Tutto in 48 ore. Si riunisce la “war room”, in previsione dello “scontro finale”, dopo l’“ultimatum“. Il gergo militare, in questo agosto, abbonda sui giornali italiani. Si dirà: «Certo, in Medio Oriente si combatte e si decide del destino di nazioni strategiche per l’equilibrio di una zona determinante». E invece no, ci sbagliamo: i quotidiani, quando parlano di “guerra”, intendono parlare in realtà di Berlusconi, di Letta, di Imu. Solo i giornali? No, è la politica stessa che, pomposamente, utilizza le categorie militari per parlare ombelicamente di se stessa piuttosto che di ciò che le sta attorno.
Eppure, a poche ore dall’Italia, uno scontro vero e tragico sta infiammando una zona strategica che dovrebbe impegnare pesantemente l’agenda politica nostrana. In Siria, infatti, non vi è solo una guerra civile in atto. Ma questa sta diventando l’innesco per l’ennesima potenziale mossa di destabilizzazione di un’area già martoriata e annichilita dalle varie “dottrine” di esportazione della democrazia negli ultimi dieci anni e ancora negli ultimi dieci mesi se si include il Maghreb. Ironia della sorte, poi, le “48 ore” che Berlusconi ha dato al governo per riparare sull’Imu sono le stesse che gli Usa hanno dato ad Assad, presidente siriano.
Anzi, il “premio Nobel per la pace” Barack Obama ha già intimato l’intervento militare, addirittura sullo stile Kosovo, senza autorizzazione dell’Onu, come “insegnato” da Bill Clinton. Ma non solo gli States. Il dibattito sulla Siria – a vari livelli – interessa la Francia di Hollande, l’Inghilterra di Cameron schierate per l’interventismo senza se e senza ma. Al “centro” – in una posizione moderatamente scettica – troviamo la Germania di Angela Merkel. Nettamente contraria, con tutto il suo peso, la Russia di Vladimir Putin. Le grandi potenze, insomma, riflettono sui perché dello scacchiere internazionale.
E l’Italia di Letta e Alfano? Assente. Totalmente assente. Dal governo italiano, infatti, nessuna dichiarazione ufficiale sul destino della Siria e sul ruolo del nostro Paese. Dalla terza carica dello Stato, l’“umanitaria” Laura Boldrini? Idem: troppo impegnata a far cancellare l’articolo maschile dai fogli della presidenza della Camera. E dalle forze politiche? Silenzio assoluto. Il centrodestra, figuriamoci, sclerotizzato nella difesa del “fortino” di Arcore. Ma anche la sinistra – dai dogmatici della Costituzione a quella “arcobaleno” – è del tutto disinteressata alla questione mediorientale: come se la “pace” fosse questione archiviata dopo Bush.
Ancora più grave, da un certo punto di vista, è il fatto che la cosiddetta “società civile” sia assente in queste ore. Dove sono finiti i pacifisti italiani? E la Chiesa “dei poveri”? E Gino Strada? Perché in Siria, oggettivamente, sta andando di scena lo stesso copione messo in atto – con risultati disastrosi – in Iraq. Cosa? Drammatizzazione a senso unico delle “fonti”, accelerazione drammatica (e unilaterale) di alcuni Paesi, accuse di “arsenali” da dimostrare. E dire che rispetto all’Iraq, la lezione dovrebbe essere chiara. Oltretutto in Siria dove, questa volta, ci si trova dinanzi a un’incongruenza difficile da mascherare: dato che gli oppositori, i “ribelli”, sono finanziati e sostenuti dallo stesso “circuito del terrore” che Usa e soci dicono di voler contrastare.
Davanti a tutto questo però – alle implicazioni geopolitiche, al ruolo delle potenze coinvolte e anche, perché no, agli interessi nazionali in gioco – in Italia si parla di “guerra” sull’Imu, di “scontro” tra falchi e colombe del Pdl, di “guerriglia” tra Enrico Letta e Matteo Renzi. Un Paese, insomma, che anche qui dimostra tutto il suo provincialismo. Ma anche la sempre più cronica mancanza di “spessore” in politica estera. Ancora più evidente e indicativa adesso, dato non si può nemmeno addossare più la colpa alle “corna” in fotografia del Cav…
@rapisardant