Nel 1966 l’ondata demografica dei nati nel dopoguerra, ormai adolescenti o avviati alla maggiore età (allora di 21 anni) rendeva l’Italia un Paese ancor più giovane di quanto fosse stata negli anni ’40. Il boom economico era finito, lasciando a certi poveri la velleità di diventare meno poveri, coi relativi fermenti sociali. La Dc, allineata a Paolo VI ben più di quanto lo fosse stata a Pio XII e perfino a Giovanni XXIII, governava col Psi.
Il presidente della Repubblica del momento era atipico. Giuseppe Saragat infatti era legato all’ex regina. Non solo. Per premere sulla Dc, egli si serviva del Psdi, partitino socialdemocratico, che proponeva come modello sociale ideale per l’Italia del delitto d’onore la Svezia! Nella Dc molti – specie Aldo Moro, presente al drammatico evento – ricordavano come Saragat si fosse aperto la via al Quirinale mettendo le mani addosso al predecessore nel 1964.
Come soft power della nazione (allora producevamo tanti film e qualcuno anche bello) il cinema italiano doveva giocare su più tavoli. Uno era spinosissimo: la decolonizzazione. In apparenza da essa l’Italia aveva solo da guadagnare. Erano infatti le potenze europee rivali, ancora largamente coloniali, a indebolirsi. Ma con questi rivali eravamo, per necessità, alleati contro l’Urss.
In quel 1966 uscirono così due film belli e simbolici: l’11 febbraio era nella sale Africa addio di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi; l’8 settembre toccava a La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo. Il primo era un documentario, con solo immagini inedite raccolte nel 1964 e 1965; il secondo si presentava come un film a soggetto sul tramonto del potere francese tra 1960 e 1962 nell’Africa araba.
In sostanza Africa addio rispecchiava gli interessi della Nato: ritirandosi i britannici e i belgi prima che gli americani arrivassero a rimpiazzarli, erano infatti i russi e i cinesi a profilarsi come padroni; La battaglia di Algeri rispecchiava invece solo l’interesse nazionale, perché, ritirandosi i francesi, erano stati (anche) gli italiani dalla fine del 1962 ad arrivare sul petrolio algerino.
La battaglia di Algeri era prodotto – obliquamente – dall’Eni di Eugenio Cefis, rispettando un impegno dell’Eni di Enrico Mattei, assassinato proprio alla fine del 1962. Africa addio era invece apertamente della Rizzoli, il maggior produttore italiano, che aveva ovvi riguardi verso i partiti. E ai partiti laici, oltre a una parte dirigente dell’estrema destra missina e monarchica, il declino britannico in Africa suonava infausto anche per un eventuale neocolonialismo italiano. Che avrebbe trovato nel 1969 in Aldo Moro il vero artefice, favorendo in Libia l’ascesa al potere di Moammar Gheddafi.
Ma torniamo al febbraio 1966. C’era la geopolitica mondiale dietro la violentissima campagna che in Italia univa la sinistra Dc con il Tg1 e il settimanale Tv7, il Psi col Tg2 e il Pci contro Africa addio, quindi contro Gualtiero Jacopetti, giornalista, già regista di Mondo cane, Mondo cane n. 2 e La donna nel mondo. Naturalmente le vere cause restavano taciute: si blaterava, come oggi del resto, di diritti umani, di razzismo, di esecuzioni capitali rinviate per avere migliori condizioni di luce per le riprese (le pellicole e le macchine da presa di allora non erano quelle di oggi). Il bailamme contribuì al successo di Africa addio nel mondo intero, salvo in Francia, dove La battaglia di Algeri sarebbe stata semplicemente proibita, a conferma che intollerabile non erano le tesi opposte dei due film, ma che essi rispecchiassero interessi non francesi.
Ricordare oggi il decimo anniversario della morte di Gualtiero Jacopetti è quindi qualcosa che va oltre il ricordare la sua persona. E’ un modo per rammentare che il cinema è un’arma forte tuttora, se non la più forte. E proprio nel giorno del decennale, il 17 agosto, è morto uno dei collaboratori di Jacopetti, Giampaolo Lomi, che ne ha conservato fino alla fine l’amicizia.
Bel ricordo. Resta il fatto che la decolonizzazione ha finito per indebolirci tutti, tatticismi a parte. Di Jacopetti ricordo anche l’impegno politico, per altro sfortunato. Aderì alla Costituente di Destra, che avrebbe dovuto rappresentare un allargamento dell’area politica del Movimento Sociale, anche oltre la Destra Nazionale, ma fu un’esperienza sfortunata sotto il profilo elettorale, vista la contingenza politica avversa ; dopo il 1976 partecipò all’effimera e infelice esperienza di Democrazia Nazionale, che espresse concetti in parte giusti, ma al momento sbagliato. Dopo riprese a fare il giornalista e il cineasta, come al solito bene. Africa addio resterà, come del resto La battaglia d’Algeri del comunista in quel caso obiettivo Gillo Pontecorvo, fratello del fisico nucleare che scappò in Urss…
Solo su un punto mi permetto di dissentire: Saragat aveva i suoi limiti, ma negli ultimi anni del suo settennato rivelò un’onestà non comune e dinanzi al dilagare della contestazione sessantottarda e della cosiddetta demistificazione della grande guerra non nascose le sue preoccupazioni. Tra l’altro non è vero che bevesse più di un uomo di corporatura robusta e della sua generazione. Quella fama gli derivò dal fatto che ai ricevimenti al Quirinale volle, invece del solito Asti Gancia, champagne francese, cui si era abituato nel suo esilio in Francia. E la cosa fece scalpore e suscitò le solite chiacchiere di corte, o di cortile.Anche sulla grazia a Moranino, che concesse a detta di molti per ringraziare il Pci per il voto con cui era stato eletto alla presidenza della Repubblica, bisognerebbe vedere la cosa sotto tutti i punti di vista. SJaragat graziò l’esponente del Pci macchiatosi del sangue di alcuni partigiani non comunisti e per questo condannato all’ergastolo, ma amnistiò anche alcuni esponenti “repubblichini” ancora in carcere. Difatti il famoso manifesto “Italiani guardatevi alle spalle, il boia Moranino è a piede libero”, lo fece il Partito liberale, non il Msi.
Moranino fu un’autentica bestia, non meritevole di alcuna grazia.
Giacchè è stato tirato in ballo Moranino, vorrei ricordare che per i suoi crinni orrendi non scontò nessuna pena, ma se ne andò in un comodo ‘esilio’ nella Cocoslovacchia comunista, dove fece in tempo ad accudire le covate dei primi BR, fino al rientro con rapida elezione a Senatore PCI, non solo graziato, totalmente amnistiato! Povero MSI, già allora infarcito di cripto comunisti, che lasciava ai dignitosi liberali di Malagodi il ricordo delle infamie rosse…
crimini orrendi, pardon…
Per la verità amava molto il Barbaresco.