Lucio Mujesan, nato nel 1943 a Pirano d’Istria, italianissima terra finita in mani slave causa le tragiche vicende della Seconda Guerra Mondiale, è stato un bomber di indiscusso valore che, come accadeva nell’epoca in cui ha giocato, è giunto alla A dopo essersi fatto le ossa.
Lucio, vista la tua terra di origine, presumo che tu ed i tuoi famigliari abbiate patito le tragiche vicende legate al drammatico e forzato esodo conseguenza della Seconda Guerra Mondiale.
“Io sono un profugo. Sono nato a Pirano, ma trascorsi parte della mia infanzia nella frazione di Portorose. Dopo fu impossibile rimanervi perché fummo costretti a lasciare la nostra terra. Venimmo confinati in delle baracche a Santa Croce, a pochi passi da Trieste, dove rimanemmo per tre anni sfottuti e derisi dagli sloveni. Mio padre che faceva il carpentiere comprò una casa a Trieste dove ci trasferimmo. Fu in quel periodo che cominciai a dare i primi calci al pallone”.
Come avvenne il tuo approccio con il calcio?
“Militai nei ragazzini della Ponziana, società calcistica triestina, dopo tre anni esordii in Serie D. Successivamente venni ceduto alla Roma, squadra giovanile. In seguito venni ceduto in prestito al Messina che, nel Campionato di Serie B 1962-63, venne promosso in A. Portiere del Messina era Mario Rossi che ritrovai anni dopo, ad Arezzo, in qualità di allenatore. Nel 1963 la Roma mi cedette in prestito al Venezia, in Serie B. Dovendo svolgere il servizio militare, nel 1964 passai all’Avellino, in Serie C. dove rimasi per due anni realizzando complessivamente oltre 30 reti”.
Successivamente cosa accadde?
“Stavo per passare alla Spal, in Serie A, quando si fece avanti il Bari con l’allenatore Toneatto ed il cavalier Nitti. Venni così ceduto al Bari, in Serie C, girone C, per il Campionato 1966-67. Fui fortunato a Bari ad avere un grande allenatore come Toneatto”.
Bari, il cui presidente era Angelo De Palo.
“Il grandissimo presidente, il professor Angelo De Paolo”.
Come venne costruita la promozione in B del Bari in quell’annata 1966-67?
“A Bari innanzitutto trovai una piazza meravigliosa. Toneatto fu capace di creare un gruppo straordinario in campo e al di fuori del campo. L’intesa in attacco fra me e Franco Galletti fu perfetta. Gli spazi che Franco creava facilitavano i miei inserimenti consentendomi di realizzare i goal. Divenni capo cannoniere del torneo con 19 reti”.
Nel campionato di Serie B 1967-68, il Bari di Toneatto mancò per un soffio la A.
“La Serie A ci sfuggì nel finale, alla penultima giornata, in casa con il Verona, che rabbia…”.
Alla terzultima, il Bari vinse a Roma contro la Lazio per 2-1. I biancorossi erano ad un passo dalla A, terzi in una classifica che si presentava nel modo seguente: Palermo 50, Pisa 48, Bari 46, Foggia 45, Verona 44. Proprio il Verona era atteso a Bari il 16 giugno 1968. Come andò?
“Il Bari sbloccò subito il risultato con Galletti su mio passaggio. Pur conservando noi l’iniziativa, spinti dal pubblico e da Toneatto che volevano stravincere la partita, continuammo ad attaccare consentendo al Verona di capovolgere il risultato sconfiggendoci 2-1. Così perdemmo la A. Che rabbia!”.
In massima serie vennero promossi Palermo, Pisa e Verona. Il capitolo Bari si chiuse per te parzialmente. La A non la raggiungesti con il Bari, ma con il Bologna al quale venisti ceduto dalla società biancorossa in cambio del portiere Spalazzi, l’ala destra Fara, il centrocampista Tentorio, l’attaccante Paganini, soldi.
“Nell’estate del 1968 dovevo passare al Milan in quanto mi voleva l’allenatore rossonero, Nereo Rocco, triestino. La trattativa con il Bari non si concluse e così venni ceduto al Bologna”.
Che ambiente trovasti a Bologna?
“Un ambiente difficile. Avendo vinto lo Scudetto nel Campionato 1963-64, la piazza era molto esigente e pretendeva di rivincere il torneo”.
Bologna allenato da Cesarino Cervellati, monumento del calcio rossoblù.
“In quell’annata Cervellati venne esonerato e sostituito da Oronzo Pugliese. A Bologna ebbi una grandissima responsabilità in quanto videro in me il nuovo Haller, che il Bologna aveva ceduto alla Juventus. Ma c’era un abisso fra Haller e me. Inoltre, noi calciatori più giovani, io, Gregori, il portiere Adani, Savoldi, facemmo fatica ad integrarci con quelli più noti. In quel campionato realizzai 11 goal”.
Niente male per essere il primo anno di A.
