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Minori allo sbando, che succede nel mondo giovanile?

Una ricostruzione che passa attraverso  il recupero del  valore della famiglia, il senso di un’identità sociale condivisa

by Mario Bozzi Sentieri
16 Marzo 2022
in Cronache
1

Non c’è PNRR che tenga per affrontare il degrado esistenziale di ampi settori del mondo giovanile. Il fenomeno è talmente parcellizzato da sbiadirsi nelle cronache locali, ma ciò  che emerge è una vera e propria emergenza dai tratti complessi. Qualche episodio tra i tanti, registrati un po’ in tutta Italia: adolescenti che minacciano e derubano loro coetanei; un’ ambulanza intervenuta in soccorso di una quindicenne in coma etilico bersagliata da bottiglie e da altri oggetti, scagliati dagli amici della ragazza; una baby gang che tenta di fare fuoco ad un anziano con problemi psichici; scontro a distanza tra i ragazzini stranieri e giovani abitanti d’origine italiana; tentativi di violenza nei confronti di una ragazzina da parte di un  “branco” di adolescenti; furti ad opera di bande giovanili.

Nella maggioranza dei casi – secondo quanto denunciano le forze di polizia – si tratta di fenomeni incontrollabili, con difformi capacità aggregative e un’appartenenza sociale “stratificata”, che va dalle fasce economicamente più svantaggiate a minori appartenenti al ceto medio e medio-alto.

Ad  accomunare le diverse realtà è però   l’idea del  “fare branco” quale fattore deresponsabilizzante, nella misura in cui si agisce tutti insieme e non in prima persona, scaricando sul gruppo le rispettive azioni. A questo si aggiunga l’effetto “deviante” delle sostanze stupefacenti o dell’alcool  in grado di “falsare” la realtà, di esaltare le pulsioni individuali e collettive, annebbiando  i freni inibitori.  E poi c’è la “modernità” della comunicazione, con la messa in rete delle azioni compiute e l’esaltazione dell’impresa, autentico collante identitario per i diversi gruppi.

Di fronte a questi fenomeni, in crescita esponenziale, prevenire è necessario. Anche reprimere. Ma ancora di più è urgente andare alle radici del problema, che nasce da quello che è stato definito un tipo complesso  di “analfabetismo culturale”, fatto di diritti e di doveri non rispettati, di mancanza di responsabilità e di autocontrollo, soprattutto di esempi diretti e positivi non avuti. A cominciare dalla famiglia e dall’indebolirsi del suo  ruolo, depotenziato nelle sue ragioni di fondo e nei suoi stessi componenti, sotto i colpi di un relativismo diffuso e dalla conseguente perdita delle sue ragioni fondanti. Da questo punto di vista l’evocato ”analfabetismo culturale” non riguarda solo i minori.

In una società senza madri e senza padri, dove i rispettivi ruoli si perdono e si sbiadiscono, a pagarne le prime conseguenze sono i figli, privi di riferimenti certi, di indirizzi, di “valori protettivi”. Perciò il rischio è il “liberi tutti”, con le conseguenze che vediamo nelle strade e  nella  povertà di modelli educativi-familiari a cui le istituzioni possono rispondere solo parzialmente.

Quando, in questo ambito, si parla di politiche di inclusione sociale, attraverso la scuola e l’associazionismo, si percepisce infatti solo una parte del problema. Al fondo c’è un relativismo etico sulle cui conseguenze in pochi sembrano essere coscienti. Soprattutto il cittadino non è allertato.  Non ci sono campagne informative che lo mettano sull’avviso. Al contrario, egli è quotidianamente sottoposto ad una costante opera di indottrinamento inconsapevole, in grado di rendere dolce il processo di depotenziamento collettivo, di resa, di assuefazione. E tutto questo senza che le conseguenze concrete di tale deriva siano ben chiare. Senza che i costi sociali e personali di certe scelte siano chiaramente indicati.

Poi certamente ci sono i “contesti urbani”, laddove esistono aree del Paese, in cui è il degrado a dettare legge, un degrado sociale, economico, perfino architettonico, del quale a pagarne le conseguenze sono soprattutto i giovani ed i giovanissimi, abbandonati a se stessi, spesso senza saldi riferimenti familiari, senza occasioni di socialità culturali e sportive. E dunque in balia di “aggregazioni” malsane quali sono le baby gang e di una “cultura diffusa” che premia i “trasgressivi”, spettacolarizza l’esistenza, azzera il limite, sopraffà i soggetti fragili.

Al fondo c’è una domanda inespressa di ricostruzione sociale con cui, prima o poi, bisognerà confrontarsi. Una ricostruzione che passa attraverso  il recupero del  valore della famiglia, il senso di un’identità sociale condivisa, il miglioramento della vivibilità urbana e quello che Konrad Lorenz, già cinquant’anni fa (in “Gli otto peccati capitali della nostra civiltà”) individuava come “l’accumularsi della tradizione” quale base di ogni sviluppo culturale e della formazione di valori insostituibili e degni di rispetto. Da qui, anche da qui, occorre partire per rispondere al “disagio giovanile”, cercando di recuperare il senso di una cultura che altrimenti – per dirla sempre con Lorenz – “può estinguersi come la fiamma di una candela”. Con quali risultati è già oggi bene evidente.

 

 

 

Mario Bozzi Sentieri

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Mario Bozzi Sentieri su Barbadillo.it

Tags: baby gangmario bozzi sentieriurbanaviolenza

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Comments 1

  1. Iginio says:
    2 mesi ago

    Scusate, ma che c’è da sorprendersi? Da vent’anni almeno nelle scuole medie è pieno di ragazzini strafottenti e maleducati che stanno lì “per pagare lo stipendio al professore, che altrimenti non saprebbe che fare”. I loro genitori li spalleggiano e giustificano a ogni pie’ sospinto, magari per far vedere che stanno dalla loro parte avendoli delusi in seguito a una separazione o a un divorzio. Ma questi stessi genitori sono gli stessi che negli anni Ottanta e Novanta, da ragazzi, pensavano solo a “divertirsi”: chi era bambino e ragazzo a quell’epoca veniva criticato, sia dai coetanei sia dagli adulti (insegnanti compresi), se era “troppo serio”, se “stai sempre a studiare”, se “non stai con gli altri a divertirti”, se non sapeva difendersi a cazzotti e parolacce. I risultati sono questi. Chi li aveva previsti veniva sbeffeggiato come “co*****e” e “sfi***o”.
    Non a caso anche i politicanti attuali, della generazione nata negli anni Settanta, sono per lo più mediocrità e pasticcioni, per non dire altro.
    Sorvolo poi su quei giornalistoni di pseudodestra che, davanti allo spettacolo del popolo ucraino che combatte disperatamente anche in condizioni di inferiorità, sanno solo sentenziare: “Ma che state a fare, lasciate perdere”. Chi è più forte ha sempre ragione, no? Continuiamo così, dai.

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