Perché un non cinefilo, come il sottoscritto, ha trovato interesse nel leggere un libro di “conversazioni sul cinema” e si sente di consigliarlo ad altri? Il motivo è che Marco Tullio Giordana, autore, con la collaborazione del sacerdote e critico cinematografico Andrea Bigalli, di Immaginare la realtà (Edizioni Gruppo Abele) è un regista piuttosto anomalo nel panorama italiano, la cui opera risulta stimolante per chi ha partecipato attivamente, o anche solo come osservatore attento, alla vita politica italiana a partire dagli anni Settanta del Novecento in poi. La libertà intellettuale con cui affronta alcune delle vicende più significative di un lungo periodo della nostra storia recente è il tratto saliente del suo approccio, tanto nei film come in questo libro.
Tale libertà si nota anche quando il suo sguardo risente abbastanza chiaramente della sua originaria formazione politica, che è quella di un uomo partecipe della vicenda sessantottina e poi di quella dei movimenti di estrema sinistra che la seguirono, pur senza avere mai avuto, almeno così pare, un’adesione particolarmente militante e un’ottica settaria. Di quell’impostazione ha in buona parte abbandonato schemi e schematismi, pur mantenendone alcuni punti di partenza, attirandosi così le critiche dei più zelanti custodi della memoria “rivoluzionaria”. Una visione di parte la sua -com’è giusto che sia, perché la neutralità culturale ed emotiva non può produrre nulla- che non gli impedisce di approcciare con indipendenza di pensiero i temi trattati.
Confesserò anche un motivo personale che mi ha attirato verso questo libro : Giordana era amico del mio carissimo amico Paolo Isotta che lo giudicava un regista grande e originale. Essendomi cara ogni cosa che mi riconduce a Paolo non potevo esimermi e, in ogni caso, i lettori di questa testata sanno bene in quale alta considerazione occorre tenere i giudizi e i consigli del grande maestro napoletano.
Il cinema di Giordana è, in buona parte, un cinema storico, anche se di una storia recente che è però ormai lontana dal clima attuale. Ciò che gli interessa maggiormente è mescolare i grandi fatti politici e sociali con
“la storia minuscola, quella dei personaggi che agiscono o, soprattutto, ne sono agiti, quelli che volenti o nolenti vi inciampano o ne sono le vittime”.
E’ il caso di Maledetti vi amerò su quello che venne definito il fenomeno del riflusso dall’impegno politico dei Settanta, di la Caduta degli angeli ribelli, in cui affronta lateralmente il periodo del terrorismo, di La meglio gioventù che è un affresco di quarant’anni di storia nazionale, rivissuta attraverso il percorso esistenziale di due fratelli. In I cento passi il fenomeno mafioso viene raccontato da Giordana attraverso la storia di una delle vittime, quel Peppino Impastato che nel libro viene definito eroe imitabile perché, in qualche misura, era un interprete, con i suoi ideali e i suoi problemi, di quella generazione “che come me amava i Beatles e i Rolling Stones”.
Giordana non ama che i suoi vengano definiti film politici perché
“non lo sono per niente, meno che mai nel senso militante o predicatorio del tempo. Sottoscrivo in pieno quello che pensava Jacob Burckhardt sul tema: politica e cultura sono potenze nemiche”.
Sta di fatto che poche delle vicende che maggiormente hanno infiammato la discussione pubblica nei decenni scorsi sono state tralasciate dal regista: dall’immigrazione clandestina alla violenza sulle donne, alla tragica fine di Pierpaolo Pasolini, mentre il suo grande desiderio rimane quello di fare un film sul caso Moro, da lui definito il requiem della democrazia.
Per quanta riguarda Romanzo di una strage, devo però dire che non mi convince affatto la tesi della doppia bomba per la strage di piazza Fontana già nell’ipotesi che una non letale l’avessero messa gli anarchici mentre quella micidiale sarebbe stata posata dai fascisti. Nel film la tesi è ancora più sconcertante perché entrambe le bombe, abbastanza inspiegabilmente, sarebbero state piazzate dai neri. In questo caso nel regista è forse riemerso un riflesso condizionato della sua origine politica, secondo il quale i “buoni” anarchici mai avrebbe potuto piazzare una bomba, come se la storia novecentesca di quel movimento non avesse dato sufficienti prove del contrario… A Giordana, comunque, va dato atto di una meticoloso impegno di ricostruzione storica per i suoi film, come racconta nel libro.
Essendo nato nel 1950, il regista ha vissuto la sua giovinezza negli anni Settanta in cui si era affermato
“l’equivoco che la politica fosse il sole attorno al quale tutti i pianeti debbono ruotare, imponendo una supremazia che ha finito per esserle fatale”.
Ma quel decennio non va demonizzato perché è stato anche un periodo di creatività, libertà e sperimentazione:
“In totale controtendenza, considero gli anni Settanta l’età dell’oro del Novecento, a onta della tremenda violenza che fu scatenata forse proprio per reprimerla”.
Un giudizio che trova d’accordo chi, come chi scrive, pur di otto anni più giovane di Giordana, visse in prima persona, anche se su sponde assai lontane da quelle del regista, la stagione dell’impegno politico e lo considera un periodo assai formativo in cui ha maturato una visione delle cose che, pur revisionata anche profondamente e depurata delle ingenuità dell’età, considera ancora importante. E poi basterebbe pensare alla grande esplosione del rock, perno della cultura giovanile di quel periodo, e paragonarla alla spazzatura musicale di cui molti giovani si riempiono oggi le orecchie.
I cinefili apprezzeranno, in Immaginare la realtà, la descrizione e le considerazioni sulle tecniche cinematografiche usate dal regista, dai criteri per la scelta degli attori alla differenza di resa tra i film in pellicola e quelli in digitale, alle diverse caratteristiche della recitazione tra teatro e cinema. Dunque, un libro interessante per diversi aspetti, scritto da un autore che non soffre dei narcisismi del suo ambiente e aspira, in tutta sincerità, a un’espressione artistica libera da stereotipi e conformismi.
‘Ma quel decennio non va demonizzato perché è stato anche un periodo di creatività, libertà e sperimentazione: “In totale controtendenza, considero gli anni Settanta l’età dell’oro del Novecento, a onta della tremenda violenza che fu scatenata forse proprio per reprimerla”. Per nulla d’accordo. Fu, vista da Torino rossa, una decade infame, dove non c’era alcuna liberta di pensiero, tanto meno d’esprssione, nell’Università, nella scuola, nell’informazione. Un post ’68 greve, plumbeo, faziosissimo, farcito di menzogna, violenza gratuita, di rigurgiti stalinisti, maoisti, terroristi. Dovetti fare fagotto, dopo che venne assasinato Carlo Casalegno, nell’impotenza di baroni che non erano comunisti, ma subivano per quieto vivere. Il mio odio verso la sinistra è cresciuto in silenzio, giorno dopo giorno, dentro di me, da allora…
Non ci fu repressione verso la sinistra estrema se non dopo l’assassinio di Moro, 1978.
E per fortuna l’Italia subì gli influssi benefici, negli anni ’80, dei tre giganti Reagan-Thatcher-Kohl. I distruttori del comunismo stalinista e di un occidente imbelle, alla Carter.