
Il viaggio è stato, in tutte le epoche, simbolo della vita, del nostro percorso temporale, del nostro ex-sistere, verbo latino che indica lo “stare fuori” da qualcosa, dall’origine, o seconda dei casi e delle convinzioni personali, da Dio. Quando si viaggia, si parte da un luogo a cui, il più delle volte, si fa ritorno. Il viaggio, messo a tema in termini epistrofici dal neo-platonismo nel periodo ellenistico, mirabilmente cantato da Omero, in particolare nell’Odissea, tanto al momento della partenza, quanto in quello del ritorno, è animato da un sentimento profondo, umano: la nostalgia. Aneliamo l’avventura, ma tendiamo a far ritorno, nonostante i pericoli che ciò comporta (i Proci sempre in agguato), a Itaca. Questa nostra idea ha trovato conferma nelle pagine di un volume di diari di viaggio di uno scrittore di vaglia, Giuseppe Del Ninno. Ci riferiamo al volume, Giornale di un viaggiatore ordinario nelle librerie per l’editore Tabula Fati (per ordini: edizionitabulafati@yahoo.it, 335/6499393, pp. 223, euro 16,00).
Si tratta di un libro fruibile e godibile da diversi punti di vista. Innanzitutto, il tratto coinvolgente della prosa dell’autore, è atto a rendere il lettore vero e proprio compagno d’avventura del protagonista, suo sodale, in forza del tratto cinematografico delle descrizioni dei luoghi visitati. É un testo la cui qualità letteraria è indiscutibile. Oltre tale aspetto, queste pagine celano in sé i tesori tipici della saggistica: nozioni di storia, di storia dell’arte e di poesia. Del Ninno, pur definendosi “viaggiatore ordinario”, proprio come i viaggiatori “straordinari” di un tempo, che poterono vivere a fondo la dimensione dell’avventura, ha in valigia la strumentazione culturale necessaria per cogliere in ciò che vede e descrive, non la dimensione meramente superficiale, riservata al frettoloso turista, ma la “profondità” che connota il mondo dall’interno. Per questa ragione, il lettore non si troverà semplicemente di fronte al narrato di viaggi “nello spazio”, ma a spostamenti che si svolgono anche lungo l’asse temporale della storia, e guardano addirittura all’ “origine”
Nel volume, inoltre: «si trovano […] figure familiari e amicali, incontri esotici e pur “ordinari”» (p. 10). La scelta degli itinerari non è casuale. A noi pare che i viaggi compiti dall’autore abbiano, innanzitutto, carattere onfalico. Essi hanno coperto l’intero periplo del Mediterraneo, onfalos della civiltà, mare nel quale sorse e si è sviluppato il sapere europeo, con puntate significative in Danimarca, in Russia e nei paesi dell’Europa orientale. Oltre che onfalici, questi viaggi sono elementali, in quanto conducono il lettore all’incontro, in particolare, con l’elemento acqua. Durante le crociere nel Mediterraneo, l’incontro avviene con le agitate acque del pelago, nelle città nell’incontro con i fiumi che le attraversano. Tale aspetto ci è sembrato davvero centrale, in quanto rinvia al viaggio di conoscenza, al viaggio verso l’arché. Non è casuale, pertanto che il volume si apra con il diario che riguarda l’Egitto, terra da sempre considerata luogo d’elezione del sapere. L’attesa per la scoperta è evidente nello scrittore: «Finalmente, nella caligine, appaiono le sagome fantastiche delle Piramidi» (p. 19). La visione ha tratto intenso e l’emozione è sostenuta dai ricordi di letture infantili, dal mito dell’esotico, dal deserto quale luogo del mistero: «Tutt’intorno, sulle dune che fanno da corona al sito archeologico, si stagliano come soldatini sentinelle in groppa ai dromedari; mi ritrovo in un sogno della mia infanzia» (p. 19).
Oltre gli aspetti monumentali e naturalistici dei luoghi, si rileva anche una significativa attenzione per il quotidiano, il dolore e la gioia degli uomini. Così, in Egitto, di fronte alle povere abitazioni degli “ultimi”, Del Ninno chiosa: «Si può gioire anche in quei tuguri senza acqua e senza fogne, si può gioire per qualche momento anche nella miseria più nera» (p. 24). Dal che si comprende, come l’occidentale possa provare senso di colpa di fronte alla povertà estrema in cui vivono uomini di altre latitudini, in particolare quando si tratta di bambini. Il Portogallo, oltre che essere esemplarmente significato dalla potenza dell’Oceano sul quale si affaccia, in altre epoche ardimentosamente solcato da navigatori intrepidi, dall’atmosfera “barocca” e tortuosa della bellissima Lisbona e dei suoi monasteri, nelle cui strade e caffè sostava pensieroso Fernando Pessoa, è perfettamente svelato nella sua essenza religiosa dalla scala che conduce al santuario del Bom Jesus, nei pressi di Braga. Ricorda l’autore, quanto scritto da Pessoa a riguardo: «Uomini e dei non sono altro che gradini di una scala vertiginosa, della quale non si può intravedere né l’inizio né la fine: Dio è l’uomo di un altro Dio più grande» (p. 55), a suggerire la dimensione iperbolica, inconclusa e propria del sacro. Non manca, in Del Ninno, l’attenzione per la gastronomia dei paesi che visita e per gli animali che incontra. In cucina, del resto, è ravvisabile la sedimentazione della cultura di un popolo. Né trascura, il nostro autore, gli animali, che accompagnano da millenni, le vicende umane. Per il Portogallo indica nel gallo l’animale “totemico” e nel baccalà, il piatto più tipico.
A volte accade che, stimolato dagli incontri, lo scrittore rilevi le contraddizioni in cui si dibattono le culture. In Andalusia, colpito dalla bellezza dei giardini islamici, così commenta: «Amore per il bello e sanguinaria spietatezza: una maledizione che sembra aver accompagnato l’islam in tutto il suo cammino» (p. 69). Forse, nel ricordo della conceria di Fez in Marocco, è da individuarsi uno dei momenti più intensi ma più dolorosi, dei viaggi dello scrittore. In vasche puteolenti, tra miasmi insopportabili anche per che si fermi pochi minuti nella conceria, molti uomini e diversi bambini, paiono vivere in un girone infernale. In queste vasche, dai più diversi colori: «tuffano braccia e gambe dannati della terra di ogni età, per strizzarvi pellami a mani nude» (p. 92). Un luogo in cui la lotta per la vita è sempre in atto, e devasta corpi e spirito degli uomini che ne sono protagonisti. Non mancano momenti di significativa introspezione, né attenzione per i compagni di viaggio, amici di vecchia data, così come spesso è esplicitata, attraverso l’evocazione di malanni vari, la difficoltà del procedere del viaggio. L’insegnamento che si può trarre da queste pagine è che l’andare rafforza il nostro amore per la vita e il mondo, il cui volto scopriamo nient’affatto monocorde, ma dominato dalla molteplicità e dalla pluralità.
Del Ninno ha un vantaggio, rispetto ad altri “nomadi”: ha sempre viaggiato con la donna amata, sposata molti anni fa, per cui con lei non ha mai vissuto lo spaesamento, si è sentito ovunque “a casa”.
*Giornale di un viaggiatore ordinario nelle librerie per l’editore Tabula Fati (per ordini: edizionitabulafati@yahoo.it, 335/6499393, pp. 223, euro 16,00)
Oggi gli unici viaggi veri e possibili sono quelli immaginari.