisi dei missili del 1962.
Anche se Mosca vaneggia sull’inesistente ‘nazismoucraino‘, la Guerra Fredda tradizionale non c’è più; esiste una rivalità ‘liquida‘ tra potenze, una ‘Seconda Guerra Fredda‘ hobbesiana; la guerra non si dichiara più, ma si combatte aspramente, in forma irregolare. Anche tra potenze come USA e Russia il riferimento alla ‘guerra‘ è tornato di attualità dopo l’invasione dell’Ucraina. E la spada di Damocle dell’atomica, l’apertura del ‘Vaso di Pandora‘, si è riaffacciata, ben forte.
Sulla Crimea (e Donbass) l’Ucraina non ha ‘diritti storici’ e neppure può appellare all‘appartenenza etnica dei suoi abitanti. L’adesione formale alla NATO dell’Ucraina non porterebbe all’Alleanza alcun vantaggio, in ogni caso.Piaccia o no a Washington od a Stoltenbeg, nomen omen fra non pochi stolti. Neppure ai poveri ucraini. Appare‘una mossa di propaganda‘ e Kiev è consapevole del fatto che un simile passo significherebbe un’escalation quasigarantita verso la Terza Guerra Mondiale. Si può soloipotizzare un (pericoloso) gioco d’azzardo di chi si scorgecon l’acqua alla gola. Del resto, gli anglo-americani così non han fatto (stragi di civili), alla grande, a parti invertite, per por fine alla Seconda Guerra?
Questa è la prima chiave di lettura, quella degli attori e dei loro ruoli. Ne propongo sinteticamente una seconda, ad integrazione. ‘Depotenziato’ lo zar e chi ne prenderà il posto al Cremlino; affondata la politica ‘euroasiatica’ (i ‘Grandi Spazi’ di Carl Schmitt) degli amiconi tedeschi di Vladimir Putin, Gerhard Schröder, socialdemocratico, e poi la democratico-cristiana Angela Merkel (da non pochi giudicata ora la prima responsabile del nuovo disordine mondiale); ridimensionati assai l’Euro e l’economia europea, non solo tedesca, alla quale, comunque, verrà affibbiato il costo monumentale della ricostruzione ucraina, facendo entrare Kiev sollecitamente, con le armi della potenza o del ricatto, nell’Ue, perchè mai Joe Bidenavrebbe adesso interesse a protrarre oltre la ‘guerra per procura’, poco popolare nel suo Paese? Uno spiraglio di luce, forse.