« Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare ». Le parole di Seneca ben si attagliano alla condizione di quanti, oggi, si riconoscono in quell’area di destra che appare tristemente priva di punti di riferimento. Se, infatti, l’esercito di Silvio è più che mai agguerrito e compatto intorno al proprio leader, lo stesso non si può dire per tutti coloro che hanno una storia ed un vissuto politico chiaro e netto, ma un presente e, peggio, un futuro quanto mai incerto. La questione non è certo nuova, anzi, ma da qualche parte bisogna pur cominciare.
E forse – ma figurarsi se questa posizione potrà mai essere presa in considerazione – bisognerebbe un attimo smarcarsi da quei poltronisti che per anni hanno sventolato una bandiera e magari salutato romanamente alle feste tricolori salvo poi, doppiopettisti di professione, aver stretto mani ed alleanze da voltastomaco con centristi, populisti, liberali (e liberisti) nonché con i famigerati democristi. Non meravigliamoci quindi di cosa accade oggi.
Ieri, piuttosto, c’era il Fronte della Gioventù e nuclei di ragazzi che avevano un altro spessore, ammettiamolo. Intransigenti, questo è vero, ma di sicuro coerenti. Si intonavano canzoni a Bobby Sands e si sapeva tutto sulla questione irlandese. Si leggevano opuscoli su Degrelle che infiammavano l’anima e che rafforzavano il sentimento di militanza e di appartenenza ad una comunità umana, non di certo ad una “larga intesa”. C’erano i jeans e le mani sporche di colla e le notti senza sonno passate ad organizzare e seguire le batterie che avrebbero tappezzato le città con i manifesti 70×100. Nei ragazzi di allora – che sono i padri di famiglia di oggi – c’è tutta una storia, una fede, che qualcuno ha trattato come una pezza da piedi.
Quegli stessi “qualcuno” che hanno poi imbarcato tutto questo patrimonio culturale in un progetto politico che, diciamolo una volta per tutte, mai è appartenuto all’area di destra e che solo per triste opportunità politica e quote di sbarramento in molti hanno voluto accettare. Oggi si raccoglie quel che si è seminato. Ormai prossimo allo smembramento il Popolo delle Libertà, Forza Italia serra le sue fila tornando ad essere ciò che è sempre stata, ristabilendo – si spera – quel chiaro confine tra noi e loro. Appunto, e noi?
Le vecchie volpi corrono ai ripari cercando di tessere una nuova tela, una nuova casa comune, che permetta ai poltronisti di cui sopra di continuare a sedersi in qualche consiglio comunale o regionale – perché più in là di così non vanno –. Sarebbe forse il caso, allora, di lasciare alla deriva questi monumenti da seconda repubblica e ricostruire sulle rovine, ripartendo però dalla parte sana della nostra comunità. Ricominciamo dai nostri giovani, i disinteressati alle medaglie di cartone, i militanti veri, 365 giorni l’anno, sul territorio. Ragazzi che non hanno bisogno di vili compromessi da urna elettorale, che hanno saputo smentire coi fatti quel becero e falso luogo comune secondo cui “la cultura sta a sinistra”. In Italia c’è un panorama giovanile di destra che può rappresentare davvero una speranza, lontano dalle grette logiche di partito o da ideologismi che non portano da nessuna parte. Un panorama però troppo frammentato, come da classico campanilismo italiano.
Auguriamoci allora che la parte migliore della nostra area sappia trovare presto unità e compattezza; ricostruiamo – e difendiamo – il nostro Fronte.