Gigi Radice, tecnico dell’ultimo scudetto del Torino, ha compiuto 80 anni. Gravemente ammalato oggi, ha guidato il Toro dal 1975 all’80 e poi dall’84 all’89, per un totale di 375 partite tra campionato e coppe. Nel 1975/’76 il trionfo: il settimo ed ultimo tricolore vinto dai granata. Radice ha allenato anche Fiorentina, Milan, Cagliari, Inter, Roma, Genoa e Bologna. Mentre da calciatore ha giocato con Milan, Triestina e Padova; si ritirò a 30 anni per un infortunio al ginocchio.
Il Toro di Radice vinse lo scudetto con 2 punti di vantaggio sulla Juventus, un’impresa che dopo Superga non era riuscita né a Rocco né a Giagnoni, e nemmeno a Fabbri. Era la squadra dei “Gemelli del gol” e del “Poeta”, moderna che si ispirava con metodo e chiarezza alla scuola olandese. Il modello era l’Ajax, il calcio totale.
“Nuova luce e visione in Europa”, disse più volte lo stesso Radice, l’uomo che costruì quel Toro. “I primi a fare pressing. Molto movimento senza palla, il dai e vai in velocità”. Quel calcio affascinava Radice, aveva anima e fierezza. E la mentalità vincente: andava in campo per imporre il suo gioco, contro tutti. Anche contro la potente Juventus. Alla 21ª giornata i bianconeri (campioni d’Italia in carica) avevano un vantaggio di 5 punti. Poi nelle successive tre il Toro passò (dopo aver vinto anche il derby) a più uno. Riuscì nella grande impresa spinto anche dalla forza e dall’immensa eccitazione della città. Scrissero: “Hanno fatto resuscitare il Grande Torino”.
Gigi Radice fece giocare in porta Castellini detto “Giaguaro”. Soffriba di ulcera, era molto nervoso, ma parava e parava e subiva meno di tutti. La difesa: Caporale, il libero. Arrivava dal Bologna dopo aver giocato molto poco. Radice lo reinventò: una grande sorpresa. Mozzini stopper robusto e sereno. Di lui dicevano: sembra un impiegato di banca, tranquillo e preciso. A destra Nello Santin, a sinistra Salvadori, i terzini. Santin era un marcatore per vocazione, è stato anche nel Milan e fatto bene con la Sampdoria. Esplose in granata. Salvadori veniva dalla serie C: crebbe e maturò con il Toro. Giocatore completo, buona falcata, controllo intelligente dell’avversario.
Tre uomini a centrocampo. Il loro calcio era modernissimo. Pecci al centro, Zaccarelli a sinistra e Patrizio Sala a destra. Zac possedeva dribbling rapido, volava e batteva con prepotenza. Patrizio era un altruista, dava un mano a tutti con naturalezza e semplicità. Poi Eraldo Pecci, regista che correva e impostava con piedi e cervello: indispensabile. Come Claudio Sala detto il “Poeta”: il Toro si affidava alla sua fantasia. Il “Poeta” fece tutto con disarmante semplicità, quella del fuoriclasse. E poi i Gemelli. Naturalmente del gol: Graziani e Pulici. Ciccio Graziani al centro, gran destro, gran sinistro, ottimo colpo di testa. Ma, soprattutto, tornava a dare una mano. Radice non ha mai avuto dubbi: “Il più moderno dei centravanti italiani”. E Paolino Pulici: eccezionale forza fisica, colpi improvvisi. “Un vero ciclone, partiva da sinistra attirato dal gol e in gol andava”. L’anno dopo l’impresa, il Toro fece 50 punti, la Juve 51.