La crisi tra Russia e Turchia dopo il caccia Sukhoi abbattuto martedì non accenna a placarsi. Il fatto più inquietante, forse più ancora rispetto all’abbattimento dell’SU24 da parte di Ankara, è stato il “tiro al piccione” che i militanti dei gruppi di etnia turcomanna all’interno del confine siriano hanno effettuato nei confronti dei due piloti, mentre tentavano di salvarsi con il paracadute. Uno dei due, come ormai noto, è purtroppo deceduto in seguito alle ferite e orribilmente esibito dai suoi assassini in alcuni video su youtube.
Il bluff dei ribelli “moderati” antiAssad
A lasciare di sasso è il fatto che siano proprio questi gruppi quelli difesi dagli Stati Uniti come “ribelli moderati anti Assad”, fatto più volte contestato da Mosca. Tale difesa non è di fatto venuta meno neppure dopo gli eventi di martedì, dato che non una parola è stata espressa dalla Casa Bianca o dalla Nato sull’orribile sorte toccata al pilota russo. All’interno dell’estabilishment americano tuttavia pare non mancare la consapevolezza che quella dei “ribelli moderati” è soltanto un’operazione di spin doctoring, peraltro mal riuscita. Non a caso, nella risoluzione contro il terrorismo approvata dalla riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dello scorso 20 novembre, quindi anche dagli Stati Uniti, all’indomani dello shock per i fatti di Parigi, si annoverano tra i gruppi terroristici da combattere senza esitazione da parte degli stati membri in territorio siriano anche il “Fronte Al Nusrah” e “qualsiasi gruppo affilitato ad Al Qaeda”. La risoluzione, con queste semplici parole, include di fatto anche quei gruppi, come ad esempio avvenuto in settembre con la Divisione 30 guidata dal comandante addestrato dagli statunitensi Anas Obaid, che gli americani avevano aiutato a introdursi in confine siriano e che si sono poi uniti alle forze qaediste. Che piaccia o meno a Washington, insomma, i “ribelli moderati” in Siria non esistono. Parole, quelle della risoluzione Onu, che sanciscono anche la scorrettezza di quanto affermato dal presidente francese Hollande quando chiede alla Russia di “concentrarsi solo sull’Isis”. Tale richiesta è quindi da ritenersi in contravvenzione al diritto internazionale. Che a parte dell’Occidente comunque la decisione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non sia piaciuta è stato evidente dalla chirurgica assenza, in sede di votazione, dell’Ambasciatore degli Stati Uniti presso l’Onu Samantha Power, la quale ha preferito delegare il voto favorevole alla vicaria Michele Sison. La Power è infatti nota per le sue posizioni oltranziste in merito alla questione siriana e non solo. Anche rispetto all’Ucraina ha infatti più volte sostenuto gli eventi seguiti al cambio di regime operato dalle agitazioni di piazza Maidan, qualificandosi come uno dei più agguerriti “falchi” statunitensi.
Da notare come, sempre in sede di Consiglio di sicurezza, si sia anche stabilito come gli stati membri debbano “prevenire e reprimere immediatamente il finanziamento” delle organizzazioni terroristiche menzionate. Parole che pesano come macigni. Soprattutto perché il finanziamento a tali organizzazioni non è soltanto quello diretto, ma soprattutto quello indiretto, che avviene tramite l’acquisto di fonti d’energia naturali commercializzate dallo Stato Islamico. In particolare, come riportato di recente anche dal corrispondente della Reuters Suleiman Al Kalhidi, un’approdo sicuro del petrolio dell’Isis è proprio la Turchia, dove i barili di crude oil vengono rivenduti attraverso il mercato nero a tre volte il loro valore di acquisto da parte dei trafficanti. Un vero affare, che pone delle nubi oscure sulla reale motivazione di Ankara nel fermare i jihadisti siriani. Il fatto che la Russia abbia bombardato proprio nei giorni precedenti all’attacco del suo aereo 500 strutture destinate allo stoccaggio del petrolio da parte dell’Isis, fermando così, secondo il Ministro della Difesa russo Shoigu, un traffico di 60mila tonnellate al giorno e provocando un danno di 1,5 milioni di dollari ogni 24 ore alle milizie islamiste, è quindi una coincidenza sospetta.