Se mai un regista volesse riproporre il personaggio dell’ispettore Marlowe, dovrebbe affidare la parte ad Andrea Pinketts. Perche? Ma perché difficilmente qualcun altro s’avvicina di più all’immaginario di Raymond Chandler, colla dovuta eccezione dell’immortale Humphrey Bogart, naturalmente.
Così l’ineffabile e misterioso romanziere milanese, colla sua aria da duro, col suo eterno sigaro fra le labbra, vestito in modo singolare ma elegante, istrionico e capace come pochi di rubare la scena, ricorda da vicino il celeberrimo ispettore americano, immerso nei bassifondi metropolitani, sempre alle prese colla malavita e con poliziotti corrotti.
Marlowe, l’imprevedibile, l’uomo dal volto enigmatico, l’amante di bellezze mozzafiato eppur misogino, l’individuo che tutti vorrebbero come alleato, e nessuno come avversario.
Ma dopo questo ritratto, ci chiediamo chi è davvero Andrea Pinketts?
Notissimo al pubblico degli appassionati, e dei suoi fedeli e numerosissimi lettori, è entrato nelle case degli italiani colla sua interessante partecipazione a Mistero, il noto programma sul paranormale e tutto ciò che è arcano di Italia 1. Andrea G. Pinketts è molte cose: scrittore, drammaturgo, giornalista e opinionista, ed è uno dei maggiori esponenti della letteratura italiana noir.
La sua produzione è vastissima, e spazia tra vari generi; le sue opere originali e imprevedibili, e non si contano i premi e i riconoscimenti che ha saputo guadagnarsi nel corso della sua brillante carriera.
Ma egli è molto altro ancora, e per raccontare la sua vita per certi versi avventurosa, non basterebbero le pagine d’una rivista e forse neppure quelle d’un romanzo.
Così abbiamo voluto raccontarvi qualcosa di lui, chiedendoglielo direttamente nella seguente intervista.
Raccontati con un aggettivo.
Strabiliante… Anzi magnifico: è meglio di strabiliante.
Secondo te perché il pubblico ama così tanto il genere giallo?
Secondo me non è tanto il giallo, è più il mistero ad essere amato; però in un periodo senza certezze il mistero è il rifugio più estremo.
Qual è l’ingrediente più importante in un giallo? Il mistero, la tensione o la paura?
Secondo me è il tener viva l’attenzione, l’attensione, che è un incrocio tra l’attenzione e la tensione.
Quand’è che in te nasce l’idea per una storia interessante?
Io parto dal titolo generalmente. Il titolo mi comunica delle cose che ancora non so, per dirti l’ultimo si chiama Mi piace il bar; il tema è evidente ma nel caso del penultimo intitolato Depilando Pilar, uscito per Mondadori, all’inizio non avevo la più pallida idea di cosa avrebbe significato.
Qual è tra questi il tuo autore preferito: Conan Doyle, Agatha Christie, Rex Stout?
Rex Stout sicuramente, perché ha coniugato Arci Goodwin e Nero Wolfe che sono l’uno l’opposto dell’atro, ma sono anche complementari.
Ti sentiresti più a tuo agio nei panni di Nero Wolfe, Hercule Poirot, Sherlock Holmes, Del Tenente Colombo?
Non nel tenente Colombo, sicuramente non Poirot; forse Nero Wolfe, anche se non sono così grasso, per ora; perché è un genio simpatico, istrionico, misogino. Mentre Sherlock Holmes è un po’ più stronzo se vogliamo.
Qual è il segreto per scrivere una storia capace di incollare il lettore alle pagine d’un libro?
Il fatto che tu la stai vivendo mentre la stai scrivendo, nel senso che la tua partecipazione non deve essere solo meccanica, ma anche umana, devi sentire le storie che scrivi, perché se ti annoi a scriverle, lo fai solo per mestiere, allora è meglio cambiare lavoro.
Il tuo romanzo giallo o noir preferito?
Non ce n’è uno solo: per dirti e per assurdo, Dieci piccoli indiani di Agata Christie, per il meccanismo. Però sono molto più marlowiano, non so: Il lungo addio di Chandler, oppure Delia nera di Ellroy.
Ma davvero il colpevole è sempre il maggiordomo?
No. Questo è solo un luogo comune sfatato da anni e anni: al giorno d’oggi ti sfido, intanto a trovare un maggiordomo, perché nessuno se lo può permettere, e poi un romanzo in cui il maggiordomo sia l’assassino.
Quanto è importante sapersi calare nei panni dell’assassino per uno scrittore di genere
Mah, io non mi son mai sentito uno scrittore di genere, semmai uno scrittore degenere, quindi tutti i generi sono importanti, però nel momento in cui pensi come l’assassino, diventi un po’ come un assassino, ma ciò avviene in tutti personaggi che racconti.
Pensando all’hard boiler: meglio Callaghan o Dick Tracy?
Beh è dura, perché sono due grandi, direi un ex equo.
Quale delle seguenti armi useresti per un delitto in un romanzo? La magnum dell’ispettore Callaghan, Il famoso colpo di karate di Jack Clouseau, Le pagine avvelenate del tomo medievale de Il Nome della Rosa, La Katana di Kill Bill?
Siccome sono maestro di Kendo, direi la katana di Kill Bill.
Uno dei padri del genere giallo col suo Dupin, è stato il grande Poe: che legame esiste a tuo avviso tra questo filone e l’immaginario dell’horror?
Mah, il solo fatto che Edgar Allan Poe fosse un visionario però fosse nel contempo una persona dal raziocinio addirittura spietato, chirurgico, fa si che ci sia contemporaneamente lo Yin che lo Yang nello stesso individuo.
Un poliziesco può anche essere divertente, che ne pensi di personaggi come: l’ispettore Clouseau de La Pantera Rosa, o del Commissario Juve in Fantomas?
Attenzione, la Pantera Rosa nasce proprio per il cinema, mentre Fantomas nasce come personaggio da feuilleton, e Juve è diventato divertente grazie a Louis de Funes.
Vorresti dire qualcosa ai nostri lettori?
Non vi conosco, ma è stato un piacere incontrarvi e mi auguro vi saranno altro occasioni per farlo. In bocca al lupo, in culo alla balena e una birra per me.
Non mi resta che ringraziarti anche a nome di Barbadillo.