Aveva detto che non sarebbe più tornato nel rettangolo verde. Aveva detto che avrebbe passato il tempo dietro una scrivania anziché sniffando il profumo dell’erba calpestata dai tacchetti. Aveva detto che avrebbe preferito scovare e segnalare nuovi talenti, anziché coltivarli. Lo aveva detto, già. Ma uno come lui non è fatto per la vita in giacca e cravatta. Quando sei stato un killer dell’area di rigore, abituato ad affrontare a viso aperto il Vietnam della (fu) Serie A dei campionissimi e le cui gesta (diciassette espulsioni, un pugno rifilato a Gigi Di Biagio e tante altre storie) ancora riecheggiano sui campi di mezz’Italia, non è facile ritornare alla vita borghese. Così Paolo Montero – dopo un’estate d’annunci e sogni da erede di Oscar Washington Tabarez al timone della Celeste – è tornato in campo e se ne è scelto uno che fa paura al solo evocarlo: lo Stadio del Centenario di Montevideo, la casa dell’hincha più calorosa d’Uruguay, nell’antro della passione carbonera del Penarol.
Il Pigna ha già iniziato da qualche giorno gli allenamenti. Ai ragazzi in casacca giallo nera non ha ancora imposto moduli, schemi, tattiche e strategie. E’ ancora presto, è tempo di lavorare sui muscoli e sui polmoni. Sulla testa e sul cuore. Per i piani di guerra ci sarà tempo. E’ un uomo d’assalto, Montero, che non ha mai tirato la gamba indietro né sul campo né nella vita di ogni giorno. Lo aspetta una sfida epica: tornare a casa, a quello Stadio del Centenario che lo vide esordire come giovanissimo difensore figlio d’arte (ma il papà giocava, sempre dietro, con il Nacional) e che adesso lo accoglie come l’uomo della Provvidenza, colui che dovrà riportare in alto il destino sportivo di una compagine gloriosa, che al calcio mondiale ha regalato paginate intere di leggende, emozioni, sfide, vittorie e sconfitte. Lui la pressione la sente e cerca di smorzarla: “Non sono venuto a far l’eroe”.
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Tutto sommato, l’ambiente ideale per iniziare sul serio. Mica come Fabio Cannavaro – quel furbacchione – che se n’è andato in Cina alla corte di Marcello Lippi, il vate calcistico comune a tutti e due gli ex centrali juventini. Proprio a Lippi si ispirerà il Montero allenatore. Altro che modello Simeone, Pigna seguirà i dettami del tecnico viareggino. E poi, diciamocela tutta, Paolo Montero ha avuto la fortuna, in carriera, di essere allenato da veri e propri outsider della panchina. Oltre Lippi, Pigna il killer è stato al servizio di Emiliano Mondonico, ai tempi dell’Atalanta, Carletto Ancellotti e Fabio Capello. E perciò, la hincha carbonera ha un solo sogno: il cinquantesimo titolo nazionale. E il ritorno da protagonisti sulla scena sudamericana, leggi Copa Libertadores. Questa sì, che è una sfida!