A Bologna disputasti anche il Campionato 1969-70 con i rossoblù guidati da Edmondo Fabbri. Ricordiamo che Fabbri, nel 1966, in qualità di commissario tecnico della Nazionale, fu responsabile del disastro ai Mondiali d’Inghilterra con gli azzurri eliminati dalla Corea del Sud. Che tipo era Fabbri?
“Personaggio particolare, i suoi pupilli erano i giocatori che erano stati con lui quando allenava la Nazionale”.
Da ricordare che in quel campionato tornasti a Bari – nel frattempo promosso in A – da ex, con la maglia del Bologna, nel febbraio 1970. Che ricordo hai di quella giornata al della Vittoria?
“Vincemmo per 2-0. Il primo goal lo realizzò Savoldi, il secondo lo misi a segno io. Sarei comunque tornato da ex a Bari altre volte”.
Quel tuo goal – alla porta della curva nord – scaturì da una finta o da un “liscio” di Savoldi?
“Era uno schema: Savoldi lasciava scorrere il pallone per consentire i miei inserimenti in fase realizzativa”.
Esultasti quando segnasti il goal alla tua ex squadra che, di lì a poco sarebbe retrocessa in B?
“Non esultai eccessivamente, alzai le braccia al cielo”.
Come andò quella seconda annata a Bologna?
“Il Bologna nel 1970 si aggiudicò la sua prima Coppa Italia, competizione nella quale realizzai 4 goal. In Campionato misi a segno 7 reti. Ma era giunto il momento di salutare Bologna”.
Perché? Cosa bolliva in pentola per l’annata 1970-71?
“Fabbri voleva assolutamente il mediano della Ternana, Franco Liguori. L’affare si realizzò ed io venni ceduto al Verona. Paradosso: sia io in maglia gialloblu, che Liguori in maglia rossoblù, ci infortunammo gravemente restando lontani dai campi di calcio per molto tempo. E ci infortunammo tutti e due a San Siro, quando le nostre squadre affrontarono il Milan! Stetti fermo molto tempo, otto mesi e, quindi, in gialloblu non realizzai alcuna rete. A Franco Liguori andò peggio”.
Nei due anni trascorsi a Bologna, quale goal ricordi in particolare?
“Fu un goal di testa messo a segno il primo anno in casacca bolognese. Lo realizzai in un Bologna-Milan terminata 1-0 per noi. Ricevetti un bel cross e di testa infilai la palla sotto l’incrocio dei pali”.
Veniamo al tuo passaggio al Verona, in A, Campionato 1970-71.
“Causa l’infortunio di cui ho detto, a Verona restai solo un anno. Quindi tornai nuovamente a Bari per disputare in B, il Campionato 1971-72”.
Come andò la seconda volta a Bari?
“Ritrovai l’allenatore Lauro Toneatto. Il Bari era reduce dagli spareggi per la A che nel giugno 1971 lo avevano visto soccombere nei confronti di Atalanta e Catanzaro. Il mio ritorno in biancorosso non andò bene. Fu un’annata deludente e, per quel che mi riguarda, risentendo dell’infortunio subito un anno prima non resi come dovevo. E Toneatto fece di tutto per riportarmi ai livelli che tutti conoscevano”.
Nei tre campionati complessivi disputati con il Bari, quale fu il goal più bello da te realizzato?
“L’ultimo di una doppietta realizzata contro il Pisa nel Campionato 1967-68. In quella partita, vinta in casa da noi, misi a segno, di testa, il goal del 4-0 sfruttando un preciso cross di Correnti”.
Dopo quella stagione deludente lasciasti il capoluogo pugliese, definitivamente, con destinazione Roma, Serie A, Campionato 1972-73.
“Allenatore della Roma era Helenio Herrera, un fenomeno, un tecnico che caricava atleticamente non facendo mancare il contatto con il pallone; ma se sbagliavi eri fuori squadra. Venne esonerato nel girone di ritorno. Non era facile trovare spazio in quella squadra, avevo la concorrenza di Cappellini. Realizzai tre goal in campionato due dei quali a Bologna, alla mia ex squadra.
Una doppietta la misi a segno anche in Coppa Italia nella partita Mantova-Roma”.
A Roma restai un solo anno”.
Nel 1973-74 indossasti, in Serie B, la maglia dell’Arezzo.
“Venne costruita una buona squadra che fece un eccellente campionato. Ritrovai Fara e Marmo con i quali avevo giocato a Bari. In casa eravamo forti ed imbattibili, Avevamo una linea d’attacco molto forte costituita da Marmo n. 7, Fara n. 8, Mujesan 9, Magherini n. 10, Musa n. 11. I problemi sorgevano in trasferta in quanto, essendo la nostra una squadra offensiva, se attaccata andava in difficoltà”.
Chiusa l’esperienza con l’Arezzo, venisti ceduto alla Salernitana per disputare, nell’annata 1976-77, il Campionato di Serie C, Girone C.
