Noi italiani abbiamo un’urgenza non più rinviabile. Leggere criticamente la nostra storia per ritrovare un fil rouge comune, che ci consenta di riappropriarci della nostra identità culturale e spirituale. Momento dirimente per la costruzione dell’identità italiana moderna è rappresentato dal Risorgimento e da quanto accadde nei primi decenni unitari. La storia del Nuovo Inizio italiano è stata letta da diversi punti prospettici. La maggior parte degli esegeti concorda nel ritenere gli eventi che muovono dal 1820 alla presa di Roma del 1870, una “rivoluzione incompiuta” o, per dirla con Gentile, una “rivoluzione-restaurazione” da concludere. Delle idealità critiche, maturate nel nostro paese alla fine dell’Ottocento in relazione alla costruzione dello Stato centralista, si occupa la nuova edizione di un volume di Pier Carlo Masini, Eresie dell’Ottocento, comparso nel catalogo OAKS, con prefazione di Renato Besana (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 324, euro 24,00).
L’autore è un personaggio eterodosso del panorama giornalistico ed intellettuale del nostro paese. Nel 1943, egli fu inviato al confino in un paese del Beneventano, a causa del suo esplicito antifascismo, Vicino al Pci, partecipò, in Toscana, alla guerra partigiana e, all’arrivo degli Alleati, fu nominato vicesindaco di San Casciano Val di Pesa, suo paese natale. Spirito libero, venne espulso dal Pci. Si avvicinò, allora, all’anarchismo, di cui divenne anche esimio studioso come dimostrano le pagine della sua Storia degli anarchici italiani. Funzionario della Pubblica istruzione, visse a Vercelli e a Bergamo. In età matura abbracciò gli ideali del socialismo riformista, senza mai scambiarli, da spirito libero, con dettami partitici. Si spense nel 1998. Il libro che presentiamo fu propiziato, come ricorda Besana nella prefazione, dall’incontro con Montanelli e dalla fondazione dell’Editoriale Nuova, che si proponeva, alla fine degli anni Settanta, quale casa editrice controcorrente e rifugio per bastian contrari, che avevano intenzione di ribellarsi al clima dominante, imposto dall’egemonia culturale marxista. Il volume uscì, quindi, in prima edizione nel maggio 1978 per la casa editrice de il Giornale, mentre in Italia divampavano gli “anni di piombo”.
Eresie dell’Ottocento è un testo che interroga il passato, al fine di rintracciarvi le ragioni che consentano di costruire un presente ed un futuro diversi e migliori. Nelle sue pagine, Masini ci dice dell’esistenza di un “partito degli intellettuali” che, a muovere dagli ultimi decenni del secolo XIX, ebbe casa presso riviste e periodici, condizionando anche il dibattito nei partiti e nella aule parlamentari. Il volume offre: «un variegato affresco delle correnti eterodosse che attraversarono partiti e ideologie dall’Unità ai primi del Novecento» (pp. III-IV), in un momento storico nel quale questione nazionale e questione sociale erano strettamente legate. Il nostro autore si occupa dell’esistenza di una “sinistra” non marxista, le cui ragioni, entro certi limiti, potevano sintetizzarsi con quelle della destra non-liberale. Leggendo il volume, abbiamo pensato alle tesi dello studioso francese Jean Claude Michéa, che sostiene il socialismo, agli esordi della sua storia, non essere affatto contro il “passato” e che la sua visione del mondo non era fondata sul rifiuto delle identità locali e nazionali.
Personaggi e idealità di tale variegato mondo sono da Masini divise e presentate in correnti ben delineate: federalisti, liberi pensatori, internazionalisti, umanitari e, soprattutto, eclettici. Personaggi fuori dal comune sentire, nelle cui idealità vengono meno le false contrapposizioni, compresa quella di destra-sinistra. L’autore suggerisce la possibilità: «di un socialismo che rifiuti il PCI» (p. IV), in quanto, gli intellettuali il cui pensiero analizza: «erano uomini nuovi, scomodi nei partiti storici o relegati ai margini della storia» (p. IV) e, per questo, latori di una carica ideale rivoluzionaria. La storiografia ufficiale ha sottovalutato il ruolo di tale “partito degli intellettuali”, in quanto ha riservato la sua attenzione esclusiva alla dimensione “statuale” degli eventi storici italiani. Nel periodo postunitario, gli “sconfitti” del Risorgimento fecero sentire la loro voce, muovendosi nell’ambito di un chiaro anticlericalismo (ricordiamo che a destra, medesime posizioni, sosterrà Gioacchino Volpe) e nel nome di più larghe garanzie democratiche, che permettessero la realizzazione di riforme sociali atte a sollevare le masse contadine del Sud da una condizione di evidente minorità economica e culturale.
Prosegue Masini: «la radice del primo socialismo italiano […] si nutre di umanesimo e non perde di vista, all’interno delle ragioni di classe, le ragioni dell’uomo» (pp. 12-13). Mentre il marxismo spinge sulla via internazionalista e rigidamente rivoluzionaria i socialisti europei, soprattutto dopo il Congresso di Berna del 1868, una parte minoritaria ma significativa della sinistra nel nostro paese, non solo si fa latrice di una cooperazione fra gli Stati, al fine di evitare le guerre, ma è fermamente convinta di dover sostenere le ragioni del federalismo che Cattaneo aveva detto essere conditio sine qua non per l’ampliamento della partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica e per migliorare l’efficienza dell’intervento pubblico. Da qui la richiesta dell’autonomia amministrativa per comuni, provincie e regioni, dell’abolizione della pena di morte, del Senato, nonché la proposta di convocazione di una Costituente, cui demandare il compito di “rifondare” il patto tra liberi cittadini. Come si vede tali proposte conservano una stringente attualità.
Momento assai rilevante, per la definizione delle posizioni teoriche di questi gruppi, la si ebbe nel 1899, a cento anni dalla Rivoluzione francese, quando si tennero in Italia le grandi manifestazione bruniane, atte a celebrare degnamente il martire nolano. Ciò dimostra come l’anticlericalismo avesse allora anche una matrice spirituale, da non trascurare. Certo, alcuni di questi interpreti della “sinistra eretica” nostrana, con il trascorrere del tempo, furono riassorbiti dalla casa madre. E’ il caso di Antonio Labriola che, in età matura, tacitò le intuizioni libertarie che avevano serpeggiato tra le sue pagine nel periodo giovanile. Per questo, lo studioso non comprese il portato antideterminista che proveniva dalle avanguardie, ma anche dal nascente idealismo che, al contrario, lesse quale: «regresso» (p. 15). Al Nord, per gli “eretici” valse quale punto di riferimento la scuola di Cattaneo, al Centro si guardò con interesse alla produzione teorica dei Triunviri del 1848, mentre a Sud a Pisacane. Tali tradizioni di pensiero furono, nel corso degli anni, innovate in modo originale.
Leggere Eresie dell’Ottocento non implica sposare in toto le tesi esposte dell’appassionato Masini, ma può di certo aiutare a comprendere che, dietro la cultura dell’Italia ufficiale, sono esistite “altre” culture, i cui percorsi, in alcuni casi, si sono tangenzialmente lambiti.