Se Massimo Fini ci racconta fascismo e antifascismo visti da Pasolini
Nella raccolta di articoli "Il giornalismo fatto a pezzi" una importante riproposizione dell'intervista all'intellettuale sepolto a Casarza. Ma PPP sul fascismo commetteva un errore semplificando...
Amicus Plato, sed magis amica veritas sentenziavano gli antichi. Nel senso che Platone va benissimo, ci è amico, anche nel verso del magistero spirituale, ma la verità lo è di più. Viene prima e a prescindere. Figuriamoci poi se togliamo Platone e ci infiliamo un altro con la P, anzi un altro che di P ne ha tre: Pier Paolo Pasolini. Capita di sfogliare l’ultima raccolta di scritti di Massimo Fini, Il giornalismo fatto in pezzi (Marsilio 2021), di cui consigliamo caldamente la lettura ai colleghi giornalisti spesso dimentichi che la notiziola del giorno passa ma la qualità della scrittura e la profondità dello sguardo restano. Ecco, peschiamo dal mazzo l’intervista a Pasolini per l’Europeo del 1974. L’argomento, ahinoi attualissimo, è l’antifascismo. Fini molto saggiamente toglie di mezzo le sue domande e ci restituisce il ragionamento di PPP nella sua interezza, quasi fosse un breve flusso di coscienza.
L’antifascismo di comodo secondo PPP
Pasolini, in buona sintesi, dice due cose. La prima è che quello odierno è un antifascismo di comodo, sostanzialmente vigliacco, che prende a bersaglio un nemico morto e sepolto per autostamparsi “patenti reali” con cui guidare la Ferrari del dibattito pubblico, ovviamente in senso conformista. Era vero allora a trent’anni dalla fine della guerra – l’“odierno” di Pasolini è, come detto, il 1974 – ed è tanto più vero oggi in un momento in cui l’unica caccia aperta 365 giorni l’anno rimane ancora quella al fascista immaginario.
La “sbandata” pasoliniana
Il problema, però, è che il Nostro va avanti nel ragionamento con un secondo affondo:
“Io credo profondamente che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamente chiamato la società del consumi” con la postilla che il regime provvedeva a una riverniciatura superficiale delle persone, a un vestirle in senso “pagliaccesco” a favor di marcetta militare, mentre il consumismo penetra profondamente cuori e cervelli, sporca le anime, provoca rivolgimenti profondi e antropologici. L’equivalenza, come infatti ammette egli stesso, regge solo se “la parola fascismo significa la prepotenza del potere”.
E qui casca l’asino, seppur dai nobili zoccoli. Perché il fascismo non è affatto la prepotenza del potere o, quantomeno, non lo è più di altre forme autoritarie e totalitarie dall’alba dei tempi ad oggi. Quella di Pasolini è sostanzialmente una furbata: astrarre il fascismo dalla Storia, spogliarlo dei suoi contenuti, dei suoi principi e dei suoi uomini, ridurlo a una specie di etichetta comportamentale da poter appiccicare ovunque. Anche, appunto, alla società dei consumi che con il fascismo non c’entra nulla e che anzi è una robaccia wasp che ci piove in testa da Paesi sinceramente democratici. Ai quali, sia detto per inciso, può essere a buon diritto rivolta l’accusa pasoliniana di essere incarnazione della “più subdola e spietata forma di intolleranza”, quella appunto della società dei consumi e della “permissività fatta cadere dall’alto”. Tutto vero ma, ancora una volta, il fascismo ci sta come un cavolo a merenda. Tirandola ancora po’, basta accendere la televisione per capire che la disonestà pasoliniana è stata più prolifica di un coniglio. Per l’informazione mainstream sono fascisti i no green pass che manifestano in piazza. Per questi ultimi i fascisti sono Draghi e il ministro Speranza con le loro disposizioni restrittive. Landini ha definito fascisti coloro che hanno assaltato la sede della Cgil a Roma. Il giorno dopo Cobas, anarchici e comunisti sono corsi da Landini per gridargli che il fascista, in realtà, è lui. Un giorno sì e l’altro pure sono fascisti i talebani, quelli dell’Isis, gli anti-europeisti, i coreani del Nord, i fanatici vegani, gli ultras animalisti, i tassisti che protestano. Il mondo è pieno di fascisti ma, curiosamente, il fascismo non c’è.
Il fascismo come catagoria per i detestabili
E allora varrebbe la pena di recuperare la vecchia lezione di Henri Lemaitre che diffidava dall’appiccicare l’etichetta di fascista a cose o persone che si detestano. Per non cadere nel ridicolo, innanzitutto, ma anche per tenere bene a mente che il fascismo è un fenomeno complesso, con una data di nascita e una di morte, e vent’anni sul groppone che ogni tanto varrebbe la pena studiare e non chiudere in due parole quasi sempre campate in aria. Lo sapeva bene Pasolini che, infatti, sul declinare dell’intervista, chiedeva rispetto per la cultura di destra e giudizi “storici” sul fascismo. Eppure proprio lui non ha resistito a bollare con il termine scarlatto il nascente consumismo d’Occidente che senza dubbio è un orrore, ma non un orrore fascista. Pasolini ha sbagliato. Ma più di lui sbagliano quanti si eccitano con la prima parte del ragionamento (la bastonata agli antifascisti di comodo), da ritorcere contro i compagni, fingendo di non aver colto l’assurdità della seconda. Noi non ci stiamo. Come dire: amicus Pasolo, sed magis amica veritas.
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Però PPP andava a cercare femminielli con un’Alfa Romeo spyder, non con una topolino… Consumista pure lui….
Chissà perchè non poteva dire che usava l’Alfa per andare a fare la spesa o una gita al mare , che bisogno c’è di inzigare sulle abitudini sessuali ?
Perchè quando venne ucciso quella è l’auto che usava quella notte, un’Alfa Romeo 2000 spyder , raccontarono i media…
Credo che a far la spesa mandasse una cameriera. Tutti con l’impegno a sinistra ed il portafoglio a destra, semplificava il vecchio De Laurentiis…
Ha glissato : poteva anche essere a piedi ed avrebbe comunque rimarcato le sue abitudini. Era quello il senso della mia osservazione.