Nel mondo del calcio dominato da colossi finanziari che dettano ferocemente le proprie linee condizionando gli ingaggi di giocatori milionari e da multinazionali che controllano le sponsorizzazioni dei principali eventi, c’è un’isola felice che afferma in maniera vincente il proprio modello “autarchico”. Quest’oasi anomala è l’Athletic Club, noto in Italia come Atletic Bilbao, la squadra dell’Euskal Herria, anche nota con il nome di Euskadi, ovvero dei paesi baschi. Occorre anzitutto chiarire che la regione basca si trova all’interno di quella che è ufficialmente riconosciuta come Spagna, ma storicamente e culturalmente si è sempre considerata una patria a sé, non solamente diversa, ma in conflitto perenne con la nazione di cui, almeno politicamente, fa parte.
Proviamo a tralasciare (ardua impresa) il problema storico, politico e sociale della questione basca, che ha sicuramente contribuito a rafforzare un sentimento di appartenenza nel corso degli anni e che nulla ha a che fare con il nazionalismo più becero ed esasperato, frutto probabilmente derivato dalla discendenza che viene attribuita loro a popolazioni che risalgono al IX millennio a.C. Nel corso dei secoli il popolo basco non è stato mai assorbito del tutto, mantenendo orgogliosamente i propri tratti non solo culturali, come ad esempio la caratteristica lingua parlata nelle zone interessate, ma anche il patrimonio fisiologico: è stato riscontrato ad esempio che nella popolazione basca il gruppo sanguigno Rh negativo sia molto più comune rispetto a qualsiasi altra popolazione nel mondo. Alla faccia di ogni meltin’ pot, di ogni internazionalismo e del multiculturalismo, questo orgoglio identitario basco trova la sua attuale reale applicazione, nonché massima espressione, nella squadra di calcio, l’Athletic Club, appunto.
Anche i meno appassionati sanno che proprio un anno fa la squadra di Bilbao, allenata dall’argentino “loco” Bielsa, ha sfiorato il successo in Europa League perdendo la finale contro l’Atletico Madrid. La scelta di avvalersi esclusivamente di atleti baschi o di origine basca è proprio la caratteristica dell’Athletic che, come nel caso di Bielsa, ammette una deroga solo per quanto riguarda gli allenatori. I risultati, anche storicamente, fanno dell’Athletic Club uno dei club più importanti di Spagna, alla pari dei milionari e multinazionali Barcellona o Real Madrid, che non sono mai retrocesse nella serie B spagnola, attraverso una gestione societaria che ha anticipato i tempi del cosiddetto azionariato popolare, unica alternativa efficace al calcio milionario di oggi.
L’orgoglio basco è anche ben visibile sulle maglie biancorosse che, fino al 2008, sono rimaste volutamente senza sponsor commerciale, fino a quando è arrivato il marchio Petronor, industria di raffinazione petrolifera, naturalmente basca. Anche l’abbigliamento tecnico, per un periodo, è stato autoprodotto attraverso la creazione del marchio sportivo “Marca Athletic”, ma poi si passò all’inglese Umbro.
Esempio di attaccamento alle proprie radici e alla propria terra, oltreché di un’ottima gestione societaria, l’Athletic Club ha indicato negli ultimi anni una valida alternativa al calcio milionario che troppo spesso punta su giovanissimi atleti, provenienti il più delle volte da paesi poverissimi, per lanciarli nel panorama internazionale, in cerca delle cosiddette plusvalenze economiche. Oltre a dare vita a una vera e propria tratta di nuovi schiavi, in questo modo si sono completamente indeboliti i settori giovanili di nazioni storicamente valide, come la nostra. Con il beneplacito di baracconi sportivi e finanziari come Uefa e Fifa, che da questo mercato traggono evidentemente i propri guadagni.
@barbadilloit