
E’ la Rus’ di Kiev, il principato che dominò quelle terre pianeggianti e fertili dal nono secolo al Duecento, a dare il nome alla Russia. Contesa poi per secoli da lituani, polacchi, tatari, asburgici (Rutenia) ed, infine, quasi interamente assorbita nell’impero zarista: la “terra di confine” cominciò a riconoscersi come nazione a metà Ottocento quando, nello spirito del Romanticismo, i popoli europei andarono alla ricerche delle proprie radici ed identità. L’Ucraina trovò allora il suo cantore nazionale in Taras Sevcenko (1814-1861), padre della moderna lingua ucraina.
Mentre Dmitri Medvedev minaccia la prossima, possibile scomparsa dell’Ucraina pure dalle mappe geografiche, Vladimir Putin dichiara oggi “l’Ucraina non esiste”, intendendo ch’ essa, come la Bielorussia, deve rientrare nella ‘Grande Madre Russia’ di cui faceva parte; come pensavano i politici e generali russofili dello zar, principali colpevoli della WWI nel 1914, detto en passant. L’insofferenza nei confronti della “russificazione” zarista proseguì in Ucraina fino all’assorbimento nell’URSS nel 1922.
Dieci anni dopo, la collettivizzazione imposta da Stalin e la requisizione del grano ucraino provocarono milioni di morti, l’ Holomodor, lo “sterminio per fame”. Nel 1941 il nuovo, fallito tentativo di liberarsi dal gioco sovietico alleandosi per un certo periodo con l’esercito tedesco. Stepán Bandera (1909-1959) fu allora il più eminente protagonista del movimento nazionalista ed indipendentista ucraino, accusato, a torto, di essere nazista, mentre fu solo, per un certo periodo, alleato della Germania occupante, così come i finlandesi di Carl Gustaf Mannerheim. Nel dicembre 1991 la dichiarazione di indipendenza, dopo il collasso dell’Unione Sovietica. ‘L’Ucraina porta il suo destino nel suo stesso nome, abitata da due popolazioni diverse seppur simili e legate da molteplici rapporti’, come ha ben ricordato Domizia Carafoli il 15 Giugno 2022, su queste colonne .
Rimanendo agli ultimi fatti e dichiarazioni, Kiev lancia messaggi un po’ contraddittori, aumentando la confusione creata dai molti media euroamericani, d’obbedienza intelligence britannica, ed ancora allineati con i giochi di prestigio verbali di Volodymyr Zelensky, Presidente della martoriata Ucraina, uso alle frequenti dichiarazioni da rodomonte o, alternativamente, in salsa piagnisteo-vittimistica. Che afferma, tuttavia:
“Il Donbass è la chiave per determinare chi avrà la meglio nelle prossime settimane. Abbiamo perdite dolorose anche nella regione di Kharkiv, dove l’esercito russo sta cercando di rafforzare le proprie posizioni… I Russi attaccano nel Lugansk da nove direzioni. L’Ucraina sta perdendo fino a mille soldati al giorno, tra uccisi e feriti; la nostra posizione negoziale è troppo debole per trattare ora”.
Ma per sostenere subito dopo, ringalluzzito dalla visita della Trojca a Kiev, per bocca del Ministro della Difesa, Oleksiy Reznikov, alla Cnn:
“Con nuove armi libereremo anche la Crimea. Ci riprenderemo tutti i territori occupati dalla Russia”!
Se un po’ di senno albergasse tra i protagonisti ed i Capi di Governo dei maggiori Stati d’Occidente, occorrerebbe prendere realisticamente atto di questa realtà, piaccia o no, che i russi avanzano verso la vittoria militare (anche se è fallita la loro speranza iniziale della Blitzkrieg e del cambio di regime a Kiev). Cercare di smussare la sconfitta inevitabile, condizionarla, lenirla, ma por fine alla farsa sanguinosa dove l’ Ucraina mette gli uomini e l’Occidente le promesse e le armi! Con tanto di ipocrita moralismo (nella tradizione dell’ ‘Arsenale della Democrazia’ o del ‘Destino Manifesto’ ecc.) per contorno e come per rafforzare l’asservimento a Washington…
Leadership ucraina, dal canto suo, criminale e non eroica, per alcuni, giacchè sacrifica quasi inutilmente vite ucraine, in primis, con la guerra già di fatto persa, solo per continuare a ricevere armi, soldi (soprattutto quelli statunitensi virtuali, che contribuiscono altresì a farci precipitare nell’inflazione) e promesse di aiuti di vario genere, sine die.
