Sorvolando sul patetico caso nostrano “Putin affossa Draghi”, l’ultima settimana di luglio è stata caratterizzata, sul fronte russo-ucraino, non tanto da azioni militari quanto da due iniziative di “guerra ibrida” portate avanti – direttamente o per interposta persona – da Kiev.
Volodymyr Zelensky e la “first lady” Olena si sono infatti esibiti in un servizio fotografico piuttosto glamour sulle pagine di “Vogue”, che ha ricevuto un’accoglienza mista perfino in Occidente, ove molti ne hanno fatto notare la scarsa opportunità in tempo di guerra. Non è dato sapere, al momento, quale sia stata l’accoglienza riservata al numero di “Vogue” nelle steppe ucraine messe a ferro e fuoco, ma è lecito pensare che più di qualcuno non abbia troppo gradito.
Fin dalle primissime apparizioni televisive e sui social, dopo l’invasione, molti si erano in effetti resi conto che il talento di Zelensky, più che politico, era mediatico e, in senso lato, artistico, come del resto si confà ad un ex attore di successo. Le patinate pagine di “Vogue” ci confermano adesso che per lui e Signora, qualora le cose andassero male a Kiev, si potrebbe prospettare un eccellente futuro a Hollywood…
Fuor di scherzo, le vaste “purghe” recentemente decise dal Presidente, estese sia alla magistratura inquirente che alle forze di sicurezza e di intelligence, fanno pensare che all’interno del “deep state” ucraino sia in corso un preoccupante regolamento di conti. Non è detto infatti che Zelensky, qualora accettasse (magari dietro insistenza di Washington) un cessate il fuoco non soddisfacente per l’ala più nazionalista dei suoi sostenitori, non possa a sua volta essere accusato di tradimento e costretto ad abbandonare la carica: di qui, forse, il suo desiderio di rafforzare, prima che sia troppo tardi, il proprio “cerchio magico”.
Ma, al di là dei più stretti collaboratori, sarà in ultima analisi l’opinione pubblica del Paese a giudicare l’operato di Zelensky. E in questo senso l’apparizione su “Vogue”, concepita probabilmente, come si diceva, come un’ennesima azione di “guerra ibrida” volta ad aumentare la simpatia occidentale verso Kiev, potrebbe anche rivelarsi un autogol nel momento in cui la popolazione ucraina si rendesse conto – o venisse indotta a farlo – dell’enorme incongruenza fra le dorate attività del Presidente e la propria martoriata esistenza.
Forum dei popoli liberi della Russia
L’altra notizia della settimana riguarda la riunione del secondo “Forum dei popoli liberi della Russia”, svoltasi a Praga su principale ispirazione del Governo di Kiev e con la presenza, fra gli altri, del Segretario del Consiglio di Sicurezza ucraino Oleksiy Danilov. Questi ha fra l’altro garantito ai convenuti che Mosca, dopo aver perduto la guerra, sarà costretta a “decolonizzare”, restituendo la libertà a tutte le etnie presenti all’interno dell’attuale Federazione Russa.
Come ha spiegato, su “La Stampa” del 29 luglio, la giornalista Anna Zafesova, la “decostruzione” della Russia è l’obiettivo di tutti i partecipanti all’incontro, provenienti dalle varie regioni della Federazione e riunitisi per formulare una piattaforma politica comune.
Secondo la Zafesova, “la guerra per ricostruire l’impero ha riacceso la miccia della sua disintegrazione. Il Cremlino ha mandato in Ucraina le minoranze etniche: un buriato ha 275 volte più probabilità di morire sul fronte di un moscovita… Il risultato è che i buriati sono diventati, da nazione più uccisa sui campi ucraini, nazione in testa alla classifica delle defezioni dalle caserme”.
E’ vero che Vladimir Putin, dopo lo sfacelo del periodo eltsiniano, era riuscito a ricostruire la Federazione essenzialmente in cambio di privilegi tributari e/o concessioni ai clan locali (basti pensare alla parabola dell’attuale capo ceceno, Kadyrov): sviluppo che potrebbe essere in qualche modo reversibile, qualora la cosiddetta “operazione militare speciale” non andasse nel senso desiderato o comunque si protraesse per troppo tempo. Al momento, però, Mosca continua a tenere le redini molto corte e non sembrano avvertirsi spinte centrifughe che vadano oltre l’incontro un po’ folkloristico di Praga, che ha fatto seguito al primo Forum, tenutosi a Varsavia nello scorso maggio.
Varsavia e Praga
Varsavia e ora Praga: è evidente, nella scelta delle sedi, l’interesse degli ex satelliti dell’URSS, membri Nato duri e puri, a mettere ancor più in difficoltà il Cremlino. Anche se il ruolo di presidenza in esercizio dell’Unione Europea, che spetta nel secondo semestre dell’anno in corso proprio alla Repubblica Ceca, avrebbe forse dovuto spingere Praga ad una maggiore prudenza, se non altro per non coinvolgere gli altri Stati membri in eventuali accuse di ingerenza negli affari interni di Mosca.