Un addio, una punizione e un sorriso. La leggenda è (anche) qui. E i monumenti non vanno in pensione. A Parigi c’è la Torre Eiffel, a Roma il Colosseo. Nella Manchester industriale e spoglia c’è, semplicemente, Ryan Giggs. La cartolina nel mondo della città inglese ha la barba incolta e la rude ma geniale essenzialità di un’ala sinistra di cui si è perso lo stampino. E che ha giocato quella che (quasi) sicuramente sarà la sua ultima partita nel giardino personale dell’Old Trafford.
Nell’annus horribilis dello United è l’ennesima gara inutile a scrivere di un addio che sa di presagio. A fare da comparsa c’è l’Hull city. Il gallese più conosciuto al mondo veste i panni di allenatore, dopo la cacciata del disastroso Moyes. E al settantesimo, con i Red devils avanti 2-1, decide di schierarsi, per un’ultima volta, in campo. Regalando, a quarant’anni suonati, un canto del cigno di venti minuti a se stesso e al mondo pallonaro. Fa un assist per il 3-1 di fan Persie. E quasi sfiora, al 91′, un gol su punizione – serve a qualcosa dire che era di sinistro? – che qualche dio misericordioso evita, per scongiurare il probabile crollo dell’Old trafford, illuminando il guizzo felino del portiere ospite Jakupovic. Un quarto d’ora di celebrità anche per lui.
Servono numeri per raccontare una leggenda? Fa niente, diamoli lo stesso: Giggs è il calciatore con più presenze in Premier (672) e con la maglia dello United (963). Ha vinto più trofei con i Red devils di qualsiasi altro calciatore. Più di George Best, più di sir Bobby Charlton. Sempre con la stessa maglia, dal 1991 ad oggi. Una seconda pelle cucita nel cuore di generazioni di tifosi. La partita in cui superò il baronetto per record di presenze con la casacca rossa è l’emblema di una carriera. E’ il 21 maggio 2008, a Mosca si gioca la finale di Champions tra United e Chelsea. La leggenda è in panca, non borbotta, non fa la star. Lui è il Manchester. Entra solo all’86’. E in quel momento, subentrando a Scholes, supera il record di presenze di Bobby Charlton. Finisce ai rigori ed è proprio lui a segnare, dopo l’errore dal dischetto di Anelka, il penalty decisivo che regala la terza coppa con le orecchie ai tifosi del Manchester.
Il gallese ha ispirato anche un romanzo edito di recente, “Vorrei uccidere Ryan Giggs”, scritto da Rodge Glass, storia di una giovane promessa dello United che finisce per diventare un emarginato. Eroe dei figli della working class, Giggs ha dedicato qualche parola – lui, di solito così schivo nel parlare – ai suoi tifosi prima dell’inizio della gara con l’Hull. Il teatro dei sogni pendeva dalle labbra di un calciatore che ha saputo fondere genialità ed essenzialità, stile in campo e scivoloni nel gossip, sacrificio e talento. Ha salutato con un ringraziamento e una promessa: “Grazie per il supporto che anche quest’anno ci avete dato. Sappiamo che è stata un’annata difficile ma il vostro supporto non è cambiato. Voglio soltanto dirvi che questo club ha avuto diverse cadute nella sua storia ma si è sempre rialzato. E che l’anno prossimo ci rialzeremo per tornare ai successi degli scorsi anni”. Van Gaal già scalpita, probabilmente il gallese, dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, lascerà anche panca e società dei Red devils. Quando quella punizione, al 91’, è stata deviata in angolo dal carneade Jakupovic, Giggs è andato verso la bandierina. Correndo, le telecamere hanno immortalato un suo sorriso rivolto al portiere dell’Hull, che invece aveva il viso imbarazzato e felice di chi sa di essere stato comprimario di una serata storica. Alla leggenda non serve certo l’ultima firma sul libro del calcio. I monumenti non vanno mica in pensione.
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