Tutti sanno che la Costituzione italiana sancisce la libertà di espressione, di parola, di pensiero eccetera. Nessuno lo metterebbe in dubbio. Ma, solo con “la più bella del mondo” ci si prenda la briga di metterla sotto condizione. Quale? Che la libertà di parola vale a seconda di chi parla e dell’argomento di cui tratta. Una ipocrisia, per non dir peggio.
Due casi esemplari.
La regione Friuli Venezia Giulia, retta dal centrosinistra, ha finanziato con ventimila euro la casa editrice Kappa Vu di Udine specializzata, fra l‘altro, in libri negazionisti sulle foibe. L’assessore alla cultura, Gianni Torrenti di fronte alle proteste si è così giustificato: “Non sono assolutamente d’accordo con le tesi negazioniste del dramma storico sulle foibe, ma se bloccassimo i fondi andremmo a intaccare la libertà di espressione e di pensiero” (Il Giornale, 2 dicembre 2014).Giustissimo. Parole da tenere a mente. Vediamo se la “libertà di espressione” vale anche per una casa editrice o un convegno che si occupassero dell’Olocausto in chiave non diciamo addirittura negazionista ma riduzionista (chessò, non sono morti sei milioni di ebrei ma al massimo uno e mezzo) o si affermasse che la risiera di San Sabba era solo un campo di concentramento e di transito come alcuni storici sostengono e non un luogo di sterminio. Protestasse o si indignasse, nel caso bisognerà ricordare all’esimio assessore queste sue frasi degne di un democratico vero perché non restino soltanto buone intenzioni. .Secondo esempio e proprio nello stesso giorno.
Un ricercatore di storia contemporanea, Francesco Cassata, su glistatigenerali ha pubblicato il 2 dicembre un intervento intitolato, in stile puramente goliardico, di cui gli si deve render merito, Fermiamo il virus della rivalutazione di Evola dove tra l’altro afferma: “Intendiamoci: in un regime democratico e liberale un’operazione del genere è legittima, nella misura in cui, entro i limiti di legge, chiunque può studiare ciò che vuole e organizzare simposi anche stravaganti. In questo caso, un problema serio di opportunità si pone, però, se tra i relatori figurano diversi docenti di discipline differenti che insegnano nelle università italiane”.
Il Cassata, che si ripete è uno storico contemporaneista non uno storico delle religioni, se la prende con un convegno, organizzato a Roma il 29 novembre dalla Fondazione Evola e dalla Accademia dei Filaleti, intitolato “L’eredità di Julius Evola” ed i cui relatori erano tutti docenti di varie università italiane, che si sono occupati dei vari ambiti del pensiero evoliano: filosofia, storia, politica, arte, ermetismo, tradizione e, appunto, storia delle religioni. Il che ha fatto inorridire il Cassata. Il quale, da bravo storico nella ricostruzione della vita di Evola si è dimenticato di dire, ma guarda un po’ proprio in questa occasione, che pur coinvolto nel processo dei FAR (1951) il filosofo venne assolto come ben si sa, il che non è un particolare di secondaria importanza.
Il Cassata inoltre attribuisce a Evola cose da lui masi scritte (il “soldato politico”) né pensate (il teorico del “neopaganesimo” che invece criticò) e di influenze mai esistite (la “teoria evoliana dell’azione ha influenzato i protagonista della eversione nera”, leggenda metropolitana dura a morire nonostante le prove in contrario).
Sicché il Cassata propone una levata di scudi accademica contro questa iniziativa, una vera e propria crociata con venature ricattatorie. Come si vede chiaramente tutti possono dire quel che vogliono, no? Soprattutto se lo fanno, come scrive il Nostro Eroe Antievoliano, per usare un suo vezzo, “entro i limiti di legge” (quali non si specifica). Nel convegno del 29 novembre pare che i “limiti di legge” non siano stati superati. Ma… Ma il fatto è che con questa iniziativa si è “rivalutato un fascista” (e quindi, se ne deve dedurre, il fascismo stesso). Quindi non se ne doveva parlare. Quindi un limite alla libertà di espressione esiste. Quindi essa vale soltanto se i nostri docenti parlano di certe cose e non di altre definite “antiscientifiche” ed epistemologicamente scorrette. Quindi i docenti universitari non devono partecipare a iniziative di un certo tipo, occuparsi di certe figure tipo, possiamo pensare in quanto considerati “fascisti” e “nazisti”, non solo Evola, ma anche Gentile, Pound, Marinetti, Hamsum, Céline, Jünger ecc. ecc. La libertà di pensiero è dunque condizionata dall’argomento, perché nulla avrebbe avuto certo da dire il Cassata se il convegno fosse stato dedicato agli aedi del comunismo, stalinismo, maoismo tipo Neruda, Sartre, Picasso ecc. ecc.
A me pare che questa levata di scudi sia l’espressione più lampante che una casta di docenti sia ormai alla frutta, si stia accorgendo che dopo 70 anni i loro divieti e ostracismi non sono più una barriera antidemocratica alla libera espressione di un pensiero privo di vincoli ideologici, e che la terra sta franando sotto i loro piedi mettendo in crisi un intero sistema culturale. Lanciano preoccupati allarmi, promuovono Tribunali dell’Inquisizione Storicistica. Sono gli ultimi anatemi che vorrebbero far presa sulla paura e il conformismo che ancor allignano nell’ambito accademico. Vogliamo proprio sperare che non sia più così e che il coraggio di quanti hanno partecipato al convegno del 29 novembre dia i suoi frutti.