Di solito sono scettico nei confronti della concezione cospiratoria della storia, per la sua tendenza a sussumere sotto la categoria del complotto fenomeni riconducibili a fattori di ordine culturale e politico che avrebbero influenzato le vicende anche al di fuori di una vera e propria cospirazione. Un caso tipico è quello della Rivoluzione Francese. È indubbio che le società segrete abbiano esercitato la loro influenza sugli eventi; resta però da domandarsi perché la maggior parte delle persone di cultura e soprattutto dei più giovani – compresi alcuni teorici della controrivoluzione come Joseph de Maistre – preferisse frequentare le logge piuttosto che le sagrestie. In realtà, fin da quella che il grande storico della letteratura e delle idee Paul Hazard definì “la crisi della coscienza europea”, le idee che avrebbero condotto all’89 erano in movimento. Senz’altro i giochi sotterranei della massoneria favorirono in un primo tempo lo scoppio della rivoluzione, ma il movimento seguì poi una propria strada che avrebbe tragicamente punito pure quanti ne erano stati ispiratori.
Da alcuni anni a questa parte, però, debbo verificare un fenomeno che mi induce se non a rivalutare a esaminare con maggior attenzione, e apprensione, le teorie del complotto. Debbo purtroppo riconoscere non solo che quanto paventato dai complottisti si sta verificando sempre più spesso, soprattutto a partire dallo scoppio della pandemia.
La grande sostituzione
Prendiamo il caso del cosiddetto “grand remplacement”, la progressiva sostituzione sul territorio europeo della popolazione autoctona con immigrati, in prevalenza africani di religione maomettana. Affermare che le migrazioni siano il prodotto di una congiura e che la denatalità sia pilotata dall’alto è certo una forzatura. Resta il fatto che molte Ong che favoriscono gli sbarchi sono finanziate da Soros, il governo italiano – a parte la breve e sofferta esperienza del governo giallo-verde – non ha mai contrastato seriamente l’immigrazione clandestina, mentre poco o nulla fa per incoraggiare la procreazione degli autoctoni, subordinando oltre tutto molte provvidenze al famigerato Isee, a tutto beneficio dei non italiani. Su chi salva in mare veri o presunti profughi e chi offre loro assistenza possono giocare sia fattori idealistici, prodotto, soprattutto per le giovani generazioni, di una pedagogia sociale ormai semisecolare, sia componenti pragmatiche (la cosiddetta industria dell’accoglienza). Ma non è detto che tutto sia colpa di Soros: anche l’imprenditore che assume al nero i clandestini per risparmiare sul costo del lavoro o gli italiani che rifiutano certi lavori manuali perché è più conveniente farsi mantenere dallo Stato col reddito di cittadinanza in attesa magari del posto pubblico hanno le loro colpe.
Il Grande Reset
Prendiamo anche la cosiddetta teoria del complotto, legata al progetto di great reset elaborata da eminenti uomini di Stato ed esponenti del mondo economico durante la crisi seguita al Covid. Pensare che la pandemia sia stata scatenata per consentire un controllo socioeconomico globale è difficilmente dimostrabile, anche se è inquietante notare come all’impegno posto nella realizzazione di sieri di dubbia efficacia contro il coronavirus non sia corrisposta un’analoga profusione di sforzi per accertarne l’origine. Eppure, come insegna Aristotele, per comprendere un fenomeno bisogna risalire alla causa. Ma la diffusione e soprattutto la cronicizzazione della pandemia ha fornito per chi esercita il potere l’occasione da un lato di verificare le possibilità di irreggimentare le masse con la giustificazione dell’emergenza, dall’altro di operare una limitazione selettiva dei diritti costituzionali senza precedenti, almeno dal 1945 a oggi. Chi ci avesse detto due anni e mezzo fa che per recarci al bar, per visitare un museo o partecipare a una conferenza sarebbe stato necessario il certificato vaccinale, e che avremmo vissuto la fine del lock down più come una benigna concessione, largita da un genitore severo ma giusto, che come un doveroso ritorno alla normalità, sarebbe stato trattato come un profeta di sventura.
La guerra in Ucraina
Osservazioni analoghe riguardano la guerra in Ucraina. Senza entrare nel merito delle ragioni o del torto (l’aggressore rimane l’aggressore), resta il fatto che con la concessione di armi a un Paese aggredito, ma di cui non siamo alleati e che comunque non fa parte dell’Unione Europea, e con l’imposizione di sanzioni a una nazione di cui siamo tributari per esigenze energetiche, il popolo italiano corre enormi rischi, e questo senza che scelte potenzialmente esiziali siano state compiute senza un serio dibattito parlamentare (in compenso, deputati e senatori sono stati precettati come tanti scolaretti ad assistere alla videoconferenza di Zelensky, e non sono mancati i capoclasse che hanno segnato sulla lavagna i nomi di chi non era stato presente).