Come ha scritto Massimo Fini, un paio di mesi fa, rispondendo all’ universale quesito: ‘Vladimir Putin. Perché ha attaccato l’Ucraina, cosa accadrà?’:
‘L’inizio della storia è l’accerchiamento della Nato. Non è una novità: avere missili atomici sui propri confini non può andare bene a Putin. Ricordiamoci della crisi dell’ottobre del 1962, quando i sovietici posizionarono missili balistici a Cuba. L’obbiettivo di Putin, all’inizio, era quello di non avere un paese Nato sui confini: l’aggressione dell’Ucraina, che è poi una guerra agli Stati Uniti, poteva essere evitata, ora ha assunto dimensioni inquietanti. …e ora dicono che Putin è pazzo. Ovviamente, Putin non è pazzo. E se è vero che ci sono manifestazioni contrarie alla guerra in città, la Russia profonda sostiene totalmente Putin, che grazie all’appoggio del popolo non cadrà. D’altronde, ha ridato alla nazione l’orgoglio che aveva perduto con Gorbačëv, il capo di Stato che ha distrutto un impero per andare a Sanremo…Gli ucraini non hanno la possibilità di reggere l’urto russo. Il territorio, per lo più pianeggiante, non consente lunghi anni di guerra di resistenza, come è accaduto in Afghanistan. Pur sempre europei, gli ucraini non sono abituati al combattimento totale’.
(https://www.pangea.news/massimo-fini-intervista-russia-ucraina).
“Gravissime violazioni del diritto internazionale” ha significato l’ “operazione militare speciale” della Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina, iniziata lo scorso 24 febbraio, notava l’ex collega Massimo Lavezzo Cassinelli giorni fa su Barbadillo. Verissimo dal punto di vista della diplomazia italiana, dal dopoguerra allineata con le istanze sovranazionali e multilaterali. Solo che, data l’inefficacia dell’Onu, vista l’assenza di un legislatore universale in grado di legiferare in modo vincolante, il diritto internazionale rimane essenzialmente diritto consuetudinario, come ai tempi dell’Iliade. Il diritto convenzionale si basa sugli accordi ed intese tra Stati. Sappiamo che il diritto pattizio prevale sul diritto consuetudinario, ma con un’importante eccezione per quanto riguarda lo ius cogens, il diritto inderogabile. Una norma di ius cogens è una norma che protegge valori giusnaturalistici considerati fondamentali. Forme, contenuti e procedure per la formazione del diritto convenzionale sono state, certo, codificate nella Convenzione sul Diritto dei Trattati, Vienna, 23 maggio 1969. Ma, in sostanza, prevale sempre la legge del vincitore o del più forte, quella del gallico Brenno, quella che riveste ancora di presunta Giustizia/Moralità le condanne inferte dai vincitori ai vinti, tipo i Processi di Norimberga e Tokyo (1946-’48).
In una italica chiassosa sarabanda manicheista: cattivi contro patrioti democratici, bene contro male, ragione versus torto, pacifisti contro militaristi, possibilisti contro rigorosi difensori della legalità ferita, Putiniani, o presunti tali (con tanto di Black List ed ostracismi quotidiani) contro Atlantisti sfegatati (e chi più ne ha più ne metta…) la cronaca ci racconta, da ultimo, delle riduzioni alle forniture russe a Germania ed Italia, comunicate da Gazprom, che possono diventare una strategia. Putin sta chiudendo i rubinetti? Un eventuale embargo dell’ Ue contro il gas russo rovinerebbe l’intera Europa. E’ il monito lanciato dal primo ministro ungherese, Viktor Orban, uno dei pochi statisti lucidi, con Erdogan e Xi:
‘L’embargo al gas russo non sarebbe ragionevole e rovinerebbe l’intera Europa’, ha affermato, aggiungendo che ‘invece di imporre sanzioni bisognerebbe trovare altre soluzioni a partire da un rilancio dei negoziati di pace tra Ucraina e Russia… L’Unione Europea sta finanziando lo stato di guerra’. Per Orban per frenare l’inflazione, ‘deve essere finanziata la pace’. (www.adnkronos.com/gas-russo-orban-embargo-ue-rovinerebbe-leuropa).
