Essere predestinati, spesso, è una jattura più che una consacrazione. Certo, all’inizio ti senti potente, imbattibile, euforico, sogni un futuro che ti consegnerà alla storia. Ed è qui che arriva la jattura: al minimo intoppo tutto vacilla attorno a te, vedi sfocato, ti senti nervoso perché senti, attorno a te, le vocine di chi è già pronto a smontarti: l’avevo detto io. E se non sei Frodo, se non c’hai Gandalf o Conte al tuo fianco, l’Anello del Potere ti manda ai pazzi, lasciandoti a crogiolare nel limbo di Gollum-Smeagol: chi sei in realtà? Quante persone vivono nel tuo piedino destro? C’è un campione vero, pronto a imporsi su tutti e tutto o c’è invece un brocco che ha avuto buona stampa e che alla prima occasione s’è ammosciato? La verità, di solito, è nel mezzo. Ma quando c’entra l’Anello della Predestinazione tutto si complica mostruosamente e, alla fine, si semplifica in maniera altrettanto eccessivamente mostruosa.
Sebastian Giovinco, fisico da Hobbit e visino pulito da bimbo innamorato della palla, ha deciso che era il caso di smettere di stroncarsi l’anima nel dilemma che, da sempre, ha afflitto la sua carriera da eterna promessa. No, non è lui l’erede di Alex Del Piero. Con buona pace di chi, nonostante Pinturicchio stesse ancora giocando con ottimi risultati, avrebbe voluto già trovare in lui chi ne avrebbe potuto berne il sangue raccogliendone il testimone calcistico e simbolico per la Juventus. Ne ha seguite le orme, però. Seppur prematuramente, ha scelto la via dell’esilio volontario tra i missionari d’oro del Pallone. Se ne va a Toronto, Giovinco. In Canadà. Esporterà soccer in cambio di dieci milioni di dollari da pagarsi in cinque anni. Una bella pensione, anzi una superba baby-pensione per il funambolo zoppo: dopo anni da precario nella Juventus, ha finalmente trovato il posto fisso, seppur dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, e – provategli un po’ a dargli torto – se ne va negli Asfodeli del pallone a soli ventotto anni.
[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=H31V2o1Z6-Y[/youtube]
Hanno detto che, questo, non è tempo per lui. Piccolino, sgusciante e tentato da dribbling e colpi di aristocratica classe pallonara che va ad infrangersi contro i corazzieri, i fabbri e i tupamaros di cui sono infarcite, da sempre però, le difese italiane. Eppure a Parma aveva fatto sfracelli. Hanno detto, perciò, che è stata la pressione che l’ha schiacciato trasformandolo in un nano (senso metaforico e figurato) della pedata. E quando sono arrivati i fischi dello Juventus Stadium – irritato dall’inconsistenza delle sue giocate – non è bastato l’abbraccio dell’allora Capo-cannibale Antonio Conte. Un gesto da gigante, quello di Conte, che difese la delicatezza dell’aspirante farfalla, anzi della Formica Atomica, dalla rabbia dei suoi stessi sostenitori. Ma come fare a non comprenderli, questi tifosi: per anni hanno detto loro che il dopo Del Piero non sarebbe stato un problema grazie a Giovinco. E giusto per non fargli mancare niente e costruire un personaggio di indubbia juventinità gli hanno affibbiato quel soprannome, la Formica Atomica, che fu di Rui Barros a fine anni ’80. Il calcio, però, non è scienza: hai voglia a costruire, pianificare e progettare campioni. Il pallone è rotondo, grazie agli Dei.
[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=G3tv186pApg[/youtube]
La generazione di Giovinco, per dirla con Gaber, ha perso. Troppe promesse, troppo pompate (e di questo non hanno colpa loro ma altri che, mai e poi mai, arrivano a un salutare mea culpa), troppe attese per poca sostanza, rispetto a quella pretesa (!). Un dramma fin troppo comune, purtroppo. Un ragazzino gioca a pallone, lo fa bene e, in un calcio povero e sempre alla ricerca di nuovi fenomeni da gettare in pasto al mercato del merchandising o alla legge tremenda dei clic di internet, diventa subito l’erede di qualche intoccabile leggenda del passato. Normale, poi, che al minimo intoppo il giocattolo si rompa. Come per l’Anello del Potere, occorre avere tanta forza d’animo per portare su di sé l’attesa di tutti senza subire (troppi) danni. Sebastian, evidentemente, s’era trasformato in un Gollum del rettangolo verde. Metamorfosi, del resto, già subita pure da tale Mario Balotelli prigioniero di un talento tanto particolare da far dubitare, talora, addirittura che ci sia. E invece di provare e riprovare, di continuare a macerarsi l’animo, ha deciso – come Bilbo Baggings – di sparire.