Una leggenda, un’eresia e una montagna di petrodollari. Quando fu eletto presidente del Real Madrid, nel settembre del ’43, Santiago Bernabeu non immaginava che sarebbe stato alla guida dei blancos per 35 anni. Una vita, durante la quale le merengues scrissero la storia del club di calcio più blasonato del mondo. Ma lui, Santiago da Almansa, aveva iniziato a costruire un mito mattone dopo mattone. Iniziò a giocare con la camiceta blanca a 14 anni, nelle giovanili, poi passò in prima squadra e indossò la fascia da capitano fino al 1927, per poi passare ad allenare la squadra del re. Lasciò solo per combattere la guerra civile spagnola con le truppe di Franco. Al suo ritorno, e una volta presidente, ripartì dalle macerie: 35 anni alla guida del Real, fino alla sua morte, nell’estate del 1978: in mezzo 71 trofei, tra cui 16 scudetti, 6 coppe dei campioni, 6 coppe del Re e una intercontinentale.
Prendete questa favola, mettetela sul bilancino di un mercante è provate a valutarla in petrodollari: pare che la stima sia di mezzo miliardo di euro. Lo stadio del Real, il Santiago Bernabeu, che fu intitolato allo storico presidente nel ’55, oggi rischia di cambiare nome, piegandosi alle leggi del mercato, al calcio moderno tutto paillettes e denaro. La conferma arriva dal quotidiano sportivo Marca: l’attuale presidente del Real, Florentino Perez, sta trattando con l’Ipic (International Petroleum Investment Company), fondo di investimento che fa capo all’emirato di Abu Dhabi e che è gestito dalla famiglia reale. La società madrinista incasserebbe 25 milioni l’anno per vent’anni: 500 milioni, appunto. In cambio dovrebbe “solo” modificare il nome dello stadio: le ipotesi al vaglio, come soluzioni temporanee, sono di rinominare il tempio di Puskas e Di Stefano, Raul e Zidane, “Abu Dhabi Santiago Bernabeu” o “Abu Dhabi Bernabeu”, per poi arrivare al cambio definitivo, con cui scomparirebbe il nome del presidente che ha fatto la fortuna del club.
È il mercato, bellezza. O l’ameno così sostengono i fautori del naming, cioè del (necessario?) sfruttamento di un nome divenuto brand di successo. Una strada intrapresa da diversi club in Europa: è il caso dell’Olympia stadium del Bayern Monaco, ribattezzato quindici anni fa Allianz Arena. Oppure dell’impianto di Highbury, casa dei Gunners dell’Arsenal, da qualche anno rinominato Emirates Stadium. In Italia c’è il Mapei stadium di Reggio Emilia, tana del Sassuolo di Squinzi mentre la Juventus fatica ancora a trovare un mani sponsor cui affidare nome e chiavi del nuovo stadio.
Peccato che a una parte dei tifosi importi meno dei soldi e più della storia della propria squadra. E così un sondaggio promosso sempre da Marca, ha evidenziato come – su oltre 26mila votanti – il 61,6% degli “aficionados” si è mostrato contrario all’ipotesi di modificare il nome del Bernabeu. Non farà differenza, pare. L’accordo è ormai a un passo, mancano solo i dettagli. Nelle casse di uno dei club più ricchi al mondo sta per arrivare una vagonata di petrodollari, e che la storia vada pure a quel paese. Al massimo qualche inguaribile romantico storcerà il naso ma poi, all’ennesimo top player conquistato a colpi di portafogli, si adatterà persino a sedersi in una comoda poltroncina del nuovo “Abu Dhabi stadium”. Tutto si vende e si compra, nel calcio e non solo. Persino le leggende.