Intanto, si spera nell’attivazione del ‘corridoio umanitario’ per i civili intrappolati dentro la fabbrica Azot a Severodonetsk, circondata dalla forze russe: 500 civili, fra cui 40 bambini. La situazione umanitaria a Severodonetsk è naturalmente critica, aggiungendo nuovi prevedibili orrori a quelli di Mariupol ecc. Il Presidente statunitense Biden promette, dal canto suo, nuovi aiuti con artiglieria pesante e sistemi missilistici.
Il 16 giugno, il viaggio a Kiev del premier Mario Draghi insieme al Presidente francese Macron ed al cancelliere tedesco Scholz. L’Ambasciatore a r. Gianni Castellaneta ha subito entusiasticamente chiosato: Trojka europea a Kiev grande successo di Draghi.
“Ora auspico viaggio anche a Mosca per proporre soluzioni pace. È un successo di Draghi, perché a pieno titolo entra in una trojka europea dalla quale spesso eravamo stati esclusi. La trojka europea rafforza la capacità di resistenza dell’Ucraina che non passa solo attraverso l’invio di armi, ma anche attraverso una solidarietà di tutta l’Europa”,
ha affermato Castellaneta all’Adnkronos, tradendo il solito ‘aziendalismo farnesiniano’, l’ossessione dei ‘parenti poveri’ per esserci, partecipare, più che per decidere.
In realtà, come bene ha scritto Lucio Caracciolo su “la Stampa” del 16 giugno:
“Mario Draghi oggi a Kiev con Emmanuel Macron e Olaf Scholz. Avanguardia dei fautori di una rapida soluzione diplomatica. Tradotto: serve al più presto un cessate-il-fuoco. Per ragioni umanitarie, certo. Ma anche per la convinzione strategica che il tempo giochi per la Russia. E siccome i leader italiani, francesi e tedeschi temono che il prolungamento del conflitto possa mettere in questione i fragili equilibri economici, sociali e politici dei rispettivi paesi, Zelensky sarà pregato di disporsi al negoziato di tregua (nominalmente di pace) prima che sia troppo tardi. Per lui e soprattutto per noi. Naturalmente confermeremo in pubblico che spetta a Kiev decidere se, come e quando negoziare con l’aggressore. Nella sempre più eterogenea famiglia euroatlantica c’è chi parteggia invece per la continuazione della guerra fino alla sconfitta russa”.
Come la ‘fatina bionda’ Ursula von der Leyen, Charles Michel, Jens Stoltenberg, Roberta Metsola ecc.
La fine di questa fase bellica non sarà però decisa dagli europei dell’una o dell’altra sponda, rileva acutamente Lucio Caracciolo su La Stampa, lo sarà dal dialogo diretto fra gli Stati Uniti (con l’áscaro/vassallo/scudiero Boris Johnson sempre graniticamente allineato con Sleepy Joe Biden) e la Russia:
“Ad oggi si possono solo cogliere una certa stanchezza di guerra da parte americana e una altrettanto evidente presunzione russa di potersi spingere ben oltre il Donbas. L’allineamento delle stelle visibili non promette la cessazione ravvicinata delle ostilità. Poiché le costellazioni astronomiche vere non sono scrutabili dai nostri osservatori, tutto resta possibile. Sola certezza: questo conflitto è di tale spessore che in qualsiasi momento può slittare verso esondazioni incontrollabili”.
Possiamo farci poco, riflette infine Caracciolo:
‘Fa peggio pensarsi padroni del gioco, sia la sanzione protocollare della vittoria dei russi o degli ucraini, sia l’eventuale cessazione delle ostilità (che) saranno molto probabilmente provvisorie. Infatti il grado di odio e di sangue sparso che si è accumulato nei due campi “fratelli” – due forme dello stesso popolo, a sentire Putin – è tale che chiunque prevalga sul terreno e quindi nella spartizione delle spoglie nemiche si troverà ad affrontare un avversario disposto a battersi nei modi possibili finché non si riprenderà il maltolto, o presunto tale’ (https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/ldquo-fine-questa-fase-bellica314084.htm).

Su Limes è stata pubblicata una mappa della futura Ucraina, secondo le aspirazioni di Putin e della dirigenza del Cremlino. Dove l’intero accesso al Mar Nero e al Mar d’Azov rimarrà saldamente in mani russe o alleate (la Nuova Russia e le auto proclamate Repubbliche Popolari di Doneck, di Lugansk e forse la Repubblica Moldava di Transnistria). Senza porti per un’Ucraina dimezzata. Da incubo per alcuni. Ma sempre meno peggio di una III Guerra Mondiale. Il tempo poi dirà.