Di tennis si parla sempre meno e, specialmente sulla stampa generalista, non troverete che qualche trafiletto sulla brutta sconfitta rimediata da Fabio Fognini nell’ottavo di finale del torneo ospitato dal più esclusivo tra i più esclusivi tennis club del mondo: quello di Montecarlo. E invece, e gli appassionati di tennis, specie se praticanti, converranno con me, la sconfitta di Fogninimerita qualche riflessione proprio per l’epilogo che ha avuto, con insulti ripresi in diretta tv rivolti al padre e all’allenatore, entrambi seduti in tribuna. Epilogo che sarebbe più caro a Eschilo che a Euripide.
Fognini è il più forte tennista italiano. In Davis, qualche settimana fa è stato il Re di Napoli. Come ogni buon tennista è sottoposto, settimana dopo settimana, incontro dopo incontro, al lavorio, tutto cerebrale, di chi è condannato a vincere. Il tennista è solo, è un individualista puro. Non c’è nessuno su cui può scaricare le tensioni durante un incontro. L’allenatore, che se ne sta all’angolo del ring rettangolare, serve più per dare al regista un’inquadratura tra un punto all’altro che per fornire un concreto supporto. In ogni cambio di campo, sotto l’asciugamano, si è soli a rimuginare ogni punto, ogni quindici. E ci vuole una presenza di spirito e una volontà agonistica smisurata se non si vuole uscire dal campo con le ossa rotte. Molte volte proprio con quegli avversari che sulla carta sono più abbordabili. Delle volte proprio quando il mach sembra già vinto.
Ecco perché quando una partita che senti in pugno ti sfugge di mano per un passaggio a vuoto, perdi la trebisonda. E può succedere anche un’uscita poco british.Tant’è.
Gli insulti al padre, poi, non fanno per nulla scandalo. Anzi. Qualcuno ricorderà Guillermo Perez Roldan. Giocatore argentino degli anni 80, specialista della terra battuta e interprete di quel tipo di gioco che in quegli anni andava affermandosi. Quello che piano piano pose le basi per un nuovo modo di intendere il tennis, meno di ricamo e più di potenza. Il top spin, il rovescio bimane di Nick Bollettieri crearono una genia di campioni, certo,ma a scapito della fantasia che McEnroe portava in ogni colpo di volo, quelli preparati con quei passettini piccoli piccoli. Gullermo Perez Roldan non fu il primo e non sarà l’ultimo tennista nati più per il desiderio e la pianificazione dei genitori che per lo straripare di un talento autentico. E non fu il primo e non sarà l’ultimo tennista ad avere il padre come coach e manager. Pensate alle Williams ad esempio.
Perez Roldan che arrivò molto in alto nel ranking distinguendosi a Roma, Parigi e proprio a Montecarlo scoppiò letteralmente per via della pressione cui era sottoposto al punto di perdersi per strada. Non sarà il caso di Fabio, state tranquilli. E noi non l’avremmo fischiato.