Il giorno dopo il disastro del Mondiale, il duro attacco dei “senatori” Buffon e De Rossi contro le «figurine e chi non tira la carretta» e la stampa scatenata nella demolizione dell’ex “idolo” è arrivata la risposta di Mario Balotelli: «La colpa non la faccio scaricare a me solo questa volta perché Mario Balotelli ha dato tutto per la nazionale e non ha sbagliato niente (a livello caratteriale), quindi cercate un’altra scusa perché Mario Balotelli ha la coscienza a posto ed è pronto ad andare avanti più forte di prima e con la testa alta. Fiero di aver dato tutto per il Suo paese. O forse, come dite voi, non sono Italiano. Gli africani non scaricherebbero mai un loro “fratello”. MAI. In questo noi negri, come ci chiamate voi, siamo anni luce avanti. VERGOGNA non è chi può sbagliare un gol o correre di meno o di più. VERGOGNOSE SONO QUESTE COSE».
Parole dure, affidate al solito utilizzo dei social network più sincero della dissimulazione in conferenza stampa di una “sobrietà” che aveva eccitato i sostenitori a prescindere di SuperMario. Parole che inevitabilmente diventano politiche, perché nel suo sfogo il giocatore mette in campo i temi della cittadinanza, dell’identità e – parole sue – anche dell’etnia, rivendicando una diversità figlia delle sue origini rispetto a chi lo critica: addirittura con un “noi” contro un “voi”. È chiara l’amarezza e la frustrazione, così come l’inopportunità di rispondere a muso duro (ma dalla tastiera) a chi lo ha criticato tecnicamente e non per il colore della pelle. Ma è altrettanto chiaro come tutto questo sia frutto del cortocircuito che da anni ormai viene alimentato sulla figura di Balotelli.
La responsabilità “tecnica” del suo cattivo Mondiale è tutta (utilizzando la terza persona proprio come fa lui) di Mario Balotelli: è sceso in campo e non è stato protagonista. Anche se non è stato il peggiore dato che è autore di uno dei due gol della spedizione azzurra. Di certo, però, non ha brillato e, nel momento cruciale con l’Uruguay, Prandelli ha dovuto sostituirlo perché rischiava l’espulsione. Grave errore, poi, è stato non aver dimostrato senso della squadra, nel momento in cui non ha atteso il rientro del capitano Andrea Pirlo per l’incontro in spogliatoio dopo la debacle.
La responsabilità “politica” del disastro, però, non è tanto di Mario Balotelli ma di chi ha fatto della “generazione Balotelli” un feticcio con cui condire scelte politiche (e anche calcistiche) più che discutibili. Costruire sul giocatore nato a Palermo da genitori africani la favola dell’Italia che verrà è stata una fascinazione che ha coinvolto sinistra, centro e la “destra nuova” di Fini, semplicemente perla convinzione che la potenza mediatica dello sport potesse rappresentare meccanicamente un traino per trasformare l’Italia come la Francia o l’Inghilterra (senza considerare le differenze storiche, il passato coloniale e i conflitti drammatici all’interno di queste società).
Il secondo problema è stato che certi ambienti intellettuali non hanno valutato nemmeno le caratteristiche del cavallo su cui avevano puntato. Balotelli è tutt’altro che un personaggio “politico”, è un personaggio e basta. Non ha mai avuto la vocazione del guru dell’antirazzismo Thuram ma quella del bad boy sì. Lo ha dimostrato recentemente, snobbando (è rimasto a dormire in camera) la visita dell’allora ministro Kyenge che ansimava per averlo come testimonial per la sua campagna contro il razzismo.
La stampa, ovviamente, ci ha messo il suo. Come non comprendere (o peggio, fare finta di non comprendere) ad esempio che gli sfottò da stadio contro Balo – per quanto scurrili e a volte davvero pacchiani – sono sfottò che rimangono “dentro” lo stadio? Perché se Balotelli è preso di mira per la sua pelle ma soprattutto per i suoi comportamenti, i tifosi meridionali lo sono per la loro provenienza, come quelli del Nord a loro volta. Una volta finita la partita, poi, a Milano tornano al bar con il vicino di casa napoletano e al mercato le signore comprano dal venditore che fa il prezzo migliore, bianco o nero che sia.
Chi scrive qualche anno fa – dalle colonne del magazine di Farefuturo – non trovava nulla di così scandaloso nel fatto che anche un giocatore di colore, se valido per la causa sportiva, potesse indossare la maglia della Nazionale. Balotelli ai tempi era ancora un under 21 e si candidava a diventare l’ottimo giocatore (non è diventato un top player) che è stato convocato agli Europei e oggi ai Mondiali. La tesi poneva un parallelo con la Nazionale di rugby dove, tra oriundi e naturalizzati, il numero di chi non ha i nonni di Roma è significativo: i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative. Certo, senza alcuno scandalo ma anche senza alcuna campagna ostinata nel voler vendere un valore sportivo (un giocatore forte) come qualcosa che non è (una campagna ideologica).
Il problema allora – quasi cinque anni dopo – è che proprio Balotelli non ha mai creduto nella campagna montata sulle sue spalle, si è crogiolato nel circo mediatico e nel referendum tutto politico-giornalistico sulla sua presenza più che sulla sua tecnica. Non è cresciuto come giocatore e, dal suo sfogo contro gli “italiani”, nemmeno come uomo. Non è stato “scaricato” come dice lui, di certo è stato strumentalizzato. E un po’ troppo coccolato.
@rapisardant