Nel libro di Alexander Dugin scritto a quattro mani con Alain De Benoist “Eurasia, Vladimir Putin e la Grande Politica” (edizioni Controcorrente) molto spazio è dedicato alla corrente degli euroasiatisti, della quale Dugin si considera continuatore e della quale viene giustamente considerato il principale esponente nella Russia post-sovietica. Gli Eurasisti si caratterizzano per la loro valorizzazione del sostrato slavo-finnico-turanico che è alla base della realtà russa. Pur riconoscendo l’importanza dei Variaghi di Riurik e Vladimir e del cristianesimo bizantino essi affermano il concetto che lo Stato Russo deve il suo tradizionale assetto all’influsso del modello statuale tardo-mongolo. Parole pesanti, gravide di conseguenza.
Ma non si fermano a questo: essi sottolineano la naturale continuità Russia-Asia. Ed esaltano la figura di Gengis Khan, creatore di un impero euroasiatico fondato su una aristocrazia di nomadi. Tali nobili nomadi della Grande Mongolia si sarebbero imposti carattere lealtà, contro il servile sedentario.
Il cristianesimo che gli eurasiatisti valorizzano è quello fortemente mistico e antioccidentale. La stessa storia dinastica dei Romanov viene generalmente condannata come un estraniamento dallo spirito nazionale, ad opera di Zar riformatori e imparentati con le dinastie tedesche.
Contro i Romanov occidentalizzati essi giungono a ravvisare la valenza positiva dello rivoluzione d’ottobre che mobilitò il popolo, trasse una nuova elite dalle masse e recuperò alcuni aspetti significativi dello spirito nazionale russo.
L’auspicio degli eurasiatisti di inizio Novecento è che il Partito Comunista al potere abbandonando marxismo e ateismo si trasformasse in Partito Eurasiatisti. In nome di questa speranza molti di loro rientrarono in URSS ma generalmente caddero vittime delle purghe staliniane.
Sta di fatto che nel 1942 sotto l’urto dell’invasione nazista Stalin sembrò toccare alcuni temi cari alla ideologia eurasiatista:
– evocò la tradizione nazionale.
– Chiamò i connazionali “fratelli e sorelle” ripetendo il lessico cristiano ortodosso.
– evocò la lotta di Alexander Nevsky e gli altri generali zaristi che si opposero a Napoleone.
– fece volare sulle trincee la storica icona di Vladimir e ridiede spazio alla Chiesa Ortodossa.
Alla fine dell’URSS alcuni ambienti del PCUS – come quelli di Ligacev e poi di Ziuganov – mostrarono attenzione alle tesi eurasiatiste. Ma ormai, nota Dugin, era troppo tardi … l’URSS non esisteva più.
Che dire della tesi eurasiatista? Essa è meritevole di attenzione e offre spunti interessanti. Nello stesso tempo, a motivo della sua radicalità, è necessario approcciarla con equilibrio e moderazione. L’apporto mongolo è importante, senza dubbio. Diciamo anche che la partita tra slavi e mongoli è finita in pareggio… per secoli la Russia fu sottomessa dai mongoli, e ora si estende stabilmente sulla vasta Siberia inglobando nei propri confini anche gli eredi del glorioso Gengis Khan.
L’Icona di Vladimir storicamente ha accompagnato le vittorie della guerra di liberazione contro i mongoli. Diciamo pure che la Madonna di Vladimir non segue gli eurasiatisti…
Sulla scia degli spunti degli eurasiatisti si potrebbero approfondire aspetti importanti della cultura nomade pastorale dell’Asia Settentrionale: lo sciamanesimo, il culto del Dio Padre Celeste, importante anche la ricezione da parte dei mongoli del Buddhismo Tibetano e l’elaborazione dei temi del Buddha Maytreia e della Agarthi. Tutti questi argomenti dimostrano che il retaggio mongolo-asiatico settentrionale deve essere giustamente valorizzato.
D’altra parte nella bandiera russa l’Aquila è bicipite: una testa guarda a Oriente, una testa guarda a Occidente. Entrambi le direzioni geopolitiche devono essere valorizzate: con equilibrio, con moderazione. Consideriamo la religione prevalente in Russia: il Cristianesimo, essa si riconduce alle credenze tipiche dell’Europa storica. Consideriamo Dostoevskij, Tolstoj, Soloviev: con chi intrecciano idealmente i loro dialoghi e le loro discussioni? Con i pensatori europei… non con i pastori erranti. Consideriamo la grande pittura russa e la grande musica russa: in quale tradizione si inserisce? In quella della grande arte europea. E pensiamo ancora al balletto del Bolscioi. Anche qui troviamo una Russia che raggiunge livelli di eccellenza sviluppando forme artistiche tipicamente europee.
Passando dall’arte alla politica. Domandiamoci: la concezione eurasiatista che sposta il baricentro della Russia nella lontana Siberia è gradita o sgradita a certi circoli occidentalisti? Potremmo rispondere che essa fa in un certo senso il gioco di quei circoli che in questi anni hanno mirato a spaccare la Russia dall’Europa Occidentale e a impedire quel naturale processo di integrazione della “Europa Unita da Lisbona a Vladivostok” (Putin).
L’eurasiatismo è oggi una risorsa se valorizza le culture dei popoli della siberia e dell’Asia Settentrionale, superando ogni forma di immotivato disprezzo eurocentrico o occidentalista. Tuttavia gli Euroasiatisti stessi dovrebbero bilanciare le loro passioni, valorizzando l’aspetto “europeo” della civiltà russa, diciamo la parte dell’aquila che da San Pietroburgo (città un po’ invisa agli eurasiatisti come simbolo del riformismo di Pietro il Grande) guarda verso Roma, Berlino, Vienna, Parigi, Madrid, Atene, Budapest.
Sia detto per inciso: a San Pietroburgo, c’è nato Putin…