Lo stesso potrebbe dirsi per la cosiddetta transizione energetica, imposta con la minaccia di un riscaldamento globale prodotto in realtà di fattori in minima parte attribuibili ai combustibili fossili: un reset dell’economia delle cui conseguenze non ci siamo ancora resi conto, che da un lato eliminerà molti posti di lavoro, dall’altro renderà ancora più costoso l’utilizzo dell’automobile, come se non bastassero gli odierni rincari dei carburanti.
Quanto sta avvenendo in questi giorni, però, con l’esplosione del processo inflattivo, sembra preannunciare un reset ancora più grave. La svalutazione della moneta è da sempre uno dei più formidabili strumenti che quanti governano l’economia, e con essa le nazioni, hanno a disposizione per ridisegnare gli assetti sociali. È servita ad azzerare il debito pubblico, come nell’ultimo dopoguerra, a ridisegnare le gerarchie sociali (avvenne negli anni Settanta col punto unico di contingenza), a penalizzare i ceti a reddito fisso e a beffare i risparmiatori a beneficio degli speculatori.
Sostenere che l’inflazione, di cui solo oggi la signora Lagarde sembra accorgersi seriamente, sia pilotata dall’alto sarebbe mero complottismo. Ma un dato di fatto è innegabile: sino a pochi mesi fa il caro vita era stato sottovalutato, non dall’uomo della strada, che deve fare a fine mese i conti della spesa, ma dai più alti esponenti del mondo politico e soprattutto da economisti iperpagati che per primi avrebbero dovuto lanciare l’allarme. Se Madame Lagarde, invece che la presidente della Bce fosse stata una ménagère che ogni giorno si reca al mercato, forse non saremmo arrivati a questo punto.
Incompetenza, applicazione di formule avulse dalla realtà (quante volte ho sentito dire che “un po’ d’inflazione ci vorrebbe, per stimolare i consumi e far crescere il Pil”) o cinica malafede, dettata dall’aspirazione a mettere le mani sui nostri beni, e di conseguenza sulla nostra libertà, polverizzando il valore del denaro?
Personalmente, non mi pronuncio. Mi limito a constatare che a quanti qualche anno fa prevedevano una limitazione delle libertà individuali, una carestia accompagnata da un impoverimento generale, lo spirare di tragici venti di guerra, gli eventi hanno dato, purtroppo, ragione. Speriamo non gliela diano un’altra volta.
Bell’articolo. Complottismo non direi. C’è tutta una ‘cultura profetica’, apocalittica ed alla Nostradamus (o alla Spengler, Huntington
ecc.) che coincidono a larghi tratti con questa attuale contingenza storico-politica. Di crisi di civiltà e di cambio geopolitico di protagonisti, estesi e micidiali conflitti inclusi. D’altro lato abbiamo sempre saputo che se si hanno le armi (e la necessità o la libido dominantis) prima o poi purtroppo si usano. Terzo, che la Cina era un gigante destinato non solo ad annettersi Taiwan, ma a dominare gran parte del mondo, in parallelo con la decadenza prima europea, dal 1945, poi statunitense dal dopo-Reagan ad oggi. Quarto, la crisi crescente dovuta alla ‘bomba demografica’ ed all’inquinamento del pianeta. Naturalmente più difficile è misurarne i tempi. Da decenni vediamo filmacci americani su un futuro apocalittico devastato da epidemie e guerre rovinose, una Terra in rovina in mano agli zoombies…
‘l’imprenditore che assume al nero i clandestini per risparmiare sul costo del lavoro o gli italiani che rifiutano certi lavori manuali perché è più conveniente farsi mantenere dallo Stato col reddito di cittadinanza in attesa magari del posto pubblico …’. Direi che vale solo la seconda ipotesi. Tranne qualche landa del nostro magnifico Sud, da sempre devoto della religione dell’illegalità, gli italiani disposti a lavorare (non a dirigere) non ci sono più…
Sta scritto nelle stelle che l’Italia debba dipendere energeticamente dalla Russia? Non potrebbe essere molto più colpevole chi ha lasciato persistere questa dipendenza (come qualsiasi altra dipendenza da qualsiasi altro Paese)?
Per non parlare del fatto che il prezzo della benzina stava già salendo molto prima che cominciasse la guerra (posso chiamarla così o Putin si offende?).