“Giunsi a Salerno con la nomea che orami ero un giocatore finito. Realizzai invece 12 goal”.
Quattro goal in meno di Penzo che, con il Bari promosso in quell’annata in B, divenne capocannoniere del torneo.
“Fui soddisfatto per quei miei centri”.
Uno dei quali lo realizzasti alla tua ex squadra, il Bari, nel febbraio 1977. Andiamo per ordine. All’andata a Bari, settembre 1976, finì 1-1 con i biancorossi che, a pochi minuti dalla fine dell’incontro pareggiarono con un rigore realizzato da Penzo, il goal inziale di Abbondanza. Tu e l’allenatore Regalia della Salernitana eravate i due ex.
“Come detto in precedenza, tornai varie volte da ex a Bari dove ricevetti anche degli omaggi floreali. La prima fu con il Bologna, la seconda con l’Arezzo, successivamente con la Salernitana. Di Bari avevo tanti bei ricordi, ero rimasto nel cuore dei tifosi”.
Non è certo un bel ricordo per i biancorossi il goal su punizione che da ex realizzasti al portiere barese, Ferioli, nella gara di ritorno a Salerno, febbraio 1977, incontro da voi vinto 1-0.
“Calciai a sorpresa un sinistro rasoterra, angolato, che il portiere barese, spostatosi al centro della porta forse per sistemare la barriera, non riuscì a parare”.
Regalia di lì a poco lasciò la Salernitana per diventare direttore sportivo del Bari. Come la prendeste voi giocatori quella decisione di Regalia di lasciare all’improvviso la squadra.
“Regalia lasciò la guida della Salernitana poco prima della fine del campionato. Ma sai, alla fine ognuno è libero di fare ciò che sente di fare. C’è da dire che a Salerno Regalia non era ben visto e, spesso, veniva anche contestato”.
Quanto avvenne destò una certa sorpresa perché fosti tu ad assumere la guida tecnica della Salernitana rivestendo il duplice ruolo di allenatore-giocatore.
“Sicuramente l’età e l’esperienza orientarono la scelta su di me. Fu certo una sorpresa che affrontai senza complessi, forte anche di una squadra che era anche un bel gruppo”.
A memoria ricordo un altro caso simile al tuo verificatosi in quell’epoca: quello di Mario Zurlini, allenatore-giocatore del Matera.
L’annata successiva, Campionato di C 1977-78, fosti ancora protagonista. Causa vicissitudini societarie e tecniche con due allenatori, Facchin e Masiero, che si alternarono sulla panchina della Salernitana, a te giocatore venne nuovamente affidata la guida tecnica della squadra. Eri allenatore-giocatore.
“Avvertendo l’appartenenza alla Salernitana non mi tirai indietro, avevo il dovere di dare tutto anche nella duplice veste di allenatore-giocatore. Certo non furono annate facili quelle, ma non mi tirai indietro”.
Da quel momento ebbe inizio la tua carriera da allenatore. Quale fu il risultato migliore conseguito da allenatore?
“Innanzitutto frequentai il corso a Coverciano per diventare ufficialmente allenatore. Il miglior risultato da allenatore lo ottenni con la Paganese, classificatasi al sesto posto nel Campionato 1981-82 di Serie C”.
Perché la tua carriera da allenatore è durata poco?
“Un conto è fare il giocatore, altra cosa è fare l’allenatore. Avevo un carattere non facile perché non accettavo soprattutto i compromessi. Mi davano fastidio quei direttori sportivi o pseudo sportivi che volevano invogliarmi a far acquistare i giocatori che piacevano a loro. Ciò io non l’accettavo in quanto ho sempre pensato con la mia testa. Aggiungi, che il momento più triste della mia vita coincise con la malattia di mia moglie…fu dura veramente”.
Da calciatore quali sono sati i momenti più belli?
“Gli anni trascorsi a Bari, il primo dei due trascorsi a Bologna. Anche ad Arezzo e Salerno ho vissuto dei momenti belli”.
L’allenatore che ricordi ancora.
“Toneatto, ha capito il mio modo di giocare e la posizione ideale in campo”.
Differenza fra il calcio di ieri e quello di oggi.
“Meglio non parlarne… Non che alla mia epoca fosse tutto perfetto…Alla mia epoca era un calcio più tecnico, meno veloce, ma con delle giocate che oggi non si vedono”.
Lucio questa intervista si è aperta con una pagina dolorosa di storia italiana che ha riguardato te ed i tuoi cari: l’esodo dalle terre natie dei profughi istriani, giuliani e dalmati. Tu stesso hai rivendicato di essere un profugo che, in tenerissima età, con la sua famiglia fu costretto a lasciare la terra natia. Sei più tornato in quegli italianissimi luoghi non più italiani?
“Alla fine di ogni campionato, nel periodo estivo, tornavo a Portorose per stare con mia nonna e con mia zia. Loro rimasero in quei luoghi dove poi si spensero”.