Quando manca poco più di un mese all’insediamento del nuovo presidente Lula Da Silva al Planalto di Brasilia (avverrà il 1° gennaio 2023), il futuro della più grande nazione sudamericana continua ad avere contorni incerti. Il movimento di Bolsonaro (Partito liberale, PL) ha annunciato che presenterà ricorso al Tribunale superiore elettorale per chiedere l’annullamento delle elezioni dello scorso 30 ottobre, accampando presunte irregolarità nel funzionamento delle urne per il voto elettronico.
Una manovra che ricorda quella di Trump dopo l’elezione di Biden, motivata dallo scarto minimo emerso tra i due contendenti ( Lula 50,9%, Bolsonaro 49,1%) ma chiaramente propagandistica, difficile pensare che il Tribunale cancelli il voto di quasi 120 milioni di elettori. Del resto lo stesso presidente uscente ha già accettato la transizione verso l’insediamento di Lula e i suoi sostenitori, dopo i tafferugli scoppiati nei giorni successivi al ballottaggio, sembrano aver digerito la vittoria del candidato socialista, alla terza elezione in veste di presidente.
Anche se non è ancora ufficialmente insediato, Lula ha intanto fatto il suo debutto come capo di Stato alla Cop27 di Sharm el-Sheik, che si è svolta nei giorni scorsi. E dal palco egiziano ha lanciato a livello mondiale uno dei suoi temi favoriti, la salvaguardia dell’Amazzonia, polmone verde non solo del suo Paese ma del mondo intero. Il neopresidente brasiliano ha promesso che combatterà “senza tregua” i crimini ambientali, si impegnerà per promuovere la “deforestazione zero” e istituirà un ministero per i popoli indigeni della grande foresta pluviale. Un annuncio accolto con favore dal mondo ambientalista, ma che in patria è stato recepito con maggior scetticismo: «Nel 2003, il primo anno delle sue due presidenze precedenti, il neo salvatore dell’ambiente globale disboscò qualcosa come 25.396 Km quadrati di Amazzonia legale (ovvero protetta dalle leggi)», ha ricordato Paolo Manzo sulla rivista “Tempi”, «e si superò l’anno dopo, raggiungendo il record di foresta tagliata da quando, nel 1988, sono iniziate le rilevazioni via satellite, con addirittura 27.772 Km quadrati di alberi abbattuti. Inoltre, fino al 2009, più a causa della crisi globale del 2008 che per afflati ecologici, Lula, che avrebbe lasciato il potere poi a fine 2010, disboscò molta più Amazzonia legale del tanto vituperato Bolsonaro nel triennio 2019-2021».
La trasferta di Sharm el-Sheik ha ricevuto dure critiche anche perché per andare in Egitto Lula e il suo entourage hanno utilizzato un jet privato da dodici posti, quindi molto inquinante, peraltro di proprietà di un miliardario brasiliano già coinvolto in vicende di corruzione e riciclaggio. Al termine dei lavori della Cop27, il nuovo presidente ha comunque lanciato la proposta di tenere il prossimo summit ambientale, in programma fra tre anni, proprio in Amazzonia.
Al di là delle questioni ecologiche e delle “scivolate” aeree, Lula è già impegnato in un’intensa attività di relazioni internazionali che punta su due temi forti: l’accelerazione dell’integrazione territoriale sudamericana e il rafforzamento del blocco dei Brics, cioè la sigla che raggruppa i principali Paesi in via di sviluppo (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa). Per quanto riguarda il primo, la situazione politica del continente sorride a Lula: per la prima volta le cinque principali economie dell’America Latina sono guidate da governi di centrosinistra, quindi sulla carta abbastanza affini. Il presidente brasiliano ha promesso di portare avanti l’integrazione regionale, attraverso organismi come il Mercosur (pro libero mercato) e la CELAC (organo contro l’egemonia statunitense). In questo scenario, il Brasile, per natura economica e demografica è candidato a essere leader egemone della regione, come già in occasione dei primi mandati di Lula. Ma se da un lato l’unione ideologica delle diverse forme di “sinistra” in America Latina è storicamente complicata, un ulteriore elemento di difficoltà è l’attuale formazione del Congreso Nacional di Brasilia, che potrebbe imporre a Lula di trattare con il “Centrão” e con la destra moderata, proponendo politiche molto pragmatiche.
Ancor più interessante è però l’ipotesi di potenziamento del blocco dei Brics (ai quali potrebbe aggiungersi anche l’Argentina del neoperonista Alberto Fernandez), con il quale il Brasile targato Lula vuole incrementare i rapporti commerciali. In questo senso ricordiamo che il leader socialista si è sempre espresso con molta cautela nei confronti della Russia di Putin impegnata nella guerra con l’Ucraina, e ad onor del vero anche il predecessore Jair Bolsonaro si era ben guardato dall’imporre sanzioni economiche contro Mosca. Fra l’altro all’interno dei Brics si sta facendo strada l’idea di creare una valuta di riserva internazionale, basata sulle monete dei cinque membri del gruppo, per prendere le distanze dal dollaro (già adesso Brasile e Russia commerciano fra loro in rubli). Oltre all’Argentina, altri Paesi bussano alla porta della coalizione alternativa all’Occidente: Algeria, Arabia Saudita, Egitto ed Iran vogliono entrare per non essere attori di secondo piano del nuovo ordine mondiale che si sta profilando all’orizzonte. Sempre più multipolare, checché ne pensino gli Usa e la Nato.
Quella dell’Amazzonia ‘difesa’ dalle sinistre brasiliane, e da Lula in particolare, è un emerita presa per i fondelli: primo, perchè non è, non è mai stato, assoluitamente vero; secondo, perchè una regione del mondo che cresce ai ritmi demografici folli del Brasile, non se lo potrebbe comunque permettere, se non in misura ridotta e parziale. Quindi, ‘anime belle’, cercatevi altri miti…